La revoca dei due assessori della DC segna un nuovo punto di partenza nell’esperienza di Renato Schifani al governo. Da ieri, infatti, fa tutto lui: il presidente, il capo di partito, l’assessore (al Lavoro, agli Enti locali e, per gradire, al Bilancio e alla Sanità), il commissario di svariate questioni (le strade, i termovalorizzatori…). Proverà a traghettare questa terra, che vive “un momento magico” (concetto ribadito nell’intervista a ‘La Sicilia’), verso il 2027. Anche se spera di liberarsi di qualche zavorra già prima della fine del mese prossimo, quando l’Assemblea è chiamata ad approvare la Legge di Stabilità.
Laddove Schifani vede rose e rating, rose e rating non sono. Passare al vaglio dell’Ars, con la pattuglia dei franchi tiratori che non accenna a sgonfiarsi (anzi…), sarà una prima impresa. Qualche settimana fa, col voto segreto, è stato affossato un terzo della manovra-quater, e non era ancora esploso il caso Cuffaro. Cosa potrà avvenire tra poche settimane, coi parlamentari della DC fuori dal governo e gli altri – i patrioti, i forzisti – pronti a reclamare piccioli e potere? C’è sempre un modo per cadere in piedi, e Schifani lo conosce benissimo: destinare alla manovra un lauto tesoretto da spartire fra i parlamentari (anche se il momento storico suggerisce altro).
Mettiamo pure che Galvagno & Co. riusciranno a evitare per il terzo anno di fila l’esercizio provvisorio, cos’accadrà da quel momento? Intanto bisognerà redistribuire le deleghe. Con l’assenza di un partito ci sarà più spazio. Ma anche più ambizioni. Il Movimento per l’Autonomia di Lombardo, dopo aver teorizzato un possibile azzeramento della giunta, tornerà in corsa per un secondo assessorato: l’ex governatore di Grammichele lo reclama da dopo le Europee, quando diede un contributo determinante all’elezione di Caterina Chinnici. Ma anche i “murati vivi” di Forza Italia, il partito del governatore, rimane con la bava alla bocca. Loro di assessore ne hanno mezzo (Tamajo) mentre tutti i tentativi di redimere Schifani sulla via del partito si sono infranti contro la testardaggine del “capo assoluto”. Il quale ha scelto di tenere per sé le competenze più importanti: il Bilancio e la Sanità.
I “tecnici” Dagnino e Faraoni, al momento, non sono in discussione. Sebbene la seconda risponda più al leghista Sammartino che non a Forza Italia. Se dovessero aprirsi spiragli per una delle sue caselle lasciate libere dai cuffariani, gli azzurri sarebbero certamente in prima fila. Anche se per ottenere agibilità politica (prima) e rappresentanza istituzionale (poi) servirebbe un segretario in grado di svolgere la propria missione senza asservimenti: Caruso ne è capace? Da Roma hanno tentato più volte di richiamare l’attenzione di Tajani su una situazione ormai insostenibile, evidenziando, ad esempio, le profonde ferite della sanità regionale; ma il vicepremier continua a sfilarsi. Sembra non gliene freghi più di tanto. Commissariare il partito, togliendo l’incombenza a Schifani e al suo luogotenente, sarebbe forse un punto di partenza. Ma finché il gruppo parlamentare rimarrà murato, perché intervenire?
C’è poi il capitolo Fratelli d’Italia. I meloniani – che sono interessati da un’altra inchiesta: quella che riguarda il presidente dell’Ars Galvagno e l’assessore Amata, entrambi accusati di corruzione – dalla caduta di Cuffaro sono tornati gli interlocutori privilegiati di Schifani. Che però deve prima accontentarli sulla sanità: da un giorno all’altro si attende l’uscita di Salvatore Iacolino dal dipartimento Pianificazione strategica dell’assessorato alla Salute, poi Sbardella potrà dirsi soddisfatto. Nel frattempo ha incassato una serie di nomine (come quella del subcommissario ai rifiuti) che hanno facilitato la ripresa dei contatti dopo il giovedì nero all’Ars. Fu il primo, gravissimo segnale di smottamento all’interno di una maggioranza lacerata, che si tiene insieme solo per difendere nomine e privilegi acquisiti.
Liberare due caselle in giunta, invece, non cambierà di una virgola il peso del leghista Luca Sammartino. Che era uno dei due sovrastanti di Schifani e adesso rimane l’unico. Il Carroccio, che già può contare su un paio di assessori (l’altro è Turano), non ha nulla a pretendere. Anche se la nomina di Annalisa Tardino all’Autorità Portuale di Palermo, su cui il Tar dovrebbe pronunciarsi a gennaio, rimane un brutto incidente di percorso. Danneggia più Salvini di Sammartino, ma se ne parlerà al momento debito. L’unico “momento magico”, per i siciliani, arriverà al termine di questi cinque anni. Mentre per Schifani, che si sta dimostrando vittima del suo stesso delirio (di onnipotenza e disperazione) non rimane altra ricetta che rammendare. Utilizzando la questione morale come una maschera da indossare a seconda della convenienza. Sminuendo i problemi della coalizione. Esaltando i report di Bankitalia. Nella speranza che qualcuno più disperato di lui possa abboccare.


