Non svegliate Nello Musumeci. E’ ancora convinto che sarà il prossimo candidato del ‘centrodestra unito’ alla presidenza della Regione. Ma c’è un problema: il centrodestra unito non esiste. E ce n’è un altro: che Fratelli d’Italia, il partito a cui s’è coraggiosamente federato, non ha alcuna intenzione di rompere (definitivamente) con gli alleati per cedere alla sua impuntatura. Nessuna. Musumeci è troppo esperto per non saper leggere la politica, così viene il dubbio che qualcuno – magari dei suoi collaboratori più stretti, o dei colonnelli di Giorgia – lo illuda con l’opzione più temeraria: cioè che il peso specifico di Meloni sia così forte da consentire a FdI di strappare la candidatura di due governatori di prima fascia: Musumeci in Sicilia e Lollobrigida, che con la Meloni ha anche un rapporto familiare, nel Lazio.

Ma qual è il peso di FdI sulle dinamiche regionali? Impossibile quantificarlo. I sondaggi nazionali, che danno il partito della Meloni in una forbice tra il 20 e il 23% non hanno ottenuto alcun riscontro alle Amministrative di Palermo e Messina, dove Fratelli d’Italia (fuso con Diventerà Bellissima, il movimento di Nello Musumeci) ha ottenuto rispettivamente il 10,1% e l’8,8%. Ben al di sotto delle aspettative. Scorporando i dati alle Regionali di cinque anni fa – operazione di per sé complessa – emerge più o meno lo stesso quadro. A quella tornata Diventerà Bellissima prese il 5,95%, strappando quattro seggi all’Assemblea regionale. FdI, in una lista unica con la Lega (che all’epoca si chiamava ‘Noi con Salvini’), prese il 5,64. Oggi, con l’addio di Rosanna Cannata (che è diventata sindaco di Avola) e l’ingresso di Edy Bandiera (primo dei non eletti, ma nelle liste di Forza Italia), il gruppo dei ‘patrioti’ a Sala d’Ercole decade. A meno di deroghe.

Se si dovesse calcolare il peso specifico di Fratelli d’Italia in base a questi numeri, la situazione è cupa. E la prerogativa che tutti credono indiscutibile – cioè fare in modo che sia la Meloni a esprimere il candidato per Palazzo d’Orleans – verrebbe meno. Bisogna intercettare, inoltre, amori e umori dentro e fuori i palazzi della politica. Andando oltre i sondaggi: l’ultimo – per dovere di cronaca lo citiamo – ha fatto registrare per Musumeci un balzo del 10% in cinque anni nel gradimento dei siciliani. Ma quando si parla di amori e di umori, andrebbero verificati in primis i rapporti di vicinato: con Forza Italia, che è il partito di maggioranza relativa al parlamento siciliano; con la Lega di Salvini, che un paio d’estati fa fu scaricato da Nello sull’altare delle nozze; e con la galassia centrista, che in questi quattro anni e mezzo da Musumeci non ha avuto notizie né ha visto la targa. Al netto, forse, dell’Udc che continua a mantenere un numero invidiabile di posizioni di vertice (due assessori in giunta, il sindaco di Palermo) al netto di un crollo nei consensi. Misteri della fede.

Ma per vagliare gli umori del partito della Meloni – che è tutto fuorchè sciocca – andrebbero considerate alcune situazioni in essere dentro Fratelli d’Italia. Certo, la destra catanese avrà ancora un suo perché. Ma Salvo Pogliese, il sindaco ‘sospeso’ di Catania che conserva l’incarico di coordinatore regionale per la Sicilia orientale, non sta offrendo un’immagine di buongoverno. La decadenza della città etnea non è sancita soltanto dalla monnezza lasciata per strada, ma dalla strana aura di inconsistenza venutasi a generare dopo il suo addio silenzioso a causa della condanna in primo grado per peculato. Cui Pogliese non è riuscito a sopperire col famoso “passo di lato” (pratica in cui persino Musumeci si era avventurato), bensì incaponendosi con una gestione a distanza e per interposta persona: quella del suo vice Bonaccorsi. Pogliese aveva l’occasione di dimettersi per mandare la città al voto nell’ultima finestra del 12 giugno, invece ha deciso altrimenti: resterà, forse, fino alla sentenza di secondo grado (attesa per ottobre). Al netto della condanna, o dell’assoluzione, ha dato piena dimostrazione di un’interferenza tra le sue vicende personali e quelle della seconda città siciliana. Nel frattempo ha messo la Lega alla porta, cancellandone le tracce dalla giunta etnea: non un bel modo per ingraziarsi le simpatie di Salvini.

Un altro protagonista della stagione di governo – questa volta alla Regione – è il paracadutato Manlio Messina. L’uomo senza voti. L’assessore al Turismo non è onorevole, non avendo ricevuto la benedizione popolare; è un semplice nominato (dopo l’addio di Pappalardo) che se ne va in giro per la Sicilia a scattare foto (l’ultima a Ortigia con la modella Heidi Klum) e organizzare feste. A chiudere accordi a destra e a manca per far risplendere di turismo l’Isola degli immondezzai. A distribuire ricche prebende per realizzare sagre ed eventi che tornano più utili al suo ego, che non ai siciliani tartassati dalle amenità di questa terra arsa dai tempi della politica e della burocrazia. Ad insultare i giornali perché tanto possiede il dono dell’impunità.

In questo fenomeno chiamato Fratelli d’Italia è finito suo malgrado anche Ruggero Razza (che invece tifava per la soluzione Lega): al netto dell’inchiesta della Procura di Trapani, poi trasferita a Palermo, sui dati falsi Covid (per cui risulta tuttora indagato), Razza è uno a cui piace risolvere le pratiche all’ultimo minuto. O comunque in tempo utile per garantirsi un ritorno elettorale (ma così fan tutti, no?). Da qui il provvedimento che sgancia 11,5 milioni di euro – sotto forma di indennità aggiuntiva – ai medici delle ambulanze del 118 dopo sedici anni di attesa (quattro e mezzo nella sua gestione); a cui si aggiunge l’accordo recentissimo con le cliniche private con un extra di 32 milioni. “Al fine di abbattere la problematica delle lunghe liste d’attesa – si legge in una nota di Palazzo d’Orleans -, il governo Musumeci prevede una quota aggiuntiva di 7 milioni di euro. In secondo luogo, l’Amministrazione stanzierà 25 milioni in più per le prestazioni di alta complessità erogate dal sistema delle case di cura private. Una misura pensata anche per evitare che i cittadini siciliani siano costretti a viaggiare fuori regione per ricevere assistenza di alto livello”.

Non è che la gestione di questi soldi, al netto delle intenzioni (buone o cattive), sia piaciuta granché ai famosi alleati. Per chi vive di amori, ma soprattutto di umori, sono l’emblema di una gestione del potere assai centralizzata, a cui è scontato non concedere il bis. Bis, che a meno di clamorose sorprese, non arriverà. Come detto, la Meloni potrebbe anche essere all’oscuro di decisioni o comportamenti che hanno poco di ‘etico’; o persino del rapporto conflittuale dei suoi uomini con quello dei rappresentanti degli altri partiti (omesso dai racconti ufficiali). Ma perché cedere sovranità a Musumeci – appena tesserato – e sconquassare i già fragili equilibri della coalizione? Nel fine settimana, forse, si vedrà con Salvini e Berlusconi per cominciare a giocare a carte scoperte.

Sarà il vertice che il governatore auspica per ribadire la propria centralità negli equilibri del centrodestra siciliano. Ma diventerà, probabilmente, il foyer del suo funerale politico. Per una questione semplicissima e nota, persino, ai bambini dell’asilo: le attenzioni di Giorgia sono rivolte alla Capitale e puntano a ottenere la candidatura del cognato Francesco Lollobrigida alla presidenza del Lazio. In questo gioco di specchi la figura di Musumeci – l’unica che il ‘cerchio magico’ cercherà di rendere appetibile per la Sicilia – diventa sacrificabile. Il carnefice di Musumeci è più vicino a lui di quanto non immagini. Ha già offerto un assist agli alleati per individuare un’alternativa: basta o no per chiudere il cerchio?