Se quelli del Partito democratico, tutti, senza distinzione, non vogliono contare nulla, se hanno deciso di indurre i pochi che pervicacemente restano ad andar via, se Schlein, nel suo “trionfale” viaggio verso Palazzo Chigi, non ha bisogno dei voti dei siciliani, lasciamoli fare, magari assistendo divertiti e increduli allo spettacolo penoso e farsesco che da tempo mettono in scena nell’indifferenza generale. Perché intestardirsi a seguire qualcosa che non ha alcun senso politico, semmai solo esistenziale?
Ieri si è riunita la direzione di mezzo partito, presieduta da una inviata di Roma, e contemporaneamente è stato a Palermo Bonaccini, il presidente nazionale, con l’altra metà, impegnato in altre iniziative. Più che una forza politica, sembra un teatrino di periferia. Ma si divertono così, crogiolandosi nella loro beata incoscienza, con la sventatezza di adolescenti immaturi e lasciano indisturbata la destra a gestire potere, nomine, privilegi e a mietere consensi.
Per andare dalla sua parte, rimanendo sempre nel burlesco, mi ha colpito la forte indignazione morale di Schifani che denuncia come disdicevole e trova di deleterio trasformismo il passaggio di una deputata da Forza Italia al partito di Cuffaro.
Questa illustre esponente della politica siciliana, per la verità ha sempre manifestato una fortissima curiosità culturale, volendo conoscere mondi diversi, vivendo esperienze nuove ed è stata socialista, ha militato nel centro cristiano democratico, in Forza Italia, nel Partito democratico, ancora in Forza Italia ed infine ora, almeno per qualche tempo, è tornata con Cuffaro.
Contemporaneamente Schifani, con piena soddisfazione accoglie nel suo partito un ex deputato, anch’egli intellettualmente curioso e sempre alla ricerca di senso, che nell’ultima fase della sua esperienza ha militato nella Lega.
Che dire? C’è trasformismo e trasformismo. E l’indignazione e la morale di Schifani scattano a fasi alterne, a seconda della direzione che il trasformista o la trasformista prendono.
Per allargare l’orizzonte, se la riforma della giustizia, definitivamente approvata dal Senato, viene celebrata come una vittoria postuma di Berlusconi e alla sua memoria dedicata, alla stregua di un risarcimento, siamo in un mondo al contrario – copyright di Vannacci. Siamo alla giustizia all’inverso, proprio con il prefisso in-.
Ed ancora, dopo la bocciatura del ponte sullo stretto da parte della Corte dei Conti, rischiamo di perdere o quanto meno di vedere rinviata a chissà quando l’opera che è stata presentata ai calabresi e ai siciliani, i quali per la verità non ci hanno mai creduto e l’hanno scambiata per ciancianeddi e lustrini, come la svolta per ottenere finalmente giustizia, per risolvere i loro atavici problemi.
Purtroppo, il danno è fatto, e non è facile pararlo. Per riprendere il filo, si deve completare la riforma della giustizia, anche di quella contabile, cacciare tutti i comunisti che vi si annidano e mettere il governo al riparo da ogni controllo legale e amministrativo. Del resto, come dicono quelli che comandano, hanno dalla loro il popolo o magari solo una parte di esso e possono fare quello che vogliono, senza pastoie legali, che è roba di sofisticati intellettuali delle ZTL.
Può darsi che i magistrati contabili abbiano avuto un eccesso di zelo nell’esaminare le carte. Ma com’è possibile che una iniziativa di quella complessità sia stata affidata a Salvini, il più scombinato e improbabile esponente della politica italiana?
C’è da pensare che nessuno della destra, neppure Meloni, credesse nella utilità del ponte, che fosse giusto spendervi quindici miliardi di euro. Certo non ci credevano i leghisti del nord, che ora con Zaia, sollevati, ironizzano.
E allora? A quel giovanottone, che non matura mai, non ne azzecca una, ma che ha una voglia infantile di protagonismo, si poteva regalare un plastico con cui giocare, anziché incaricarlo della realizzazione dell’opera. Se lo hanno fatto, probabilmente mettevano già nel conto l’insuccesso con l’ulteriore perdita di credibilità e consensi del cosiddetto “capitano”.
A osservare con distacco ed ironia le cose della Sicilia, ma anche quelle di Roma, un po’ ci si indigna, un po’ ci si diverte.


