“Ha presente la maionese impazzita?”. Il paragone è di Leoluca Orlando. La maionese, invece, è Italia Viva. Il partito che Renzi, ribattezzato il demolitore per quella smania di buttar giù il Conte-due, ha “ridotto” al 2%. Tranne in Sicilia, per la verità. Dove i renziani fanno da traino a una politica che ha già archiviato Orlando e, prossimamente, potrebbe fare lo stesso con Musumeci (ma non è detto). Che costruisce distruggendo (o viceversa). Edy Tamajo, deputato all’Ars, corregge subito il tiro: “Io sono l’uomo della pace”. Italia Viva, invece, è la nuova casa dei moderati; ed è l’unico partito – Orlando ha parlato di “comportamento nervoso” – che ha gettato il sasso nello stagno per vedere che acqua tira. A Palermo è un po’ putrida: “Siamo stati il defibrillatore di un’Amministrazione morta – spiega Tamajo -. Abbiamo fatto proposte, lasciando fuori ideologie, populismi e demagogie di ogni tipo. Ma ci siamo scontrati con qualcuno che è sempre convinto di avere ragione, e per questo non accetta il confronto. L’unica via percorribile è stata far dimettere i nostri due assessori”.

Nella quinta città d’Italia siamo al giro di boa rispetto a una stagione politica lunga (quasi) quarant’anni. Orlando fu sindaco per la prima volta nel 1985, e c’è voluto un partitino del 2%, nato dalla Leopolda e staccatosi da una costola del Pd, per mandarlo in crisi. A consegnarlo all’avanspettacolo della politica, senza idee e senza maggioranza. I renziani, se soltanto lo volessero, potrebbero proporre una mozione di sfiducia e spazzare via il “professore” in pochi giorni. Ma la loro ambizione è costruire un grande centro ed essere protagonisti. A partire da domani. L’ex presidente del Consiglio, che a Catania organizzò il battesimo della sua nuova creatura, il 16 novembre 2019, ammise che “vogliamo governare la Regione”. Ora come ora si accontenterebbe di Palermo, la città di Davide Faraone (che questa squadra l’allena).

E così sono cominciate le grandi manovre. Tamajo, che di mestiere fa il deputato regionale, rivendica l’operato dei suoi uomini al Comune: “Ha presente il Suap (lo sportello delle Attività produttive)? Se oggi funziona è merito dell’assessore Piampiano. Se l’Amat (la società dei trasporti) non è fallita, è grazie a Michele Cimino. Se l’Amg (la società dell’energia) offre un servizio ai palermitani, dobbiamo ringraziare il vicepresidente Domenico Macchiarella, che abbiamo nominato noi. Abbiamo trovato le macerie: in questi anni ci siamo spaccati la schiena, abbiamo fatto un lavoro immenso in termini di ascolto e di proposta. Andavamo a una velocità diversa rispetto al resto della giunta, per questo si è innescato un cortocircuito. Il sindaco dovrebbe avere più riconoscenza”.

Italia Viva tesse la propria tela, come fanno tutti. A Orlando sembra un processo ispirato da un guazzabuglio infernale (“Mai con la Lega”, ha detto qualche giorno fa), anche se Tamajo dà un’altra versione: “Qualcuno ha enfatizzato questa storia del modello Draghi pur di non ammettere di avere torto. Si sono spinti a dire che noi volevamo un’alleanza con Salvini: non è così – giura il deputato -. Ma siamo consapevoli che in un momento di pandemia, col tessuto sociale in crisi e l’imprenditoria al collasso, la politica deve dare prova di unità e lanciare un messaggio di pace, superando steccati e vecchie ideologie. Per risolvere i problemi non servono litigi, ma mediazioni”. Sembra di risentire Miccichè. Era stato il presidente dell’Ars, in rotta con un pezzo di Forza Italia, a suggerire un percorso di pacificazione e un approdo “unitario” a Roma per sponsorizzare la causa siciliana. Tamajo pensa alla stessa cosa per Palermo: “L’idea era fare squadra e presentarsi a palazzo Chigi con una proposta comune: abbiamo un buco di bilancio enorme, le società partecipate al fallimento, 800 bare in deposito da più di un anno. Serve una norma salva-Palermo”. Ma per ottenerla bisogna parlare tutti con la stessa voce.

Il progetto per il momento è deflagrato, ma fuori da palazzo delle Aquile prende continuamente vigore. Ci sono tanti treni in corsa, innumerevoli occasioni da cogliere, e Italia Viva recita un ruolo da protagonista. Forte dei numeri e dei suoi autorevoli rappresentanti, che gli conferiscono la possibilità di trattare con chiunque (e di passare all’incasso). Alle ultime Regionali, ad esempio, Tamajo ha preso poco meno di 14 mila preferenze; Sammartino, a Catania, ne ha conquistate 33 mila (D’Agostino, nella stessa provincia, quasi 9 mila); poi ci sono Laccoto (circa 9 mila a Messina), Cafeo (7.500 a Siracusa), i non eletti Beppe Picciolo (10 mila a Messina: faceva parte di Sicilia Futura) e Giacomo Scala (5.500 a Trapani). La lista è lunga e consolidata: Francesco Scoma, che spera in una candidatura a sindaco su Palermo, si è aggregato al progetto dopo la fuoriuscita da Forza Italia. Il partito è un’attrattiva: “Quando ti candidi col metodo della preferenza, non hai scelta – spiega Tamajo –: sei obbligato a rimanere vicino al territorio. I nostri parlamentari sono sempre vicini alle istanze dei cittadini, in questi anni ci hanno saputo fare. Inoltre, l’elettorato siciliano è centrista, moderato, riformista. Rispecchia i nostri valori”.

Non sempre all’Ars i renziani sono stati chiari. A volte hanno votato a favore del governo, altre si sono estraniati per non risultare impopolari (come sulla mozione di sfiducia a Razza, quando sia Tamajo che D’Agostino non erano presenti). Spesso si sono divisi, palesando un conflitto insanabile al loro interno. “Nel partito ci sono diverse componenti, proveniamo da storie diverse. Ma sul percorso da seguire – sottolinea Tamajo – la pensiamo in maniera unanime.”. La strategia è chiara anche per le prossime Regionali: “Stiamo lavorando per costruire una lista di centro assieme all’Udc e a tutte le forze moderate che ci stanno”. Il primo passaggio è stato “condividere” il nuovo assessore regionale ai Rifiuti, Daniela Baglieri. Il prossimo – partendo dalla Carta dei Valori che porta firme illustri come quelle degli assessori Toto Cordaro e Roberto Lagalla – costruire sentieri comuni, isolando gli estremi e riproponendo quel benedetto modello Draghi di cui tutti parlano un gran bene.

Restano tanti interrogativi da sciogliere: il dialogo con Forza Italia, che Faraone e Tamajo sembrano privilegiare; ma anche quello con gli ex amici del Pd, da cui non vorrebbero prescindere; e poi c’è il tabù dei Cinque Stelle, che tanto a Roma quanto a Palermo i renziani non hanno mai fatto mistero di detestare. Ma in questa “laboratorio alternativo” (possibile) vanno considerati anche i grillini, i duetti già in fieri (come quello fra Cancelleri e Barbagallo), le grane interne di Micciché. Alcune cose potranno quagliare, altre no. Ma Italia Viva è lì in mezzo, fa le squadre e arbitra la partita. E’ in Sicilia, e a Palermo in modo particolare, che Renzi spera di raccogliere i frutti di un’esperienza che altrove si sta rivelando spericolata e anche un po’ deleteria.