Scene da un aeroporto. Il presidente della Regione entra nella Sala Vip e si accorge, a occhio nudo, che il riso e la caponata forse – ripeto: forse – non sono freschi di giornata. Potrebbe limitarsi a un lamento con Giusy Miccichè, la capo scalo che lo accompagna con devozione. Invece telefona all’Asp di Palermo che immediatamente invia a Punta Raisi sette ispettori. Un quotidiano pubblica con grande evidenza la notizia e Renato Schifani, fortemente indispettito, lancia in rete un post col quale rifiuta il macchiettismo che traspare dalla vicenda e sostiene di avere fronteggiato “una situazione inadeguata e potenzialmente rischiosa per la salute dei viaggiatori”.
Dura lex sed lex, verrebbe da dire. Il governatore, col suo gesto, ha affermato comunque un principio di rigore e legalità che teoricamente dovrebbe riguardare le piccole come le grandi cose. Ma sulle grandi cose, per la verità, l’azione di Schifani non è stata e non è altrettanto veloce e immediata. A cominciare dall’Asp di Palermo, la più grande della Sicilia, che dopo sei mesi è ancora senza un direttore generale. Sia il presidente della Regione che l’assessore alla Sanità, Daniela Faraoni, aspettano che i partiti della maggioranza raggiungano un’intesa complessiva sulla spartizione degli incarichi di sottogoverno. Non sarebbe il caso di smuovere le acque con la stessa determinazione con la quale è stato chiesto l’intervento degli ispettori nella sala “Prima Vista” inaugurata appena un mese fa nel cuore pulsante dell’aeroporto palermitano?
I sacrosanti principi – rigore e legalità – invocati per affermare la necessità che il riso e la caponata siano sempre caldi di cucina e che la salute dei viaggiatori sia sempre tutelata, andrebbero coniugati, ovviamente, anche con la questione morale. Questione che in Sicilia, dopo l’inchiesta per corruzione avviata dalla procura di Palermo, è diventata grande come una casa: tra i personaggi coinvolti direttamente c’è il presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, fino all’altro ieri tra i volti più potenti e più promettenti di Fratelli d’Italia; ci sono i superburocrati della Regione, Nicola Tarantino e Lucia Di Fatta, cucinieri con l’ex assessore Manlio Messina del grande scandalo di Cannes, quello dei quattro milioni regalati a un avventuriero lussemburghese; e c’è Elvira Amata, attuale assessore al Turismo e punto di congiunzione – così si legge nel dossier della Guardia di Finanza – tra i tanti milioni inseriti nel bilancio regionale e gli insaziabili appetiti della famigerata corrente turistica pilotata dal balilla Messina e da altri innominabili gerarchi di Fratelli d’Italia.
E’ una minestra vecchia, rancida e indigesta quella che, con la banalissima scusa di incrementare il turismo, viene apparecchiata e servita, anno dopo anno, dall’onorata compagnia degli scandali. Ma il naso di Schifani, così sensibile verso i cibi offerti dalla Sala Vip di Punta Raisi, ha percepito fino in fondo il marciume che si nasconde nelle stanze della Regione dove tutti questi signori continuano a comandare e a maneggiare denaro pubblico come se la pesante inchiesta della magistratura non li riguardasse da vicino?
Altro che i sette ispettori dell’Asp mobilitati, con un piglio da caporale di giornata, per stabilire se il riso e la caponata erano stati cucinati in mattinata o la sera prima. Per riportare decenza e pulizia nelle stanze più maleodoranti della Regione servirebbe un coraggio dieci o cento volte maggiore rispetto a quello mostrato da Schifani per mettere in riga la Sala Vip di Punta Raisi. E servirebbe soprattutto un presidente della Regione capace di governare questa sfortunata Sicilia, oltre che con i capricci, i rancori e le clientele, anche con un alto senso della misura, dello Stato, della politica, delle istituzioni e del rigore morale.