Esiste Pedro Sánchez, quello vero. E poi c’è il Pedro di Elly Schlein. Quello che verrà tirato fuori già oggi, o domani, o comunque sul palco di una delle tante feste dell’Unità che la segretaria del Pd si appresta ad aprire. Il primo Sánchez, in carne e ossa, governa la Spagna facendo i conti con giudici che indagano per corruzione la moglie e il fratello, e ai quali ieri ha risposto come faceva un tempo Silvio Berlusconi: “Ci sono magistrati che fanno politica”. Il secondo Sánchez, invece, è un ologramma tutto italiano, un’invenzione da conferenza stampa, da palco delle salamelle. Il leader che non sbaglia mai, progressista senza compromessi, pacifista e a favore dei diritti, simbolo di una sinistra che in Italia sembra riuscire a immaginarsi vincente soltanto se impersonata da qualcun altro, qualcuno che governa all’estero.
È una questione sulla quale si dovrebbe riflettere seriamente, a sinistra. Perché il Sánchez reale è un sopravvissuto. Sta alla Moncloa, il palazzo del primo ministro, non perché abbia convinto il popolo con un’idea limpida, ma perché ha barattato la permanenza al potere con l’amnistia ai separatisti catalani, che sono dei golpisti per il re Filippo e per gli organi giudiziari spagnoli. Sánchez ha spalancato le porte della riabilitazione pure a Carles Puigdemont, che da Bruxelles continua a dettare la linea del governo come un latitante di lusso. E Puigdemont è uno che, a confronto, Mario Borghezio sembra un prefetto sabaudo.
Ecco. Per Schlein, però, il Sánchez che governa grazie ai voti indipendentisti non esiste. Come non esiste quello che, per difendere famigliari e colleghi di partito forse corrotti, sta provocando la rivolta dei giudici in Spagna. Esiste invece un Sánchez che dialoga, che ricompone, che tende la mano ai conflitti identitari e li trasforma in convivenza democratica. “Il modello del Pd è quello spagnolo”. Questa è la frase. Su tutto. Dall’energia ai rapporti con la Nato. Un santo laico del progressismo. Continua su ilfoglio.it