La Regione non c’è. Talvolta farnetica. Certamente annaspa. E i sindaci, col braccio fuori dal finestrino, sono pronti al sorpasso. Come Cateno De Luca, che sarà pure un caso particolare, ma ancora una volta è riuscito a imporsi. Scateno, nonostante le scorie tossiche nel rapporto con Musumeci, è riuscito ad aggiudicarsi – complici gli insulti e la “minaccia” di costituire un gabinetto di guerra – tre settimane di “zona rossa”. L’ha invocata a lungo, chiedendo la testa del massimo responsabile dell’Asp locale, Paolo La Paglia, incapace di vigilare su positivi e tracciamento; prendendo per incompetenti, un giorno sì e l’altro pure, i massimi organizzatori della resistenza pandemica (Razza e Musumeci). E’ riuscito a spuntarla. Messina è l’isola felice dell’autonomismo siciliano, dove un sindaco è in grado di fare e disfare a proprio piacimento. Dove le urla contano più della condotta. Il compito dell’ex deputato regionale di Sicilia Vera, che piace tanto a Salvini, non è segnalare o mettere in guardia. Bensì forzare la mano, e se necessario “imporre”.

Messina è “zona rossa”. De Luca aveva già ordinato due giorni extra di chiusura per le scuole e minacciato di prorogare la serrata fino al 31 gennaio, se qualcuno, dall’alto, non si fosse degnato di intervenire. Ha guidato ancora una volta il “processo”, riscoprendosi sceriffo. Alla Regione non è rimasto che prenderne atto, senza tuttavia rendere onore al (de)merito. Nella nota che annunciava l’introduzione di misure più stringenti, Palazzo d’Orleans faceva un generico riferimento alla “relazioni trasmesse dai dipartimenti di prevenzione delle Aziende sanitarie provinciali all’assessorato alla Salute”. Non alla furia del sindaco, che avrebbe voluto sbranarli. De Luca, inoltre, aveva preteso dal governo una copia del verbale del Comitato tecnico-scientifico, che aveva chiesto alla giunta l’istituzione della “zona rossa” per tre settimane. Incolpando Razza e Musumeci di non tenerne conto.

Scateno è la voce rigorista e aperturista, a seconda della situazione. Un capopopolo assoldato da se stesso, che non perde occasione per scalare gli indici di gradimento e che adesso “minaccia” di prendere il comando delle operazioni. Altrove non sarebbe possibile. Ma è la Regione, questa Regione, che continua a lasciare margini di manovra. I sindaci dovrebbero limitarsi a controllare piazze, vie e luoghi della movida, arrivando a chiuderli laddove richiesto dalle situazioni. Condividendo, in linea di massima, gli orientamenti di Stato e Regione. Ma negli ultimi giorni si sono spinti oltre, dopo aver capito che a Palazzo d’Orleans, più che la cautela, prevalevano incertezza e disagio. Guardate cosa è accaduto con l’istruzione.

Con le prime scuole già riaperte, venerdì, Leoluca Orlando e Salvo Pogliese, a Palermo e a Catania, si sono arrogati il “merito” di sospendere per un paio di giorni le lezioni in presenza, in attesa che i mille organi regionali (dal Cts alla task force sulla scuola, diretta da Elio Adelfio Cardinale) dessero “indirizzi univoci per tutta l’Isola”. Indirizzi resi noti soltanto venerdì sera, al termine di un lungo inseguimento. E neanche in maniera così chiara. L’ordinanza di Musumeci, condivisa dall’assessore all’Istruzione, Roberto Lagalla, ha determinato infatti una riapertura a singhiozzo: i primi a tornare a scuola, per favorire un necessario processo di socialità, sono stati i bambini di asili e scuole dell’infanzia; lunedì prossimo – ma come si spera che il quadro epidemiologico possa migliorare così in fretta? – toccherà agli studenti di elementari e medie, mentre a febbraio sarà il turno delle superiori. I liceali, in questi mesi di fermo biologico, hanno dimenticato cosa sia un banco.

La posizione del governo, fra l’altro, non ha convinto molti giuristi. Secondo l’avvocato palermitano Rocco Todero, membro della fondazione Luigi Einaudi – quella che ottenne la desecretazione dei verbali del Cts che portarono al primo lockdown – e studioso di diritto costituzionale, c’è un bug evidente nella scelta del governo: “Il governatore Musumeci ha fatto un’ordinanza di chiusura delle scuole – ha segnalato su Facebook -. A giustificazione del nuovo provvedimento vi è citato solo l’aumento dei contagi e non c’è nessun riferimento a terapie intensive e morti. Zero riferimenti anche sulla capacità del sistema sanitario regionale e sullo stato di criticità dello stesso. Della possibilità che l’amministrazione regionale possa potenziare la sanità non se ne parla nemmeno. Quindi chiedo: è legittima un’ordinanza che fonda restrizioni solo su aumento contagi? Ma non si era detto che dovevamo guardare soprattutto a terapie intensive e morti? Ma i contagi che aumentano e non creano criticità perché devono comportare ulteriori restrizioni? Ma è legittimo tutto ciò?”

Le decisioni della Regione, che da un lato vorrebbe garantire la popolazione studentesca (pur sapendo che, anziché chiudere gli istituti, sarebbe centomila volte meglio rafforzare i trasporti) e dall’altro gli operatori commerciali, cozzano con il buonsenso. Infatti, mentre le scuole rimarranno sigillate, i negozi potranno continuare con lo shopping. L’unica precauzione è il contapersone all’ingresso e una comunicazione all’Asp sulla capienza massima dei locali. Basterà? Il Comitato tecnico-scientifico, consultato e inascoltato, aveva suggerito misure assai più restrittive: la chiusura di bar e ristoranti sette giorni su sette, e dei negozi (ad eccezione di supermercati et similia), che avrebbero dovuto abbassare le saracinesche entro le 18. Inoltre, prevedevano l’asporto fino alle 15 e condizioni assai più limitanti (sugli orari) per parrucchieri e centri estetici. Una serie di provvedimenti che sembravano aver convinto anche Musumeci, tornato per qualche ora colonnello.

Ma il presidente della Regione ha dovuto desistere. Con una buona dose di confusione. Venerdì, alle 14, faceva scrivere al suo ufficio stampa che “siamo preoccupati per l’attuale andamento della curva dei contagi in Sicilia, per questo abbiamo chiesto al ministro Speranza, che ringrazio, di anticipare di almeno una settimana il provvedimento di istituzione della zona arancione per la Sicilia”. Un paio d’ore dopo, durante la passeggiatina con Matteo Salvini all’albergo delle Povere, intercettato dai giornalisti, forniva un’altra versione: “Avevamo chiesto la zona rossa per almeno una decina di giorni, ma il Ministro in base al dato epidemiologico ha ritenuto di doverci concedere l’arancione. Pazienza…”.

La pandemia è un sacrificio a tratti insopportabile e a palazzo d’Orleans non hanno ancora preso le misure. Da qui le numerose fughe in avanti – sulla scuola ma non solo – che già durante la prima ondata non erano mancate e che adesso – coi sindaci aizzati dalla paura e dalla smania di protagonismo – potrebbero proseguire. Orlando, ad esempio, ha già “dato mandato agli uffici di prevedere un mio ulteriore provvedimento di riproposizione del divieto di stazionamento e per sollecitare l’adozione dell’orario continuato per attività commerciali consentite in zona arancione”. Ma non è tutto. “Prima che sia troppo tardi, prima che si contino in Sicilia migliaia di morti, torno a chiedere al Governo nazionale di dichiarare la nostra regione zona rossa, individuando le necessarie misure per sostenere economicamente chi sarà inevitabilmente danneggiato. In attesa che questo avvenga – ha scritto ancora il sindaco del comune capoluogo – chiedo al presidente Musumeci di provvedere a dichiarare zone rosse tutti i capoluoghi, che sono quelli più esposti, come dimostrano i dati di Catania, Messina, Palermo e Siracusa”. Come ribadito a Live Sicilia, d’altronde, “è preferibile avere quindici giorni di lockdown con i ristori piuttosto che sei mesi di agonia. Il sistema delle zone è stato frainteso, visto come una classifica di merito. Non è così. Il Veneto ha fatto un lavoro esemplare sulla sanità, ma ha avuto problemi di contagi. Qua i colori non sono medaglie al merito. Figuratevi se io ho interesse a che Palermo sia zona rossa”.

Laddove Musumeci e Razza potranno mostrare invidiabili doti organizzative, invece, è l’organizzazione della sanità. Su due fronti: da un lato la gestione dei posti letto negli ospedali, dato che alcuni in pochi giorni sono tornati sulla soglia del collasso; e l’organizzazione ad hoc della campagna vaccinale, che in questi primi giorni ha generato entusiasmo sui numeri (eravamo la seconda regione d’Italia per somministrazione) e proteste infuocate sulla gestione delle file e delle prenotazioni. Qui i sindaci non potrebbero incidere. Altrimenti un De Luca qualsiasi avrebbe già provveduto a organizzare tutto.

Caos a Messina: De Luca contro Razza

E’ caos assoluto a Messina per un’ordinanza di Cateno De Luca, che scatta dal prossimo 15 gennaio. Il sindaco, varando una serie di provvedimenti restrittivi (denominato “ultra lockdown”), ha disposto, fra le altre cose, il divieto d’asporto per tutte le attività e, soprattutto, la sospensione delle attività di vendita dei beni di prima necessità. Si tratterebbe, di fatti, di una stretta pesantissima anche per i supermercati. Una decisione che ha fatto saltare sulla sedia Ruggero Razza, assessore regionale alla Salute: “Non si può, invece, condividere il provvedimento del sindaco peloritano che, a prescindere da ogni valutazione di natura giuridica, vieterebbe dal 15 gennaio le attività essenziali, a cominciare dalla vendita di generi alimentari. Si tratta, chiaramente, di limitazioni incompatibili con le primarie ed irrinunciabili esigenze di ordine sociale. Confidiamo pertanto in un provvedimento di rettifica”.

De Luca, nel corso di una diretta Facebook, aveva già messo le mani avanti, parlando di un “refuso” e spiegando che all’interno dei supermercati è sospesa la vendita delle categorie di prodotti (ad esempio, quelli di ferramenta) che si trovano nei negozi destinati a rimanere chiusi. Tutto ciò per evitare la concorrenza sleale. “Razza, che fra una partita a carte e l’altra si ricorda di essere l’assessore alla Sanità, smetta di fare sciacallaggio politico e pensi a rimuovere La Paglia (direttore generale dell’Asp), che ci ha portato in “zona rossa”. Tu aspettiamo a Messina – è l’invito rivolto a Razza – per parlare di tutte le porcherie che ha combinato il tuo uomo. Musumeci, fra una cavalcata e l’altra, si ricordi che è proprio la sanità ad aver ridotto Messina in questo stato. Per quello che mi riguarda, ho trascorso una domenica intera a organizzare i servizi dell’Asp, che è amministrata dagli asini volanti che ci avete inviato. L’ordinanza verrà sistemata come doveroso”.