In Sicilia la sanità è una giungla. Tariffe smontate dai giudici, laboratori privati soffocati dei tetti di spesa, ospedali in cui i posti letto si tagliano col bilancino della politica. A pagare, come sempre, sono i cittadini: sborsano di tasca propria, sopportano liste d’attesa infinite, restano sulle barelle dei pronto soccorso. Il dato di cronaca è netto: il TAR del Lazio ha demolito il nuovo nomenclatore tariffario nazionale (DM 272/2024). Una riforma costruita male: criteri opachi, dati vecchi di oltre cinque anni, tariffe che scendono sotto il “Decreto Balduzzi” senza una ragione comprensibile. “Non ragionevolmente comprensibili”: i giudici non usano giri di parole. Il decreto è annullato con effetto differito di 365 giorni per evitare il caos e per rifare i conti – stavolta coinvolgendo davvero i sindacati.

Il CIMEST, Coordinamento Intersindacale Medicina Specialistica ambulatoriale di Territorio, ha evidenziato come “le sentenze del TAR Lazio rappresentano una vittoria fondamentale per tutta la medicina specialistica territoriale e per i cittadini che ogni giorno usufruiscono delle prestazioni ambulatoriali – dichiara il presidente Salvatore Calvaruso – Non era accettabile che tariffe ingiuste e prive di adeguata istruttoria condannassero le strutture private accreditate a lavorare in perdita, con inevitabili ricadute negative sulla qualità dei servizi e sulla salute dei pazienti”.

E qui si apre il capitolo Sicilia. La difficoltà dell’Isola ad adeguarsi al nomenclatore non nasce oggi: è il frutto di un sistema che da oltre dieci anni tiene i laboratori convenzionati prigionieri dei tetti di spesa. Nel 2024 la Regione ha messo 310 milioni: bruciati quelli, stop alle prestazioni in convenzione. Chi può paga, chi non può si riversa sugli ospedali. A rendere la situazione ancora più esplosiva ci sono le nuove tariffe ministeriali, che in molti casi non coprono neppure i costi vivi sostenuti dai laboratori. Lo ha denunciato anche Davide Faraone, capogruppo di Italia Viva alla Camera, ricordando l’esempio del PSA, un esame fondamentale per la prevenzione del tumore alla prostata: «Il rimborso previsto dal SSN è di pochi euro – ha spiegato – mentre il costo effettivo del test è molto più alto. Risultato: molti laboratori lo offrono soltanto a pagamento, e il peso dell’assistenza si scarica interamente sugli ospedali pubblici».

Schifani ha provato a metterci una pezza: 10 milioni nel collegato alla Finanziaria per “migliorare l’assistenza specialistica” e fronteggiare l’impatto del tariffario nazionale, altri 5 per i “percorsi riabilitativi”. Ma la norma è stata impugnata dal Consiglio dei Ministri e finirà davanti alla Corte Costituzionale. Punto. Mentre la Meloni non ha mostrato alcun segno di apertura rispetto alla fine del Piano di rientro, che da 18 anni tiene la Sicilia imbavagliata: la sanità non può permettersi nuove spese, ma deve soltanto limitarsi a garantire i Lea (Livelli essenziali di assistenza).

Sul fronte rete ospedaliera, altro capitolo della farsa. I sindaci del Palermitano denunciano tagli di posti letto in reparti cruciali, soprattutto nelle periferie. Una bozza discussa a luglio, poi cambiata e portata in approvazione in Conferenza permanente per la programmazione sanitaria – organismo che non si riuniva da anni – chiedendo un voto senza mostrare i testi completi. La proposta definitiva è stata approvata questo pomeriggio in commissione sesta all’Ars, ma le polemiche non si placano. “La salute è un diritto fondamentale e non può passare da scorciatoie procedurali”, ammonisce Walter Rà, sindaco di Corleone. Ma la giostra va avanti. Qualche giorno fa il presidente Schifani si è recato in processione dal Ministro Schillaci, a Roma: ha parlato di un incontro che conferma “l’attenzione del governo nazionale verso la nuova Rete ospedaliera siciliana e verso le misure intraprese dal mio governo per ridurre le liste d’attesa. È il risultato di un lavoro di squadra silenzioso e concreto che continueremo a portare avanti con determinazione”.

Sarà, ma i risultati stentano ad arrivare. Nel frattempo, l’assessora Daniela Faraoni inanella record: in otto mesi non è riuscita neppure a nominare il suo successore all’ASP di Palermo, l’azienda sanitaria più grande dell’Isola. E sulle liste d’attesa ha messo la firma su un piano da catechismo più che da sanità: gli “urgenti” visitati subito o entro tre giorni, i “brevi” entro dieci. Bello sulla carta. Peccato che mancano medici, infermieri e macchinari. Risultato? Le urgenze non si abbattono: si nascondono.

Lo ha scritto a chiare lettere Antonio Craxì, già direttore della Unità di Gastroenterologia al Policlinico di Palermo: “Agende chiuse per ‘manutenzione’, esami sdoppiati per rientrare nei tempi, codici sbagliati che trasformano un’urgenza in routine. È il trucco delle liste d’attesa: i numeri sembrano buoni, ma i cittadini restano lì ad aspettare”. E ancora: “In Sicilia il paradosso è totale. Schifani parla di liste ‘azzerate’, Faraoni promette di ‘liberarle’. La realtà? 212 mila prestazioni arretrate (di cui 182 mila visite ed esami) e quasi 30 mila ricoveri programmati mai eseguiti. 90 milioni il costo stimato. Il manager non lavora per ridurre le attese, lavora per farle sparire dalla carta. È un sistema che premia chi trucca i dati, non chi riduce i tempi”.

Il piano Faraoni sulle “fast track” – che le Asp e le aziende ospedaliere devono ancora allestire – rischia di non stare in piedi: prevede corsie preferenziali per codici “U” e “B” che già esistono ma che, nella realtà, hanno prodotto risonanze a sette mesi. Per “smaltire”, la Regione ha stanziato a luglio 60 milioni per le prestazioni aggiuntive (100 euro/ora ai medici, 50 agli infermieri). Ma chi copre le attività serali e i weekend se i turni ordinari sono scoperti? Chi va negli ospedali di frontiera se i concorsi vanno deserti nonostante i fino a 18 mila euro l’anno previsti dall’ultima Finanziaria? I decreti esistono, le risorse non arrivano, gli organici restano vuoti. E così le “fast track” diventano un trucco contabile: togli l’urgenza dalle liste per non farla comparire nei report, salvi il manager, salvi la politica, non salvi il paziente.

Il quadro complessivo, purtroppo, è un disastro: tariffe sbagliate, laboratori strangolati, ospedali impoveriti, liste truccate. Schifani usa la sanità come clava di potere, Meloni tace mentre i suoi uffici impugnano, Faraoni arranca fra nomine mancate e piani irrealizzabili. I siciliani pagano due volte: coi soldi e con la salute.