Il teatrino dell’onnipotenza

Il presidente della commissione Antimafia, Claudio Fava, è assai critico con la manovra targata Armao

La discesa in campo di Claudio Fava per le prossime Regionali, come potenziale candidato del campo largo di centrosinistra, ha subito stimolato un dibattito con gli alleati, Pd e Cinque Stelle, dall’esito ancora incerto; le sue domande sulla sanità siciliana, da presidente della commissione Antimafia, hanno finito – invece – per produrre l’effetto opposto. Una chiusura, o comunque una sensazione di fastidio nel “fornire numeri o dare spiegazioni: ogni richiesta di approfondimento o precisazione è stata interpretata come una perdita di tempo”. Della serie, “ci sono altre urgenze, c’è altro a cui pensare”. Le audizioni sono cominciate mercoledì scorso con l’ingegnere Mario La Rocca, che ha da poco preso il posto di Maria Letizia Di Liberti (indagata dalla procura di Trapani e sospesa dal servizio) a capo del dipartimento Attività sanitarie e Osservatorio epidemiologico della Regione. Tirarsi indietro, va da sé, “è un comportamento sbagliato, a maggior ragione – spiega Fava – dopo aver dimostrato al mondo che i numeri sulla pandemia erano il frutto di estrazioni del lotto”.

Da cosa è determinato il fastidio nel parlare con l’Antimafia?

“Forse dal bisogno di sottrarsi alla vista, allo sguardo, alla necessaria trasparenza. E’ come se parlare di cifre, numeri, parametri, ma anche di bandi, assunzioni, consulenze, fosse superfluo; come se dietro le nostre domande si nascondesse un eccesso di zelo. Ma poiché siamo in Sicilia e non nelle Fiandre, e ci troviamo nel day after della più colossale inchiesta conosciuta dalla sanità pubblica in Italia, ci sembra il minimo che la Commissione Antimafia debba prendere nota di tutti i passaggi che si sono consumati durante l’emergenza Covid. Parliamo di un’amministrazione e di un governo quasi decapitati dalle inchieste giudiziarie; di appalti milionari prorogati nonostante le aziende siano indagate per reati gravi”.

Quali sono le prime risposte?

“Dall’audizione dell’ingegnere La Rocca sembrava che la nostra fosse un’inutile curiosità, puro gossip politico. Beh, non lo era. Piuttosto, abbiamo rilevato che non c’è traccia della corrispondenza istituzionale fra la Cuc e l’assessorato alla Salute, non si ha contezza di quante volte si riunisca e a cosa serva davvero questo Comitato tecnico-scientifico. Di fronte a queste sfasature, le risposte sono state vaghe e persino un po’ piccate”.

L’ingegnere La Rocca era stato l’autore di quell’audio su Whatsapp, rivelato dai giornali, in cui veniva chiesto ai direttori generali delle Asp di caricare i posti letto sulla piattaforma per evitare le restrizioni. A quell’episodio seguì un’attività ispettiva da parte del Ministero di cui nessuno ha avuto notizia.

“Anche la Rocca ci ha detto di non esserne al corrente. Rimane uno dei punti d’attesa di questa vicenda”.

C’è anche una recente interrogazione del Pd per capire come vengano assegnati gli incarichi dal soggetto attuatore dell’emergenza, Tuccio D’Urso, e a quanto ammontino.

“Riceveremo i dati nelle prossime ore e potremo valutare tutto con attenzione e senza fretta. Ringraziamo D’Urso per la celerità”.

Questo allentamento dei meccanismi di controllo, che sostituisce gli appalti con gli affidamenti diretti, e introduce la possibilità di conferire gli incarichi ai medesimi professionisti (senza utilizzare il meccanismo della rotazione), non è un rischio eccessivo?

“Se allentamento vuol dire totale anarchia nei processi di decisione e di spesa, totale arbitrarietà nei processi selettivi, o la possibilità di poter scegliere senza dare giustificazioni, non è un miglioramento dell’azione amministrativa, ma una devastazione. Non si tratta di allestire una fiera ma di affrontare la più grande pandemia che la storia dell’uomo conosca. Le funzioni di governo devono garantire trasparenza, ma anche razionalità, essenzialità, concretezza dei metodi scelti per la selezione. Dai dati che avremo a disposizione, cercheremo di capire se questi criteri sono stati utilizzati oppure no”.

Musumeci dovrebbe nominare l’assessore alla Salute e uscire da questa impostazione di presidente uno e trino?

“Io ho la sensazione che il presidente sia entrato in una logica wagneriana, da Sturm und Drang, per cui ‘non avremo paura’, ‘dimettersi è da vili’, ‘sapremo tenere l’assessorato’… E’ come se si fosse costruito una sua odissea privata, una lunga guerra personale con molti nemici attorno, alla quale deve far fronte mantenendo le posizioni. Invece il discorso è molto più semplice: si tratta di garantire fluidità e qualità all’azione amministrativa, e un assessorato ad interim non può garantirle”.

Cosa dovrebbe fare?

“Intanto, comprendere se esiste una maggioranza, che al di là delle urla di battaglia di Musumeci, più che zoppicare sembra franare. E capire se gli esiti disastrosi, anche dal punto di vista dell’immagine della Sicilia, dei numeri della pandemia, siano soltanto strumentalizzazioni di delinquenti politici, come li definisce piuttosto rozzamente il governatore, o dell’incapacità di gestire la macchina amministrativa. Qui non c’è nulla di epico: non c’è una guerra in corso, non c’è l’Orlando furioso. C’è soltanto una defaillance grave sul piano politico e amministrativo, e un presidente che continua ad agire come se fosse stato avviato dalla sacra chiesa romana a fare una crociata contro gli infedeli. Non ci sono infedeli, non ci sono delinquenti politici. C’è soltanto un’azione di governo non degna di questo nome”.

L’esito dell’emergenza rifiuti è che i rifiuti verranno spediti fuori dalla regione. Come giudica questa exit strategy del governo?

“E’ una decisione gravissima. Tre anni e mezzo fa, Musumeci sapeva perfettamente – per averne fatto uno dei temi più significativi della sua campagna elettorale – che il problema dei rifiuti andava risolto non provando a gestire l’emergenza, ma superandola attraverso l’impiantistica. Dopo tre anni e mezzo, non c’è un solo impianto in più e le discariche private continuano a essere il destino inevitabile della maggior parte dei rifiuti prodotti in Sicilia”.

Perché?

“E’ la conseguenza di gestioni avventate e allegre, al limite del codice penale, che hanno richiesto l’intervento dell’autorità giudiziaria. Con le discariche chiuse o incapaci di smaltire l’emergenza quotidiana, l’unica soluzione è portare la spazzatura fuori. E’ il dato plastico del fallimento di questo governo, della sua subalternità politica ai padroni delle discariche, che continuano ad essere gli unici che possono permettere, garantire, offrire una soluzione a questa emergenza”.

Crede che la Regione possa subentrare ai privati nella gestione di un termovalorizzatore? O anche in quel caso sarà un affare per i soliti “padroni”?

“Da quanto appreso, i progetti giunti all’esame della commissione Via-Vas sono fuori dai parametri fissati dalla normativa vigente. Alcuni sono stati rispediti al mittente. Bisogna capire se deve prevalere la salute del territorio e della comunità, e quindi cercare impianti che rappresentino il massimo livello di affidabilità tecnologica, di tutela ambientale e di efficacia rispetto al carico che devono smaltire. O se si tratta di agevolare il profitto dei privati: in questo caso, andremmo verso termovalorizzatori di cuffariana memoria che erano inutilmente giganteschi, totalmente spropositati rispetto alle esigenze della Sicilia, e destinati a produrre un ulteriore valore aggiunto negativo rispetto ai temi dell’inquinamento ambientale. Su questo, non è detto che l’interesse dei privati coincida con quello del pubblico. La governance non deve soltanto mettere limiti, condizioni, vincoli, percorsi, ma in alcuni casi può anche sostituirsi al privato. Utilmente”.

La sua discesa in campo è stata accolta in maniera un po’ freddina dal segretario del Pd e dal leader dei Cinque Stelle siciliani.

“E’ quello che prevedevo. Ma io continuo a pensare che sia sbagliato mettersi attorno un tavolo e costruire, con il puntiglio del notaio, un programma, sul quale poi costruire la convergenza, verificare le disponibilità da sottoporre ai vagli romani, e infine, una settimana prima di presentare le liste, tirare fuori il coniglio dal cilindro. Questo è un modo per perdere e io non voglio contribuire a una sconfitta. Ritengo che la mia candidatura possa essere una risorsa reale, dagli esiti positivi. Ma credo pure che il fattore tempo sia determinante: una campagna elettorale non si fa parlandosi tra segretari. Se vogliamo immaginare di condividere un progetto di liberazione da pratiche umilianti che abbiamo subito per molti lustri, occorre una coalizione coesa, coerente, aperta, inclusiva, forte e capace di parlare subito con i siciliani. Con la mia intenzione di candidarmi ho già contribuito ad aprire un dibattito”.

Crede davvero di poter coinvolgere i moderati in un progetto che nasce a sinistra?

“Penso che la parola “moderato” vada accompagnata in soffitta. Ci sono percorsi e affinità diversi tra loro, che ambiscono tutti a un cambio di passo radicale nelle forme e nei contenuti del governo della Regione. Non credo sia soltanto una esigenza della sinistra. E ne ho avuto conferma in questi anni di esperienza all’Ars: tra quelli che vengono storicamente definiti “moderati”, ho scoperto esigenze, politiche, passioni, risorse e disponibilità a spendersi in un vero processo di cambiamento. E’ chiaro che si debba parlare anche con loro. Ma non si tratta di aggiungere una bandiera alla nostra collezione di partiti quanto, piuttosto, di coinvolgere tutti coloro che si sentono liberi di poter esprimere una valutazione critica su questa stagione di governo e disposti a scommettere per un cambio di prospettiva, di linguaggio, di futuro. Anche i cosiddetti moderati hanno pieno diritto di sentirsi delusi e di voler voltare pagina”.

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