Il Covid sta mettendo a dura prova la tenuta delle imprese. Secondo quanto segnalato dall’Istat, che tiene acceso un faro su questo mondo, il 38% di esse ha richiesto il sostegno pubblico per agevolare l’accesso al credito: nell’80% dei casi è riuscito ad ottenerlo. Ma i dati propendono tutti verso il basso, ad eccezione dell’online: la vendita di beni e servizi attraverso i siti web aziendali è quasi raddoppiata e coinvolge il 40% delle imprese. L’interazione con la clientela attraverso i social media, già presente nel 22% delle imprese, durante la crisi è stata incrementata da un ulteriore 17%. In generale, il 36% del fatturato delle imprese passa dai canali di vendita digitali (si stima che circa 170 mila imprese abbiano siti web per l’e-commerce).

I quattro quinti delle imprese oggetto d’indagine (804 mila) sono di piccolissima dimensione (meno di 9 addetti). Soltanto il 26% delle imprese attive si trova nel Mezzogiorno, dove vive invece un terzo della popolazione nazionale. Nel corso della rilevazione, quasi il 70% delle imprese ha dichiarato di essere in piena attività, mentre il 7% ha dichiarato, invece, di essere chiuse: si tratta di circa 73 mila imprese; di queste ben 17 mila non prevedono di riaprire.

La gran parte delle unità produttive “chiuse” sono microimprese e si concentrano nel settore dei servizi (sport e intrattenimento, ma anche servizi alberghieri e ricettivi). Una quota rilevante d’imprese non operative si concentra anche nel settore della ristorazione e del commercio al dettaglio. Tra le imprese chiuse, quelle del Mezzogiorno sono a maggior rischio di chiusura definitiva: quasi un terzo (6 mila unità) prevede, infatti, di non riaprire, rispetto a un quarto nella media nazionale. Più di due terzi delle imprese segnalano, tra giugno e ottobre, una riduzione del fatturato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Quella con la flessione maggiore si trovano nel Lazio, in Sicilia (17,4%), in Campania e Calabria.