In questi giorni di altissima tensione all’Ars, c’è un intreccio che pochi colgono: quello tra questione morale e campagna elettorale. Perché c’è un tentativo, quasi stoico, di piegare le ragioni della prima agli interessi della seconda. In Sicilia, è vero, si vota solo nel 2027: in primavera toccherà alle Amministrative di Palermo, per le quali Roberto Lagalla si appresta a diventare sindaco un’altra volta; a novembre sarà il turno delle Regionali e Renato Schifani già pregusta il bis. È (anche) in queste direzioni che si possono leggere gli avvenimenti recenti. Partendo dalle strane transizioni all’interno di Gesap, ossia la società che gestisce l’aeroporto “Falcone-Borsellino” di Palermo.

Qualche giorno fa l’assemblea dei soci ha approvato un bilancio in attivo per oltre 13 milioni. E ha determinato l’ingresso nel Cda di Gianfranco Battisti, storico manager di Ferrovie dello Stato, la cui nomina è stata voluta – ufficialmente – dalla Città Metropolitana. Con un solo obiettivo: far contento Schifani. Il governatore, che non possiede una sola azione di Gesap, nel ‘23 aveva indicato il prof. Vito Riggio: il rapporto sembrava disteso e complice finché l’ex Ad di Enac ha criticato una misura del governo (l’abolizione dell’addizionale comunale per gli aeroporti minori). Fine della corsa. Da quel momento è stato chiaro per tutti, anche se tutti ne ignorano il motivo, che Schifani avrebbe avuto voce in capitolo sul successore.

Eppure con Lagalla, fino alla fondazione di Grande Sicilia (con Lombardo e Micciché), era prevalso il gelo. Il sindaco di Palermo si era preso una ramanzina, durante una convention di Forza Italia, per aver partecipato a un’iniziativa di Tajani poco prima delle Europee. I due non si erano salutati in occasione di un congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati (“Ognuno ha il proprio stile istituzionale”, chiosò Schifani); avevano battibeccato su alcuni cambi in giunta e sulle critiche di Faraone al presidentissimo (che pretese la “scomunica” degli assessori renziani); si erano fatti la guerra sulla nomina del sovrintendente del Teatro Massimo: alla fine la scelta è ricaduta sul maestro Marco Betta. Da quel momento, però, Lagalla è in vena di concessioni su tutto. Un atteggiamento che palesa un solo scopo: guadagnarsi la fiducia di Schifani in vista delle Amministrative. Per le quali il sindaco vorrebbe ripresentarsi, nonostante l’accozzaglia di partiti che lo sostiene stia dando segnali preoccupanti di cedimento.

La riconferma di Lagalla a Palazzo delle Aquile passa, però, dal sostegno di Forza Italia e del governatore. Che dal suo ex competitor, nei prossimi giorni, potrebbe ottenere un altro riconoscimento prestigioso: la nomina di Carmelo Scelta come Direttore generale della Gesap. Un altro pezzo da novanta perorato da Schifani. Il cerchio, però, si chiuderà solo più avanti, quando il nome del sindaco ricomparirà sulla scheda elettorale. Nel frattempo Punta Raisi potrebbe già godere degli effetti di queste manovre (forse).

Il presidente della Regione, intanto, è nel vivo di un’altra trattativa: quella con i patrioti romani di Fratelli d’Italia. Dopo aver osato criticare Scarpinato ai tempi di Cannes – dimostrando, comunque, di averci visto giusto – Schifani ha appena confermato la fiducia all’assessore al Turismo, Elvira Amata, che ha appena ricevuto dalla Procura di Palermo la notifica di conclusione indagini. L’esponente della corrente turistica e allieva di Manlio Messina è accusata di corruzione. Dalle intercettazioni emerge lo “scambio” con Marcella Cannariato (che lo stesso Schifani aveva nominato nel Consiglio d’indirizzo del Massimo, che giri…): 30 mila euro alla Fondazione Belisario per l’organizzazione di un evento, in cambio di un posto di lavoro per il giovanissimo nipote dell’assessora. E ancora: affitti, soldi, favori, condizionamenti. “Amata e Giuseppe Martino hanno stabilmente asservito le rispettive funzioni pubbliche agli interessi personali dei coniugi Dragotto”, scrivono gli investigatori nelle informative dirette ai pm Andrea Fusco e Felice De Benedittis.

Per molto meno Schifani ha tagliato delle teste (come quella di Riggio, ad esempio, o dei due sub commissari della Palermo-Catania, o del referente Anas in Sicilia), ma di fronte a cotanto scempio, no: ha deciso di essere clemente. Di perdonare. E aspettare che sia Fratelli d’Italia a fare il primo passo. Non gli è bastato leggere neppure dell’esclusione del film dedicato a Biagio Conte dai finanziamenti della Film Commission di Nicola Tarantino per lanciarsi nel solito scatto d’ira.

La “piena fiducia” ad Amata è l’istantanea più grottesca di questi giorni. Surrealismo allo stato puro. La dimostrazione che la politica, nonostante tutto, riesce a prendere sotto gamba persino gli scomodi intrallazzi tra le istituzioni e gli imprenditori senza scrupoli; assolve i comportamenti peggiori e si limita a partorire una strana riunione di maggioranza da cui emerge “grande compattezza” sulla prossima Finanziaria-ter (con l’unico compromesso che stavolta non verranno inserite mance).

È chiaro che Schifani non voglia creare un altro precedente con Fratelli d’Italia (dopo quello di Scarpinato): i patrioti sono l’unico, vero passepartout – con Galvagno fuori gioco – per giocarsi la carta della riconferma, e respingere l’assalto di qualche temerario (Tamajo?). La Russa è stata la sua fideiussione politica anche nei momenti peggiori, quando FdI partiva all’attacco sul capitolo sanità e sulla nomina dei manager; Meloni, coi milioni per dissalatori, sta provando a tirarlo fuori dalle secche della siccità e dalle emergenze più tempestose; il Balilla, la cui posizione all’interno del partito può apparire indecifrabile (almeno a Roma), resta pur sempre il riferimento della corrente turistica e il burattinaio delle pedine che in Sicilia hanno trasformato la cultura in una privativa.

Mettersi contro i patrioti non sarebbe un affare, significherebbe perdere – a 80 anni – la possibilità di rifare il presidente della Regione; di controllare gli aeroporti; di completare i termovalorizzatori; di dirigere l’orchestra del sottogoverno. Non c’è questione morale che tenga; la poltrona val bene un’Amata.