Sarà pure il prediletto di Renato Schifani, ma Edy Tamajo ha dovuto accontentarsi dell’ottavo posto – l’ultimo! – nella lista di Forza Italia per le Europee nella circoscrizione Isole. Una specie di mortificazione, anche se nessuno troverà il coraggio di ammetterlo. I meriti di Tamajo, ventuno mila preferenze alle ultime Regionali, sono inversamente proporzionali alle gratificazioni che gli concede il partito. L’ex esponente di Italia Viva, oggi assessore regionale alle Attività produttive, lo scorso febbraio era stato “escluso” dalla segreteria nazionale, a beneficio di Marcello Caruso. Dovrà dimostrare con la forza dei numeri, ancora una volta, di meritarsi più ampia considerazione. Specie in un contesto che, ormai, sembra tener conto di altri fattori: la capolista, infatti, è Caterina Chinnici, che solo un anno e mezzo fa provava a contrastare l’armata del centrodestra, nella fattispecie il candidato governatore Schifani, nella corsa per Palazzo d’Orleans.

Fra la Chinnici e il resto dei componenti della squadra, non tira una bella aria. Tanto che nel giorno della presentazione della lista, a Palermo, le smorfie erano più assidue (e significative) delle parole. Tra le dichiarazioni più puntute, proprio quella di Tamajo: “Siamo gente abituata ad andare a cercare i voti”. Loro. Mentre alla Chinnici, che ha ringraziato Tajani per averle concesso la vetrina di “capolista” (pur da neofita della galassia berlusconiana) è tutto dovuto. La figlia del giudice Rocco, ammazzato dalla mafia nel 1983, cerca la conferma a Bruxelles per la terza legislatura di fila. Ma il modo in cui s’è sbarazzata della concorrenza è plateale e tuttora sorprendente. Alle sue spalle non ci sono siciliani, bensì i sardi Michele Cossa e Maddalena Calia. Poi Massimo Dell’Utri, candidato in quota Noi Moderati. E soltanto dopo Marco Falcone, un altro abituato a cercarsi i voti.

Soltanto in fondo Tamajo. Edmondo Tamajo. Che si era messo a disposizione lo scorso gennaio su richiesta pressante dei dirigenti siciliani. Che oggi però non sembrano tutelarlo abbastanza: non vogliono oppure, semplicemente, non riescono. Perché la decisione di Tajani di calare dall’alto la Chinnici – che fra l’altro ha l’obiettivo di rigenerare l’immagine di Forza Italia e mascherare l’assenza del partito su alcuni temi di scottante sensibilità come gli imbrogli del turismo – è emblematica della (scarsa) considerazione dei due reggenti azzurri in Sicilia (tanto che il presidente della Regione, adducendo a “un altro impegno” era assente al battesimo della lista). E’ vero: per non sentire Schifani, ed evitare che una nube di rancori accompagnasse la sua nomina a segretario, Tajani gli ha affidato la guida del Consiglio nazionale del partito. Ma sia il governatore che Marcello Caruso, attuale commissario regionale, non sembrano molto in linea con le decisioni verticistiche. Non godono di grossi crediti a Roma. La loro vision non entusiasma, le loro abilità di governo non impressionano (e anche la proposta di un apparentamento con Cuffaro è stata respinta con perdite).

E’ vero che una lista non fa primavera – a Tamajo basterà sfoderare una prestazione monstre per appropriarsi di ciò che gli spetta, cioè il seggio – ma ci sono altri elementi che depongono a supporto di questa teoria. Vale a dire il coinvolgimento del sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, nella sottoscrizione del manifesto che sancisce “l’alleanza delle forze civiche moderate per il futuro del Ppe”. E’ successo tutto un paio di giorni fa a Roma, nella sede della fondazione De Gasperi, dove il vicepremier, affiancato dal governatore Alberto Cirio, ha voluto espandere la rete forzista a civici e moderati. Con l’obiettivo, rivelato al Corriere della Sera, di costruire “la dimora del popolarismo europeo in Italia”.

Sembra una di quelle mosse utili, con una buona dose di fuffa, ad allargare il consenso alla vigilia di una tornata elettorale. E probabilmente lo sarà. Ma non si esclude un “dopo”. Specie se tra i firmatari spicca il nome dell’ex rettore, e attuale sindaco di Palermo, che si è sempre professato civico ma che è reduce, altresì, da esperienze politiche poco gratificanti: era stato ingaggiato dall’Udc prima delle Amministrative del 2022 (progetto abbandonato precocemente); si era avvicinato a Italia Viva qualche mese fa, grazie alla sponda di Faraone, ma non è successo più di tanto. Ecco che la prospettiva Forza Italia, nonostante qualche dissidio interno al consiglio comunale nei mesi scorsi (i forzisti, con Caruso in testa, premevano per la sostituzione degli ex assessori miccicheiani, minacciando di abbandonare la maggioranza), assume un significato nuovo. Anche e soprattutto per i rapporti non sempre idilliaci con Schifani & friends (basti pensare alle gelosie suscitate dalla visita del magnate Nakajima a Palermo, ricevuto unilateralmente dal sindaco).

Tajani, come è lecito, sta pensando a tutte le alternative per le prossime Regionali del 2027. Per evitare di consegnare Forza Italia a una confraternita stagionata, che peraltro – fin qui – non ha dato prove di buon governo, consegnandosi sempre più spesso ai diktat di Fratelli d’Italia. E Lagalla, che smentisce qualsiasi adesione, sarebbe un profilo spendibile. “C’è un’aggregazione di sindaci e di amministrazioni locali che, provenendo da esperienze di civismo, intende organizzarsi in rete, convintamente all’interno del perimetro di centrodestra, richiamandosi ai valori del cattolicesimo democratico liberali e al ruolo del popolarismo europeo – dice Lagalla -. Tutto ciò nel rispetto delle attuali e rispettive autonomie politiche ed organizzative”. Ma questo rispetto non esclude che un giorno, magari non troppo lontano, possa sfociare in un sodalizio. Anche se occorrerà ponderare per bene scelte e tempistiche per evitare di incorrere in un altro turbine di rancori. La concorrenza, salutare per molti ambienti, in politica è dannatamente fastidiosa. In Forza Italia poi…