La parifica della Corte dei Conti, come ogni anno, rappresenta un alert per la Regione. Tutti i racconti del presidente Schifani e dell’assessore all’Economia Marco Falcone – a partire dal progressivo miglioramento del disavanzo, passando per le valutazioni positive delle agenzie di rating, fino agli interventi finanziari a prova d’impugnativa – vengono messi a nudo dai rilievi dei giudici che tuttavia, anno dopo anno, denotano le medesime incongruenze di fondo. Ad esempio, nel rendiconto 2021, il cui giudizio di parificazione resta in sospeso, la magistratura contabile auspica “una tempestiva attività, da parte degli organi regionali, al fine di completare l’iter normativamente previsto per gli enti, ritenuti, dalla stessa Regione, non più necessari per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”. Insomma: auspica la chiusura dei carrozzoni.

Si tratta di società inutili, per le quali la Regione – da tempo immemore – ha avviato procedure di liquidazione, ma che tuttora sopravvivono “con conseguenze economiche, relative anche ai costi della gestione commissariale, sulla finanza pubblica e sugli equilibri a tutela della legalità finanziaria”. I cosiddetti rami secchi che nessuno riesce a tagliare, e che incidono sul bilancio consolidato dell’ente, sono svariati. La Regione vanta partecipazioni dirette in sei società in liquidazione: la Stretto di Messina S.p.a. (oggi rilanciata dal governo nazionale per sbloccare le pratiche relative alla costruzione del Ponte sullo Stretto), Biosphera, INFORAC, Terme di Sciacca S.p.a., Terme di Acireale S.p.a. e Sicilia Patrimonio Immobiliare. Quest’ultima la conosciamo bene: è la società mista (per il 35% in mano ai privati) incaricata di realizzare il famoso censimento del patrimonio immobiliare, e finita al centro dello scandalo per la gestione di Ezio Bigotti, divenuto Amministratore delegato nonostante avesse in dote solo le quote di minoranza (peraltro facenti capo a finanziarie con sede in Lussemburgo).

Mentre la Corte suggerisce alla Regione di completare la ricognizione del patrimonio, per appurare il suo reale valore, la Spi è ancora viva e lotta insieme a noi. Ma a parte le sei società appena segnalate, “molteplici sono gli enti ed organismi strumentali sottoposti a vigilanza e gli enti pubblici vigilati in liquidazione”. Ma non è tutto. Perché le riserve dei giudici si estendono non solo agli enti in liquidazione, ma anche alle società partecipate (quattordici in totale, di cui una, Riscossione Sicilia, cessata d’ufficio nel 2021) che la Regione ha tutto l’interesse a mantenere in vita nonostante le copiose perdite accumulate. Nella relazione finale delle Sezioni di controllo, diretta da Salvatore Pilato, si fa accenno ad alcune di esse.

“Alcune società, sebbene abbiano registrano costanti e consistenti perdite d’esercizio – sottolinea la magistratura contabile – sono state ricapitalizzate dalla Regione più volte; in particolare, Airgest S.p.A., in perdita dal 2014, è stata ricapitalizzata nel 2017, 2018 e 2020 e Parco Tecnologico Scientifico SCPA, in perdita dal 2017, è stata ricapitalizzata nel 2020 e nel 2021”. Airgest è la società controllata al 99,96% da Palazzo d’Orleans, che gestisce lo scalo di Birgi, a Trapani. Un autentico gioiellino che Musumeci prima e Schifani poi hanno fatto il possibile per tirare fuori dagli abissi. A qualunque costo. Il governatore in carica, all’inizio del proprio mandato, avrebbe voluto affidarlo alle cure di Vito Riggio (ex capo dell’Enac, oggi nel Cda di Gesap a Palermo), ma dovette rimangiarsi la promessa di fronte ai numeri messi in fila da Salvatore Ombra, attuale amministratore della società. A Trapani si sfiora il milione di passeggeri annui grazie ai forti incentivi nei confronti di Ryanair: l’aeroporto è cucito a misura per gli irlandesi.

Eppure, come dimostrano le ultime manovre in fase di collegato, nonostante l’aumento del traffico passeggeri, Airgest ha visto erodere progressivamente il suo capitale per colpa della pandemia e della crisi. In vista dell’ammontare medio dei passeggeri – prossimi al milione – dovrebbe disporre di un patrimonio pari a 7,7 milioni di euro. La Regione ha contribuito erogandone 4,2. Va così da tempo, come testimonia la Corte dei Conti. “Ciò che risalta, nel caso di Airgest S.p.A., è il continuo ricorso a processi di ricapitalizzazione (…), che vengono riproposti, di anno in anno, anche in assenza del raggiungimento degli obiettivi prefissati dal piano di risanamento”.

Ma c’è un’altra società del “gruppo” a lasciare di sasso i giudici: è Sicilia Digitale. La società informatica finita al centro di numerosi scandali e che nemmeno il paladino dell’antimafia, Antonio Ingroia, riuscì a tirare fuori dal baratro (anzi fu citato in giudizio per danno erariale). Nel caso di Sicilia Digitale, “in perdita nel 2020 e ricapitalizzata nel 2021”, le “Sezioni riunite hanno posto particolare attenzione in ragione della complessa situazione afferente ai reciproci rapporti debito/credito tra l’Amministrazione regionale e la società predetta”. In favore di Sicilia Digitale, peraltro, l’Amministrazione regionale era intervenuta con legge, nel 2021, che “per garantire la continuità funzionale” e “al fine di fronteggiare la spesa straordinaria finalizzata al superamento delle procedure esecutive intraprese da Engineering S.p.A. e Accenture Italia S.p.A” (cioè gli ex soci privati), metteva sul piatto 12,3 milioni per chiudere i contenziosi e decretarne la salvezza in corner.

Alle richieste di chiarimento della Corte, la Regione ha tirato fuori gli impegni di Sicilia Digitale: cioè un piano di risanamento “comprovante la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico/finanziario” ma anche la rinuncia “agli otto decreti ingiuntivi, relativi ad attività di gestione e conduzione progettuali eseguite nel periodo 2010-2013 per complessivi 53 milioni di euro pendenti nei confronti della Regione Siciliana”. Per vederci ancora più chiaro, le “Sezioni Riunite si riservano di effettuare uno specifico approfondimento sul tema in occasione del prossimo giudizio di parificazione, con particolare riferimento ai rapporti di debito e credito tra la Regione e la società Sicilia Digitale S.p.A”.

Nel caso di Ast, l’Azienda trasporti siciliana che sembrava sul punto di fallire, la Corte dei Conti ha accertato una discrasia di 339 mila euro fra il Fondo perdite accantonato dalla Regione e quello effettivamente esistente. L’Ast, per lunghi mesi, è stata al centro di uno scandalo giudiziario che ha provato le dimissioni in blocco dei vertici (di fronte alle accuse di corruzione e clientelismo); ha lasciato a piedi i pendolari di mezza Sicilia, perché molte tratte non sono più sostenibili economicamente e il parco mezzi è vetusto; inoltre, potrebbe uscire di scena la prossima estate, quando le tratte del trasporto pubblico saranno aggiudicate secondo la normativa comunitaria, e ad Ast verranno garantite (forse) solo quelle meno remunerative. Nonostante tutto questo, nella prossima Legge di Stabilità – la Corte dei Conti osservi con attenzione – ci sarà un nuovo regalino per salvare capre e cavoli. Venti milioni in totale: dieci nel 2024, altri dieci nel biennio successivo a condizione che venga approvato il piano industriale e che alcune tratte vengano affidate in house. Più che alla realtà, ci si affida alla speranza che qualcosa possa cambiare. Classico dei carrozzoni.