I siciliani – non è affatto una novità – preferiscono curarsi fuori regione. Lo conferma l’ultimo report di Innogea, società che si occupa di consulenza e redazione di dati statistici per le strutture sanitarie a livello nazionale. La mobilità sanitaria passiva ci costa 302 milioni di euro, anche se il saldo fra mobilità passiva e mobilità attiva (cioè gente di fuori regione che decide di curarsi nell’Isola) è diminuito di una manciata di milioni nell’ultimo anno: da 250 milioni del 2020 ai 220 del 2021. Complice la pandemia, qualche siciliano in più ha deciso di affidarsi alle cure dei nostri medici e dei nostri ospedali. Ma sono ancora 7 mila quelli in fuga (per lo più pazienti oncologici: il 15% di essi si rivolge ad altre regioni come Lombardia e Piemonte). In prevalenza scappano per le liste d’attesa infinite e per la scarsa qualità percepita. “Esistono strutture ospedaliere in Sicilia che presentano una qualità clinica assolutamente in linea con i valori delle migliori strutture italiane – osserva il presidente onorario di Innogea, Vittorio Scaffidi Abbate – ma la qualità percepita dagli utenti è in alcuni casi il frutto di retaggi storici. Manca una campagna di informazione che sappia allineare la qualità erogata con quella percepita”.

La sanità siciliana difetta, quindi, in comunicazione. Più o meno come il governo della Regione (è stato Musumeci ad ammetterlo). In attesa di rimediare a questa grave negligenza, per il mondo della sanità è una fase di transizione assai difficoltosa. Il ritorno all’assetto pre-Covid non è ancora completo, e talvolta non è neanche cominciato. Con tutto ciò che ne deriva, a cominciare dalla difficoltà dei pazienti extra Covid di trovare spazio nei reparti abituali. Il fenomeno è esploso in tutta la sua gravità all’ospedale Villa Sofia di Palermo, dove il pronto soccorso è spesso ingolfato, con un indice di sovraffollamento del 300%. Significa tre volte la capienza massima, e che l’assistenza ne risente (anche per l’assenza di medici e figure specializzate). Tutto questo, però, non dipende soltanto da Villa Sofia (che fra l’altro ha bandito un concorso per assumere medici e infermieri), bensì dalla “palude” dell’ospedale Cervello, il nosocomio più grande della Sicilia occidentale, dove però i reparti di area medica sono rimasti blindati: possono accedervi soltanto i pazienti col virus, anche in forma debole. Il fatto è che di “positivi” ce ne sono sempre meno, e i reparti rimangono vuoti. Questo sa di beffa.

L’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, aveva promesso di tornare alla normalità. Col tempo. “I Covid hospital – aveva dichiarato il primo aprile, il giorno dopo la fine dello stato d’emergenza, al Giornale di Sicilia – verranno riconvertiti alle funzioni originali ma potenzieremo i reparti di malattie infettive nei quali i posti letto saranno adeguati al numero dei malati”. Questo passaggio non è stato ancora espletato, anche se si attendono novità per le prossime settimane. Intanto l’assessore ha spedito a Roma la ricognizione finale per l’utilizzo degli 800 milioni previsti dalla missione 6 del Pnrr, che prevede la realizzazione di ospedali e case della comunità (che inizialmente aveva indispettito il parlamento siciliano e il presidente dell’Ars per la scarsa attenzione nei confronti dei deputati); ha inaugurato, sempre nella Capitale, il Cerpes, un centro per le epidemie e le pandemie gestito dal Cefpas – la vera gallina dalle uova d’oro e centro di potere indiscusso – che dovrebbe diventare un modello per tutto il Mezzogiorno; e ha provveduto al rinnovo dei direttori generali di undici aziende ospedaliere, dato che l’Ars – per gli ultimi 180 giorni della legislatura – l’ha privato della facoltà di farne di nuove.

Ma ci sono altri passaggi molto attesi, a partire dalla proroga del personale Covid, un tema su cui le aziende si muovono in ordine sparso. Con una direttiva del marzo scorso, prima della fine dello stato d’emergenza, Razza aveva assegnato alle varie Asp la facoltà di prorogare i contratti in essere, (circa 9 mila), compresi quelli degli amministrativi, fino al 31 dicembre. Consegnando ai manager l’onere e l’onore della decisione. In sostanza, se il bilancio lo consentiva, e la necessità di personale era acclarata, il suggerimento era quello di procedere alla stabilizzazione. In caso contrario, arrivederci e grazie. Su questo fronte, però, i direttori generali non hanno seguito principi uniformi. “Il risultato finale è stato a dir poco sconfortante – è stata la denuncia del Cimo, qualche settimana fa -, con le aziende sanitarie siciliane che, come al solito, sembrano appartenere non a regioni ma a nazioni diverse, ognuna avanti in ordine sparso, con poca coerenza e nessuna uniformità di comportamento. I casi sono due, o i direttori generali non hanno seguito gli input assessoriali o questi non erano sufficientemente chiari”.

Ma per metterci una pezza ulteriore e consentire un percorso di stabilizzazione (che non fa mai male con la campagna elettorale alle porte) si è deciso di aprire una finestra, tramite una norma inserita in Finanziaria, per procedere all’assunzione di chi va in scadenza il 31 dicembre. E’ una specie di salvacondotto che sancisce il via libera alla selezione di tutti i lavoratori “del bacino”. La norma, se da un lato non altera il limite massimo entro cui bandire i concorsi (il 31 dicembre 2022), dall’altro modifica il termine entro cui maturano i 18 mesi di servizio (dal 30 giugno al 30 dicembre 2022). Inoltre, prevede un aggiornamento “anche in deroga” del piano triennale del fabbisogno di personale, applicando “le previsioni di legge anche al personale contrattualizzato a qualunque titolo del ruolo sanitario, tecnico ed amministrativo, selezionato attraverso prove selettive per titoli e/o colloquio, e che abbia maturato o che maturerà alla data del 31 dicembre 2022 i 18 mesi previsti dalla legge” di stabilità nazionale. Chiunque può essere assunto. Passando, però, dal concorso.

L’ultima nota dolente di questi giorni riguarda il pasticcio su un’altra norma presente in Finanziaria – un comma nella fattispecie – che prevedeva l’assegnazione di un bonus a medici e infermieri dell’ospedale Cervello e che invece, a causa di un errore di trascrizione materiale, li escluderà dai benefici della cifra stanziata: un milione circa. Quei soldi finiranno le tasche dei Pip, la sacca dei precari storici di Palermo, che guadagneranno 250 euro in più al mese. “Inoltre – ha spiegato Marianna Caronia, che aveva proposto l’emendamento – a danno di tutti coloro che potrebbero beneficiare del “bonus”, è stata introdotta una clausola che esclude i lavoratori che hanno dei contenziosi con la propria azienda di riferimento, una vera e propria norma ricattatoria che mira a scoraggiare i dipendenti dal rivendicare i propri diritti. Di fronte a questo fatto gravissimo – ha concluso la deputata regionale della Lega – non posso che ribadire che il Governo deve impegnarsi a dare seguito all’impegno assunto pubblicamente dall’assessore Razza, affinché proprio il personale dell’ospedale Villa Sofia-Cervello, che certamente non è stato impegnato contro il Covid meno di altri, abbia finalmente diritto al bonus che in altre strutture è già stato erogato”. Un bel groviglio da districare.