Le passioni hanno quasi sempre tra le loro motivazioni qualcosa di ancestrale, una rintracciabile radice primordiale, legata magari all’infanzia. Prendete quella di Vassily Sortino per Renzo Arbore, ad esempio. Al giornalista palermitano, collaboratore de la Repubblica, classe 1980 (beato lui), venne concesso dai genitori di attardarsi sul divano in mezzo a loro quando, nel 1985, alle undici di sera già passate, esplose su Raidue quell’Helzapoppin televisivo che fu Quelli della notte. Una licenza inattesa per un bambino, uno scialo, altro che un autorevole “avanti marsch!” direzione letto. Lo stesso accadeva due anni più tardi, per la scombiccherata banda di Indietro tutta, stessa rete tv, stesso orario «proibito». Da qui alla tesi di laurea dedicata una ventina d’anni fa allo showman foggiano e al suo pionieristico smazzare le carte della comunicazione radiotelevisiva, il passo è breve; più breve ancora quello, contestuale, di un’amicizia personale; fulmineo, adesso, nonostante siano trascorsi altri due decenni, quello di un volume, Renzo Arbore e la rivoluzione gentile, che le edizioni Leima hanno mandato in libreria con la consueta cura in questi giorni (316 pagine, 18 euro).

Insomma, Sortino in fondo glielo doveva, questo grazie, ad Arbore, da che era bambino. Un grazie cartaceo che ovviamente non può comprendere tutto l’archivio arboriano che, come quello di un artista a 360°, compendia radio, televisione, musica, cinema tra spettacolo tout court e approfondimento, concerti dal vivo e discografia, talk show e film. Per non parlare della concomitante, meritoria opera di talent scout che forse solo Arbore e Pippo Baudo possono vantare nel mondo dello spettacolo italiano di quest’ultimo mezzo secolo. Una biografia artistica (e non solo) «dal vivo» come sottolinea giustamente lo stesso Arbore nelle pagine che precedono l’analisi puntuale, certosina ma per nulla barbosa di Sortino e comunque, puntualizzeremmo noi prendendo a prestito Massimo Catalano, «meglio dal vivo che dal morto».

Un’antologia, dunque, un «fior da fiore» che parte dagli esordi di quel «musicista-programmista» che giovanissimo, negli immediati anni post-laurea, superò proprio per quel ruolo (scegliere i dischi da mettere in onda alla radio) il concorso della Rai (insieme al Gianni Boncompagni che sarebbe presto diventato il suo scapestratissimo sodale): da Per voi giovani che dai vecchi apparecchi e dai nuovi transistor di metà anni Sessanta regalò cittadinanza per la prima volta non solo alla musica ascoltata dalla beat generation nostrana – che arrivava per gran parte dall’Inghilterra e da oltre Oceano – ma anche alla voce dei ragazzi stessi terremotati dalla voglia di nuovo, all’irriverente cazzeggio di Alto gradimento che solo lo stratosferico successo riuscì a salvare dalla grinfie dell’allora occhiutissima censura aziendale; da Speciale per voi, primo esperimento di talk televisivo in cui i divi della musica di quegli anni di contestazione si trovavano faccia a faccia con il pubblico giovane che li disarcionava spesso dal piedistallo della popolarità (leggendaria rimase l’improvvisa fuga dallo studio di Caterina Caselli in lacrime) ai già citati fenomeni di Quelli della notte e Indietro tutta. Fino agli esperimenti più di nicchia, da Doc a Meno siamo e meglio stiamo. E poi il cinema e la musica, anche quelli affrontati con spavalderia eterodossa, dal Pap’occhio al Festival di Sanremo, dai grandi successi popolari – autentici tormentoni perforaorecchie – ai classici napoletani dell’Orchestra Italiana.

Antologia più ragionata che «annalizzata» ad uso di storici e nostalgici ma anche studio su linguaggi e costumi della comunicazione popolare attraverso il contesto sociale e culturale e le interviste sia a studiosi (da Abruzzese a Veltroni) che a «complici» di quelle esperienze (gli scomparsi Boncompagni e De Crescenzo), testimoni di quegli anni (da Baudo a Luzzatto Fegiz), artisti o disc jockey che dalla scuola arboriana hanno tratto insegnamento (da Fiorello a Linus), personaggi scoperti dal Nostro (da Frassica a Telesforo, alla Marchini).

Il tutto in oltre ottant’anni anagrafici e quasi sessanta artistici senza curarsi di mode e ideologie, di correnti vuoi che fossero estetiche o di partito («rileggendo Marx l’ho trovato un po’ kitsch», direbbe forse Arbore alla Beniamino Placido). Una rivoluzione gentile, insomma, per supportare l’aggettivo scelto da Sortino. «Perché quella di Arbore – dice l’autore – è stata una rivoluzione gentile per il suo essere educata, non gridata, mai volgare, compiuta con gli anni, dando il tempo al pubblico di capire e di crescere». La stessa rivoluzione – gentile ma inconsapevole – di un bambino di cinque anni a cui fu concesso, grazie ad Arbore, di andare a letto a notte quasi fatta.