Giovedì e venerdì il Partito Democratico ritorna fra la sua gente. A Marina di Ragusa, dove si celebra la Festa dell’Unità, parte la campagna elettorale in vista delle prossime elezioni Regionali: “Dobbiamo fare in modo che l’appuntamento elettorale di novembre 2022 – scandisce Antonello Cracolici – si trasformi in una giornata di Liberazione dal governo Musumeci. Non perché Musumeci sia fascista, ma perché è un incapace”. E’ la prima stoccata riservata a un esecutivo che somiglia molto di più a “un’armata Brancaleone”, che ormai “non ha alcuna credibilità”. Il pensiero volge al mezzo flop della campagna vaccinale, ai numeri che descrivono la Sicilia come la regione col più basso numero di vaccinati e il più alto di contagi. Eppure, spiega l’ex assessore all’Agricoltura, “il Covid li ha salvati, perché ha trasformato tutto in emergenza e nascosto l’assoluta incapacità di visione”.

Onorevole, il suo giudizio è severo. Ma così rischia di diventare pretestuoso. Non c’è nulla da salvare in questa legislatura?

“Musumeci aveva parlato di riforme, ma dopo quattro anni non ne abbiamo viste. José Mourinho (l’attuale allenatore della Roma, ndr) lo avrebbe definito un presidente con ‘zero tituli’”.

Al di là delle metafore calcistiche, l’emergenza non si può negare.

“La questione è un’altra: da quattro anni provano a raccontare ai siciliani che tutto ciò che succede è colpa del passato. Quando, in realtà, tocca a chi governa individuare i problemi e proporre soluzioni. Non l’hanno fatto, e anche loro si sono resi conto di essere inadeguati”.

L’ultima ordinanza di Musumeci, fra le altre cose, rappresenta un incentivo alla creazione di nuovi punti vaccinali. E’ una buona base di partenza?

“Bisogna usare gli strumenti più duri e più rigidi per determinare nell’opinione pubblica la consapevolezza che la vaccinazione è l’unica ‘cura’ che abbiamo per contrastare il virus. Per fare questo, però, dobbiamo combattere lo scetticismo, che è ancora peggio dell’ideologia No Vax. Quella è una scelta, lo scetticismo è un’ignavia. Personalmente sono un sostenitore di tutte le misure che rendano obbligatorio il percorso che consente a chi si è vaccinato, con l’utilizzo del Green pass, di poter accedere ai servizi. Il governo – che prima fa le ordinanze e poi se le rimangia – però mi pare improntato sull’improvvisazione, sul velleitarismo della tecnica amministrativa. L’estemporaneità può diventare un boomerang. Dimostra l’assessore Messina”.

L’assessore al Turismo è contro il Green pass. E, in assenza di un’evidenza scientifica, ha detto che non vaccinerà le sue figlie.

“Messina è una barzelletta: ma si può – nel momento in cui Razza denuncia i pericoli per la bassa capacità di vaccinazione – avere un assessore che dice, sostanzialmente, che è meglio non vaccinarsi o che il Green pass non serve? Siamo di fronte a un’armata Brancaleone… Per non parlare di Tancredi (deputato di Attiva Sicilia, ndr): paragonare il ‘certificato verde’ alla marchiatura degli ebrei durante la Shoah è ignobile. Siamo sull’orlo della stupidità intellettuale. Il fatto che qualcuno, ogni giorno, possa concedersi delle affermazioni in libertà, dimostra che non c’è nulla che li tiene insieme, se non la gestione del potere e la ricerca spicciola del consenso”.

Anche sul fronte degli incendi l’estate non ha concesso tregua. Colpa di tanti fattori, fra cui i piromani e le alte temperature. Quanto c’entra la Regione?

“Sul fronte incendi non si era mai vista una crisi così estesa. In Sicilia non si è mai affrontato il nodo della questione: che non è spegnere gli incendi, ma prevenirli. Da più di un anno, all’Assemblea regionale, giace il mio disegno di legge che istituisce una sorta di servizio di prevenzione civile. Serve una strategia di rete, col coinvolgimento dei Comuni e dei privati, per impedire che la Sicilia diventi un innesco permanente del fuoco. E questa si mette in campo 365 giorni all’anno, magari utilizzando le stesse risorse umane, ma con una organizzazione del lavoro diversa. Il modello del rimboschimento è di 30 anni fa e non funziona più. L’obiettivo è preservare i terreni pubblici, appartenenti al demanio forestale, e quelli privati. Per prendersi cura del territorio, però, è necessario un governo che stia sopra le cose”.

L’altra emergenza è la monnezza. Da siciliano e da parlamentare, come ha preso lo ‘sputtanamento’ via social della Lucarelli?

“La polemica mi sembra figlia del personaggio che l’ha innescata. La Lucarelli è una ‘polemista’: vive di queste cose, conosce i meccanismi della comunicazione, ha fatto quello che sa fare meglio. Ma non c’era bisogno di lei per sapere che il problema esiste. E’ inutile colpevolizzarla. La Sicilia non può nascondere i suoi problemi, non può far finta che le denunce siano tutte invenzioni. Anche se qualcuno, ogni tanto, si presenta nell’Isola con l’atteggiamento della puzzetta sotto il naso…”.

Come procede la battaglia per i comuni in rosso?

“Sul rinvio dei termini per l’approvazione dei bilanci qualcosa si è mosso. La Tari in bolletta, invece, mi sembra una strada impraticabile: c’è una pronuncia che mette in discussione il pagamento del canone Rai con le stesse modalità. Detto questo, la più grossa stupidaggine è il cosiddetto federalismo fiscale: i Comuni siciliani sono quelli con l’indebitamento più basso – anche perché manca la capacità di progettazione e d’investimento – ma anche quelli coi crediti più alti, derivanti dai tributi non riscossi dai cittadini. Bisogna che lo Stato se ne faccia carico. Se il 20% degli enti è in dissesto o in pre-dissesto, non è soltanto una questione di malagestio, ma strutturale. Inoltre c’è il paradosso che alcuni Comuni, essendo la nostra una Regione a statuto speciale, hanno un sistema differenziato di redistribuzione delle risorse rispetto ad altri. Reggio Calabria, che più o meno ha lo stesso numero di abitanti di Messina, riceve più soldi. Ma i servizi dovrebbero essere garantiti a tutti e allo stesso modo. Anche la Regione ormai si occupa solo dei propri bilanci e non si è più fatta carico della tutela dei comuni. Così la situazione è precipitata”.

Alcuni deputati, che avevano iniziato la legislatura con lei nel Pd, sono passati alla Lega. Oltre al malcostume del trasformismo, non ha la sensazione che la politica avverta nuovi bisogni e che voi, del Pd, non siete in grado di soddisfarli?

“Per me è più una questione di trasformismo di ceto politico: ognuno prova a capire dove c’è più spazio libero per giocarsi la partita della rielezione. Della serie: ‘Roma o Spagna purché se magna’. Molti colleghi, già nei primi mesi della legislatura, avevano manifestato la loro irrequietezza nell’avere un’idea comune. Una spaccatura si era evidenziata in occasione dell’elezione del presidente dell’Ars, quando qualche deputato, a scrutinio segreto, si era espresso in dissenso rispetto alle decisioni del gruppo. Il Pd nato in epoca renziana era un contenitore anziché un contenuto. Quando abbiamo provato a farlo diventare un contenuto sono emerse le falle”.

La scissione di Italia Viva vi ha liberato di una zavorra?

“E’ stata una scelta sbagliata, senza prospettiva. Tant’è che alcuni protagonisti si sono già messi alla ricerca di una nuova casa, e alcuni l’hanno trovata. Io, invece, provengo da un’altra cultura. E’ molto meglio avere torto assieme alla comunità a cui si decide di di aderire, anziché avere ragione da solo. Perché da solo non vali niente. La coerenza e la serietà sono valori da perseguire, a cui educare. L’idea che si possa essere indistintamente di destra o di sinistra, leghista o estremista, non solo è una grave degenerazione che allontana dalla politica migliaia di persone, ma rivela un opportunismo insopportabile. In campagna elettorale, non a caso, avevo utilizzato uno slogan con cui rassicuravo i miei elettori. Dicendo che ‘qualunque cosa succederà, il voto che mi darete rimarrà custodito in cassaforte. Non lo troverete mai da un’altra parte’”.

Dopo l’estate è già tempo di campagna elettorale. L’allestimento del ‘campo largo’ di sinistra come procede?

“Lo scenario su cui stiamo lavorando è costruire un’alleanza che parta dalle attuali opposizioni, cioè Pd e Movimento 5 Stelle. Vorremmo capire che fine farà Italia Viva perché, al di là delle velleitarie ipotesi di centrismo, mi pare che il sistema politico continui a essere bipolare, tanto più con l’elezione a turno unico prevista per il presidente della Regione. O si sta da una parte, o si sta dall’altra. Anche se Italia Viva, in questi anni, ha avuto poco di opposizione…”.

Come si costruisce l’alternativa a Musumeci?

“Interloquendo con una serie di settori della società siciliana che si erano illusi di affidarsi a lui, e che invece si sono accorti della sua inadeguatezza. C’è una delusione diffusa: penso ai dipendenti regionali, alle imprese che annunciano una class action per i mancati pagamenti, ai sindacati… Noi dobbiamo aprire uno spazio di interlocuzione con tutti loro. Costruendo, inoltre, una modalità partecipativa”.

Le primarie?

“Per fare le primarie dobbiamo essere tutti d’accordo. Purché non siano un concorso, tipo Miss Italia, ma un appuntamento in grado di legittimare una leadership agli occhi dei siciliani. Uno strumento che consenta a migliaia di persona di condividere una scelta, quella del candidato presidente, da sostenere poi alle ‘secondarie’, dove si decide chi vince e chi perde. Vedo le condizioni per una svolta. Va adottata una visione che metta al centro le competenze, che garantisca ai siciliani un patto di serietà, sapendo che ci sono tanti problemi gravi che vanno affrontati con il rigore dell’attività amministrativa, ma anche con un’autorevole interlocuzione nazionale”.