Al di là di Schifani, che bramava la conquista del podio di Tajani, e invece s’è ritrovato a capo di un Consiglio nazionale dalla dubbia utilità, c’è un altro grande sconfitto nella missione siciliana al Palazzo dei Congressi dell’Eur, a Roma: si chiama Edy Tamajo. L’assessore regionale alle Attività produttive, il più “futuribile” fra gli esponenti politici di Forza Italia, s’è ritrovato fuori da tutto. Non farà parte della segreteria nazionale, dove ha avuto accesso – grazie all’indicazione di Schifani – l’attuale commissario regionale e capo della segreteria tecnica del presidente della Regione, Marcello Caruso; né del Consiglio nazionale, dove è finito nientemeno che Gianluca Inzerillo. Ovverosia il consigliere comunale di Palermo che aveva richiesto un accesso agli atti per verificare le spese del Comune in occasione dell’ultimo Capodanno e dell’esibizione di Elodie (per questo fu messo in croce dal suo stesso partito).

Sullo snodo di Palermo, insomma, si è consumata la grande farsa azzurra. Che, attraverso il racconto di alcuni retroscena, merita una spiegazione. Partiamo da Edy Tamajo. Non solo assessore, ma Mr. Preferenze all’Ars. Alle ultime Regionali ha catalizzato il consenso di oltre 20 mila elettori, ma oggi – a parte l’etichetta di ras di Mondello – è privo di un ruolo politico, all’interno del partito, da cui far pesare il proprio prestigio. Anzi, a dirla coi più maliziosi, l’influenza dell’assessore rimane confinata nel triangolo fra Mondello, l’Addaura e Sferracavallo, dove gli basterà essere un abile portatore d’acqua (come i ciclisti di un tempo), per ottenere l’ammirazione che merita.

La corsa di Tamajo verso le posizioni che contano è osteggiata da Renato Schifani, che pur annoverandolo nella schiera degli assessori “lealisti” (mica il Falcone di turno), vorrebbe tarparne le ali per evitare che un domani l’allievo superi il maestro e gli faccia le scarpe. L’operazione è cominciata al congresso: sarebbe bastato far nominare Caruso nella segreteria nazionale come coordinatore e liberare il posto nel “listino” chiuso di Tajani inserendo Tamajo. E invece, nisba. Al contrario: pare proprio che la mossa Caruso sia propedeutica a rintuzzare la vanità e le aspirazioni di Tamajo, che ha dovuto rimandare l’appuntamento con la gloria.

“Guardo con grande ottimismo a questa nuova fase di Forza Italia – ha detto l’assessore alle Attività produttive – poiché sono fermamente convinto che con Antonio Tajani, possiamo portare avanti una nuova rivoluzione liberale”. Con Tajani, forse; ma non con Schifani, specie se continuerà ad ostacolarlo nella “crescita”. E’ come l’allenatore che ti tiene in panchina – Tamajo capirà, da grande uomo di sport – non perché ha paura di bruciarti, ma perché teme che farai vincere la squadra e tutti ti daranno il merito. Insomma, una forma di rancore in potenza che rischia di pregiudicarne la corsa.

Schifani, invece, guiderà il Consiglio nazionale, organo introdotto dallo Statuto che fin qui s’è riunito una volta sola, dopo la morte del Cav., per convocare il congresso. Caruso ha detto che “sarà fondamentale nel processo di rafforzamento e radicamento di Forza Italia in tutto il territorio nazionale”. Ma la verità è un’altra: cioè che il governatore siciliano non rientra nelle grazie di Tajani (il sentimento è reciproco). Serviva uno strapuntino ed è arrivato. Così potrà stare calmo per un po’ (anche se il presidente, stando ad alcune indiscrezioni, insisterebbe nel proporre un accordo con Cuffaro per ospitare la DC in lista nella circoscrizione Isole: ipotesi a cui Tajani e la Chinnici hanno già detto ‘no’). Ma ciò che è peggio, di questo weekend all’Eur, è la spaventosa frammentazione del partito siciliano.

Il secondo maggior numero di delegati (117) non è bastato a rappresentare un esempio di coesione. Al contrario, FI Sicilia si è disgregata dall’interno, offrendo il proprio supporto a differenti vicesegretari (comunque tutti eletti): la corrente Schifani-Caruso, sostenuta dall’ala messinese (vicina alla parlamentare regionale Bernardette Grasso) e dalla filiera di Marcello Dell’Utri (con dentro Gallo Afflitto e gli agrigentini), ha sostenuto la corsa dello sconosciuto Stefano Benigni, amico e collaboratore di Marta Fascina, la cui ascesa non disturba; il nucleo ennese, capitanato da Luisa Lantieri, si è schierato al fianco di Deborah Bergamini, vicecapogruppo alla Camera, eletta per acclamazione vicesegretario vicario (il metodo ha fatto discutere); infine il gruppo di Marco Falcone e dei siracusani si è schierato con Roberto Occhiuto, governatore della Regione Calabria e compagno di Matilde Siracusano, attuale sottosegretario ai rapporti col Parlamento. Il quale era stato invitato da Schifani, seppur implicitamente, a farsi da parte.

Insomma, ognuno è andato per conto proprio. Ovviamente, di fronte a scelte così plateali e contrastanti, tireranno fuori il “voto secondo coscienza” (come accade con le questioni etiche). Ma il quadro generale restituisce l’entità di un partito frammentato, privo di leadership e senza un indirizzo politico. Non solo sotto il profilo elettorale, ma anche amministrativo: ne è prova il fatto che l’esecutivo di Schifani non combini praticamente nulla e che alcuni dei deputati regionali di Forza Italia, in due differenti occasioni, si siano mischiati ai franchi tiratori dell’Ars e abbiano contribuito alla bocciatura della norma “salva-ineleggibili” e della reintroduzione del voto diretto nelle province. Ciò che è successo a Roma, a centinaia di chilometri da casa, è la dimostrazione plastica di una frattura che per le Europee, con le candidature in campo (Tamajo e Falcone quasi certi), potrebbe deflagrare.

O magari anche prima. Ricordate Inzerillo? Pare che Schifani e Tamajo non abbiano digerito la sua promozione ai piani alti e per questo l’hanno già delegittimato da capogruppo. Al suo posto è stato, oggi, nominato Ottavio Zacco. “Siamo pronti a ripartire con questo nuovo assetto e con grande coesione interna al gruppo – affermano i consiglieri di Forza Italia – con un “passaggio di testimone” per affrontare le sfide che ci attendono in Consiglio”. Una scelta, però, che rischia di suonare sinistra anche nei confronti di Tajani, che a Roma l’ha ospitato nella propria squadra. Questa, in verità, non è la Forza Italia di Berlusconi, né “il secondo miracolo italiano” raccontato in questi giorni da Schifani con qualche francobollino sulla stampa. Questa è una maionese impazzita. Un teatro di veti e di rancori. Una partita (e un partito) senza vincitori.