Di ridiscutere l’accordo Stato-Regione, che coi suoi tagli ha influenzato anche l’ultima Finanziaria, si è cominciato a parlare un minuto dopo la firma di Musumeci e dell’ex premier Conte sul negoziato che garantirà alla Sicilia di poter spalmare in dieci anni il peso devastante del disavanzo maturato con Roma: 1,7 miliardi di euro fino al 2029. In dieci e non in tre, a patto che la Regione si adegui a una serie di riforme, tra cui la riorganizzazione e lo snellimento della struttura amministrativa. Una cura dimagrante che lo stesso Musumeci ha definito “una intesa articolata e radicale che pone riparo a decenni di allegra gestione delle finanze regionali”. Senza tener conto che uno dei protagonisti di queste “allegre gestioni” fosse il suo assessore all’Economia, in carica per un biennio anche col governo Lombardo. Ma questa è un’altra storia e ci porterebbe troppo lontano.

A distanza di quattro mesi e mezzo dalla firma dell’accordo, il senso è un altro: la Sicilia vuole cambiarlo. Almeno nella parte che riguarda il blocco delle assunzioni. La burocrazia è lenta e appannata, e i ritmi della macchina amministrativa risultano farraginosi e fuori dal tempo. Servirebbe una rivoluzione, di fatto. Ma tra le righe del famigerato “contratto”, emerge, per il triennio 2021/23, la “sospensione del reclutamento di profili dirigenziali”. I dirigenti che andranno in pensione, per i prossimi tre anni, non saranno sostituiti. Questo rischia di diventare un dramma, considerato che già da parecchio tempo è in atto la riduzione del personale dirigenziale. Come si evince dal piano di rientro allegato alla Legge di Stabilità regionale, infatti, si evince che “per ciò che attiene alla dotazione organica dell’Amministrazione regionale, essa ha già formato oggetto di diversi interventi normativi di contenimento della spesa (…) sia per la dirigenza che per le singole categorie del comparto non dirigenziale” che “ne prevedono la riduzione attraverso tagli lineari”.

Qualcuno (Crocetta) ci aveva già pensato. “In particolare – si legge nelle premesse – è prevista, fino a tutto il 2020, la riduzione della dotazione organica in numero pari ai dirigenti cessati a qualsiasi titolo di servizio”, mentre “per ciascuna delle categorie del comparto è prevista, fino al 2021, la riduzione in misura pari al 50% del personale cancellato nell’anno precedente in applicazione delle disposizioni concernenti il pensionamento anticipato”. A causa di questi tagli imposti dall’ex governatore, sia la dotazione organica della dirigenza, che quella del comparto, hanno subito una netta sforbiciata. I dipendenti regionali sono passati dai 13.551 del 2015 agli attuali 12.219, i dirigenti da 1.736 a 896. Quasi la metà. Inoltre, sono scomparsi – a causa di un naturale esaurimento – quelli di prima e seconda fascia, cioè coloro ai quali spetterebbero le posizioni apicali dei dipartimenti (oggi in mano, per lo più, a dirigenti di terza fascia).

Al calvario di una Regione che va lentissima – Musumeci ha più volte inveito contro i “grattapancisti”, sottolineandone le carenze digitali; Micciché ha messo in risalto che l’età media dei dirigenti sfiora i 60 anni -, si inserisce il blocco del turnover per la dirigenza e un netto ridimensionamento del personale non dirigenziale che, secondo la proposta inserita dalle Regione nella Legga di Stabilità vedrà crollare l’organico di 330 unità nel triennio 2022-24: verranno ridotti del 100% i dipendenti delle categorie A e B, del 60% quelli di categoria C, del 40% quelli di categoria D. Per un risparmio complessivo, da qui ai prossimi due anni, di quasi 5 milioni. Ma il gioco vale la candela? Evidentemente no. Così, superato l’ostacolo della Finanziaria – dove le uniche assunzioni previste, a valere sui Comuni, riguardano 300 giovani laureati che si occuperanno di progettazione comunitaria (e con contratto a tempo determinato) – la Regione torna all’attacco. L’assessore alla Funzione pubblica, Marco Zambuto, nei prossimi giorni, sarà il promotore di una trattativa con il Ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, del suo stesso partito, per cercare di derogare a questi criteri stringenti, che potrebbero rivelarsi iniqui per una terra come la Sicilia, che è già indietro su tutto.

Nel piano di rientro dal disavanzo, la Regione disponeva “una ulteriore riduzione delle dotazioni organiche, che dovrà tuttavia essere accompagnata da una decisa accelerazione dei processi di informatizzazione e digitalizzazione” nonché “dall’attivazione di percorsi di formazione e qualificazione mirata”. Ma il tentativo di formare un personale troppo avanti con l’età o, addirittura, renderlo digitale, presenta ostacoli insormontabili. Da qui la decisione si ripiegare su un altro livello di discussione: fateci assumere che è meglio. Solo così la Sicilia potrebbe tornare competitiva. Zambuto batterà su questo tasto, cercando di rimuovere lo sblocco delle risorse assunzionali che l’accordo, di fatto, congela: “Senza questa deroga – è il ragionamento dell’assessore – l’amministrazione regionale non può essere adeguatamente strutturata per affrontare la complessità delle materie di sua competenza”. Su tutte, la riprogrammazione dei fondi comunitari. Una procedura lentissima e agognata, che lo scorso anno ha portato a una ricognizione tardiva dei fondi giuridicamente non vincolati, e ha finito per rallentare l’attuazione della Finanziaria di guerra (con conseguenze devastanti per le imprese che avrebbero dovuto beneficiare delle risorse). A questo vulnus la Regione ha provato più volte a rimediare con la proposta di trattenere in servizio i dirigenti apicali (fino a un massimo di tre anni) senza, però, riscuotere grossi successi all’Ars.

Zambuto, poi, cercherà di “liberalizzare” le progressioni di carriera, che coincidono anche un diverso trattamento economico. E’ una misura pensata per i dipendenti di categoria A e B (i cosiddetti collaboratori e operatori), per “individuare un percorso condiviso che assicuri progressioni di carriera almeno per chi ha una laurea o un diploma”. Questa rappresenta un’alternativa al concorso a quiz, che avrebbe permesso lo ‘scatto’ di carriera ad appena il 35% del personale non dirigenziale. Una proposta che rientra nell’ambito della P.E.O. (Progressione Economica Orizzontale), avversata però dai sindacati: “Non premierebbe su base annuale eventuali meriti ma – secondo Cobas-Codir – scatenerebbe solamente un vero e proprio conflitto tra gli stessi lavoratori in un momento in cui le precarie condizioni lavorative, invece, suggerirebbero incentivi a chi presta, con abnegazione, la propria attività spesso sfidando gli stessi pericoli rappresentati dalla pandemia da Covid19”. Da qui la richiesta di sospendere la procedura, “eliminando comunque le prove a quiz”, e convocare “un apposito tavolo sindacale che, nel rispetto delle decorrenze e nelle more dell’avvio delle trattative per i rinnovi contrattuali, stabilisca, attraverso un accordo scritto, tempi e modalità per la contestuale attribuzione della P.E.O. a un ulteriore percentuale del 50-60% di personale”.

Già, perché ci sarebbe pure la questione relativa al rinnovo del contratto dei dipendenti: la Regione ha stanziato 52 milioni in Finanziaria, ma non si sa in quali termini si intenda modificare l’organizzazione del lavoro, i cui modelli risultano troppo obsoleti e non funzionali alle esigenze della pubblica amministrazione. Solo per discuterne, bisognerà attendere luglio o, comunque, la parifica della Corte dei Conti sul rendiconto 2019 (che viaggia in ritardo di quasi un anno). Anche questa, per Zambuto, è una bella gatta da pelare. Una fra tante, dato che nel febbraio scorso la Corte dei Conti ha bocciato sonoramente il rinnovo del contratto dei dirigenti (l’ultimo risale addirittura al 2005), ritenendo che “la relazione tecnico-finanziaria prodotta dall’Aran (l’agenzia di rappresentanza negoziale della Regione) presenta significative lacune informative in ordine agli elementi necessari per l’espressione di un giudizio di attendibilità dei costi contrattuali” e che “il quadro finanziario – al momento incerto – che emerge dai documenti di programmazione e bilancio, non consente di poter esprimere una valutazione di sostenibilità dei costi contrattuali illustrati nell’ipotesi di accordo”.

Nel quadro pestifero della pubblica amministrazione siciliana, l’assessore proverà infine a portare a casa la riforma della dirigenza. Un altro dei passaggi contenuti nell’accordo Stato-Regione e utile a superare l’anomalia (tutta isolana) della terza fascia dirigenziale. Secondo quanto espresso da Roma in termini di adeguamento alle norme sulla dirigenza pubblica, bisognerà “eliminare le distinzioni tra la prima e la seconda fascia dei dirigenti di ruolo, superare la terza fascia dirigenziale avente natura transitoria con l’inquadramento nell’istituenda unica fascia dirigenziale, agli esiti di una procedura selettiva per titoli ed esami (…) con espresso divieto a regime di inquadramenti automatici o per mezzo di concorsi riservati per l’accesso alla dirigenza”. Insomma, bisognerà sconfessare vent’anni di pasticci più o meno autorizzati. E sanare una questione annosa – la terza fascia fu una creazione dell’Assemblea regionale nei primissimi anni Duemila – mettendo al riparo la Regione da un eventuale danno all’erario che, alla luce dei numerosi atti prodotti dalla giurisprudenza (Tar, Giudice del Lavoro, Corte Costituzionale), non è del tutto scongiurato. La nomina dei dirigenti generali, compresa l’ultima, si fonda su criteri di liceità quanto meno sospetti. I dirigenti di terza fascia non potrebbero ricoprire posizioni apicali, ma essendo gli unici nella dotazione organica, lo fanno. Alla luce del sole, per di più.

La richiesta di Musumeci a Draghi

La riapertura del confronto tra Stato e Regione per poter rivedere l’Accordo sottoscritto nel gennaio scorso e assicurare così alla Sicilia il pieno impiego delle risorse destinate con il Piano nazionale di ripresa e resilienza. A chiederla, con una lettera al premier Mario Draghi, è il presidente della Regione Nello Musumeci, alla luce, soprattutto, del Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, recentemente firmato a Palazzo Chigi tra governo centrale e le Organizzazioni sindacali. In particolare, scrive il governatore siciliano, “talune previsioni (contenute nell’intesa raggiunta nello scorso gennaio), come quelle in materia di preclusione dei concorsi per la dirigenza, non consentono il ricambio generazionale a fronte dell’opposta esigenza di rafforzare l’azione amministrativa”. Pertanto, per il governo dell’Isola si rende necessaria “un’adeguata riconsiderazione che tenga conto delle ineludibili esigenze di efficienza e rigenerazione dell’Amministrazione regionale, ferme e impregiudicate restando le esigenze di selettività professionale e specialistica”.

Nella sua nota, Musumeci ricorda come il Piano sottoscritto in attuazione dell’Accordo Stato-Regione abbia già prodotto, con l’approvazione della legge di Stabilità, alcuni effetti come le “riduzioni strutturali degli impegni di spesa corrente, rispetto a quelli risultanti dal consuntivo 2018”. Tuttavia, aggiunge, “sin da subito è emersa l’esigenza di alcune limitate modifiche che tengano conto del mutato contesto istituzionale, a partire dalla conclusione dell’accordo che il Suo Governo ha opportunamente concluso nel settore del lavoro pubblico”. Da qui la richiesta di deroga anche per quanto concerne i concorsi per la dirigenza.