Dopo le elezioni di Lombardia e Lazio è probabile che il presidente del Consiglio prenda le distanze dai due squadristi che hanno tentato di delegittimare il maggiore partito di opposizione con l’accusa di filtrare con il terrorismo e con la mafia, utilizzando e deformando informazioni che sarebbero dovute rimanere riservate.

Meloni capisce di sicuro quanto sia contraddittorio chiedere unità per fronteggiare l’attacco dei gruppi anarchici e utilizzare o lasciare che i suoi utilizzino il manganello come strumento di lotta politica. Nei sistemi democratici i partiti si scontrano in modo anche duro su programmi diversi ma si rispettano, riconoscono il ruolo e la funzione di ciascuno di loro, maggioranza e opposizione. La difesa della democrazia dal terrorismo e della convivenza civile dalla mafia sono i temi più propri per realizzare l’unità in Parlamento e nel Paese. L’attacco al Pd può aver portato qualche consenso a Fratelli d’Italia alla vigilia delle elezioni regionali, un esito prevedibile quando il contrasto si polarizza, sollecitando le tifoserie. Chiuse le urne, chi ha senso di responsabilità, chi si è dato addirittura un orizzonte di cinque anni di permanenza al governo, deve condurre il confronto sul terreno proprio di un Paese di democrazia liberale, evitando che diventi uno scontro tra opposte fazioni. È quanto mai necessario creare il clima idoneo per far fronte comune contro la mafia, all’indomani di un grande successo dello Stato con la cattura di Messina Denaro e quando si aprono brecce consistenti per penetrare all’interno del mondo delle complicità e delle connivenze.

Con riguardo al Pd e alla variegata galassia della sinistra, tra le numerose, possibili riflessioni che mi farebbero rischiare di ripetere cose tante volte scritte, voglio fermarmi su una di esse, che non è né estranea né laterale al problema. La dico a mo’ di metafora. Queste forze non possono continuare a tenere, per così dire, sequestrata la memoria delle vittime illustri della mafia e del terrorismo, non possono tenerla, quella memoria, in un virtuale pantheon da loro costruito, gelosamente custodito, attribuendosene una sorta di esclusiva. In Sicilia, giusto di mafia parlando e di memoria delle vittime, nel tempo, la sinistra ha iscritto nella propria storia persone che in vita con la stessa non ebbero alcun rapporto e, per farlo, ha dovuto cancellare dure polemiche e pesanti scontri con alcune di loro.

Così è stato con Piersanti Mattarella, il cui governo di solidarietà autonomistica venne messo in crisi dal Partito comunista appena un anno dopo la sua formazione. La memoria e le scelte del presidente della Regione sono divenute punto di riferimento del Partito democratico ed è sicuramente un fatto positivo. È stato improprio e falso, invece, aver provato a sottrarlo arbitrariamente alla storia della Democrazia cristiana come anomalo e diverso da tutti i suoi compagni di partito, rappresentati a lui ostili. Una operazione di appropriazione indebita è stata compiuta con Carlo Alberto Dalla Chiesa, rigoroso uomo di legge e d’ordine e con Falcone, bersaglio in vita di accuse e di sospetti pesanti. Entrambi sono divenuti quasi parte di una storia che a nessuno dei due appartenne. Meno che mai quella storia appartenne a Paolo Borsellino, che fu chiaramente uomo di destra.

Non voglio essere equivocato. Assumere come riferimenti ideali, proporre come modelli questi straordinari personaggi, è stato di sicuro positivo. Richiamare il loro esempio utile, specialmente per le nuove generazioni. Farne memoria di parte, attribuirseli, collocarli nel proprio pantheon, risulta un falso, alla lunga un pesante errore. Credo sia arrivato il tempo di restituire ciascuno di loro alla propria storia e di farne memoria collettiva e condivisa. Si potrebbero così stemperare o abbandonare polemiche che in passato possono avere recato vantaggi di natura politica, anche perché venivano debolmente rintuzzate. Se rivolte alla Democrazia cristiana, che non c’era più, avevano quasi il senso di “uccidere un uomo morto”, con un cinismo analogo a quello del soldato francese della disfida di Barletta. Rivolte a Berlusconi e al suo partito, spesso si trovava qualche riscontro. Il contesto è cambiato. Questi che ora governano hanno un passato assolutamente discutibile per aspetti diversi da quelli del rapporto con la mafia, sanno usare il randello e possono far male. È il momento di aprire a tutti le porte di quel virtuale pantheon per trovare, anche in nome delle vittime, l’unità, almeno contro la mafia.