Se non ci fosse stato ma purtroppo continua ad esserci Lucifero, quello che porta il caldo torrido, ovviamente causato dal surriscaldamento globale, gli incendi che stanno devastando la Sicilia, il Sud d’Italia e molta parte dei paesi del Mediterraneo, sarebbero stati meno estesi e frequenti. Se non esistessero, sotto falsa specie umana, stupidi delinquenti che, magari sulla spinta di interessi criminali, appiccano il fuoco ai boschi, ai pascoli e ai terreni coltivati, sfiorando e talora investendo centri abitati, non si sarebbero dovuti contare enormi danni per la devastazione del territorio.

Messer de La Palisse non avrebbe potuto essere più chiaro e ovvio di così. Infatti, detto in questo modo, il problema verrebbe liquidato come un evento naturale, magari eccessivo, che tale non è perché largamente favorito dai comportamenti umani, dalla rapacità di un certo capitalismo e dalla miopia dei governanti. Si potrebbe poi parlare di una incomprensibile propensione a sfigurare il proprio habitat, con la convinzione di non correre rischi consistenti perché per lo più si rimane impuniti. Si tratta invece, molto spesso, di un intreccio tra piccoli criminali e chi pensa di riversare su territori resi utili a tale scopo dal fuoco lucrose attività economiche, come quelle degli impianti eolici e solari. Dai roghi e dal fumo che continuano a coprire tanta parte della nostra Isola, emerge la sagoma di una società in una certa misura incapace di darsi un’organizzazione moderna attorno a valori comuni, di vivere nel proprio habitat rispettandolo, di guardare alla natura come ad una madre da curare per lasciarla integra alle generazioni successive. Dai roghi e dal fumo viene fuori anche il profilo di una classe dirigente che di rado è riuscita ad essere realmente tale, rimanendo solo dominante, in un intreccio non sempre limpido tra potere e consenso.

Gli eventi di queste ultime settimane sono risultati più distruttivi di prima e il ripetersi anno dopo anno di fenomeni della natura e di atti delinquenziali si fronteggia con mezzi e strutture vecchi e inadeguati, con uomini insufficienti e con la tradizionale improvvisazione. Alle Regioni, ha ricordato di recente il dirigente della Protezione civile nazionale, tocca tutelare il territorio e predisporre la prevenzione. A questo compito da noi si è impreparati, o ci si accosta quasi con disinvoltura e approssimazione. Non serve tornare su ciò che è stato abbondantemente scritto e denunciato. Si è detto di piani di protezione civile redatti in ritardo, forse un improbabile tentativo di postergare l’estate, di mezzi insufficienti, del personale addetto alla custodia dei boschi dimezzato rispetto a pochi anni addietro. Si è denunciata l’assenza di coordinamento tra guardie forestali e vigili del fuoco, la mancata formazione dei tanti volontari che mostrano disponibilità ad impegnarsi accanto a chi ha il compito di proteggere l’ambiente dagli incendi, la inadeguatezza delle amministrazioni comunali, peraltro senza mezzi finanziari, a svolgere i propri compiti. A ciò si aggiungono gli esiti della sciagurata abolizione delle province, che ha lasciato le strade interne dell’Isola prive di un fondamentale presidio, utile anche a impedire o a bloccare il fuoco e la desertificazione crescente di molte parti dell’Isola. Si tratta di responsabilità diffuse che investono la politica regionale e quella nazionale.

Sono questioni che dovrebbero essere, come ama dirsi, nell’agenda dei governi di Roma e di Palermo, ai quali spetterebbe porre rimedio con progetti coordinati e con sforzi sinergici. Ad essi tocca occuparsi finalmente del territorio, delle sue fragilità, dell’ulteriore prova alla quale è sottoposto dal ripetersi di eventi devastanti. Si cominci intanto a riconoscere gli errori e le colpe proprie, ad evitare sotto qualsiasi forma di incentivare o legalizzare l’abusivismo. Risulta del tutto fuori dalla realtà rivendicare di avere fatto per intero la propria parte, scaricare i guasti su altri livelli istituzionali o su chi ha governato prima. Serve a poco denunciare i comportamenti di chi appicca il fuoco o di chi finge di non vedere, di chi non si cura adeguatamente di controllare il proprio territorio, mostrando talora per esso persino un’incomprendibile ostilità. Si metta in atto una rigorosa attività di prevenzione e di investigazione per individuare e colpire i responsabili e per fare affiorare, oltre a quelle note o facilmente prevedibili, le ragioni ancora ignote che spingono a bruciare le terre.

In queste settimane si sono rincorse polemiche, rimpallo e rifiuto di responsabilità insieme a richieste di aiuto alle quali il governo e alcune regioni hanno dato una prima risposta positiva con l’invio di mezzi e uomini e preannunciando ristori in favore di chi ha subito danni. Alla Sicilia e alla Calabria, che hanno riconosciuto di fatto la propria inadeguatezza, lo Stato ha risposto così nell’intento di fronteggiare quella che, impropriamente, continua ad essere definita emergenza. La presenza in Sicilia di operatori provenienti da diverse regioni, anche dal lontano Trentino, dà un bel segnale di solidarietà e di coesione nazionale. Allo sforzo concorde tra le istituzioni probabilmente non si è dato il risalto che avrebbe meritato. Questo sforzo poteva essere valorizzato dal ministro dell’agricoltura Patuanelli. È arrivato a Palermo in modo clandestino, accompagnato da una sottosegretaria del suo stesso Movimento, quasi avessero dovuto partecipare a un meetup. Ha pronunciato frasi scontate di solidarietà e di attenzione per coloro che hanno subito danni dai roghi. Ha avuto un fugace incontro con il presidente dell’Associazione dei comuni ed è andato via.

Il ministro ha evitato di confrontarsi con i rappresentanti della Regione, considerati forse esponenti di parte avversa alla sua. Non ha dato così un chiaro messaggio di concorde impegno per un’azione comune. Il ministro della Repubblica, probabilmente, con una distorta visione del ruolo che ricopre, ha offerto viceversa ulteriori motivi o pretesti per alimentare le baruffe. A Palermo del resto non si abbandona l’atteggiamento piagnone di chi ignora le proprie colpe, indicando sempre quelle degli altri e si limita a sottolineare le pur fondate e antiche carenze dello Stato che ha lasciato il Sud a se stesso, spesso colludendo con le classi dirigenti locali. Le tragiche vicende di questi giorni avrebbero dovuto indurre ad una sorta di corale esame di coscienza per riconoscere le responsabilità, quelle di oggi e quelle di ieri e per prendere atto che, così com’è, la Regione non riesce ad assolvere con efficacia a nessuno dei compiti previsti dallo Statuto e rivendicati costantemente con tignosa determinazione.

Se tutto si risolve nella ordinaria amministrazione, che chiamarla ordinaria è già troppo, nella pura e semplice sopravvivenza di un istituto che gira su se stesso, che si limita ad autoalimentarsi, che per certi versi è diventato un ostacolo e non un’opportunità per lo sviluppo, che mostra le forti crepe del tempo, dell’insipienza, delle mancate riforme, quando mai si può essere in grado di assolvere a compiti straordinari o che tali diventano proprio perché non si è in possesso di nessuno strumento utile?

Questo dovrebbe essere, ma forse non sarà, il filo conduttore della riunione straordinaria dell’Assemblea dei prossimi giorni per un progetto condiviso da maggioranza e opposizione, fermi restando i ruoli e le competenze diverse.