Assegnare un incarico a un professionista – e magari farlo in buona fede – ma accorgersi che quest’ultimo copia da Internet. E’ successo a Giovanni Ardizzone, presidente dell’Ars nella scorsa legislatura, che la Corte a Conti ha citato a giudizio per 161mila euro. A tanto ammonterebbe il danno all’erario procurato dall’ex presidente dell’Assemblea, messo nel merino della magistratura contabile per lo scandalo delle “consulenze facili”. Il lavoro dei giudici si è concentrato esplicitamente su quattro incarichi ritenuti inopportuni, addirittura dannosi: quelli assegnati da Ardizzone agli ingegneri Luciano Taranto e Carlo Olivo, al costituzionalista Giuseppe Verde e al commercialista Giovanni Capillo. Segni particolari? Tre di loro (Taranto, Olivo e Capillo) sono di Messina come Ardizzone.

Ma questo è niente rispetto al contenuto “sindacabile” della loro opera. La maggior parte delle consulenze inutili (per un valore di circa 100 mila euro) sono quelle affidate a Taranto, che avrebbe descritto progetti già curati da altri. E che dire di Olivo: avrebbe presentato una relazione sulla “smart city” che era facilissimo recuperare anche su Wikipedia. Stesso modus operandi per Capillo: la “certificazione volontaria del Bilancio dell’Ars” e il “documento di trasporto e consegna” conterrebbero numerosi passaggi estrapolati dal web. Copiare è sinonimo di scarsa professionalità. Ardizzone, che nel mese di settembre si è presentato di fronte ai giudici, ha provato a difendersi dicendo di aver seguito la prassi – cioè di aver operato nel rispetto delle norme vigenti e di una modulistica preesistente – e che nessuno all’Ars gli ha mai contestato nulla. Ma non spetta certo al segretario generale dell’Assemblea o agli uffici rilevare questi abusi, secondo la Procura. E se qualcuno non ne fosse convinto, basta fare un giro su Internet…