Punto primo: l’Ente di Sviluppo Agricolo (noto con l’acronimo di Esa) esiste ancora. E’ vivo e vegeto dal 1965 nonostante i venti di guerra di Musumeci, che nel 2018 l’aveva definito “l’ultimo carrozzone della Prima Repubblica”, promettendo un disegno di legge per sopprimerlo. Questa premessa è necessaria per rassicurare i nostalgici della riforma agraria, di cui l’Esa è stato, per qualche tempo, uno dei prodotti meglio riusciti. Ma il mondo è andato avanti e in pochi – oggi – conoscono le mansioni dei 250 dipendenti dell’Ente di Sviluppo Agricolo, che insieme a 400 (circa) lavoratori stagionali tiene in piedi una macchina ambitissima dalla politica. Non perché sia in grado di risolvere problemi qua e là – si occupa di sperimentazione, viabilità rurale e assistenza tecnica, per lo più – bensì perché garantisce un tesoretto immobiliare molto ghiotto. L’ex palazzo Florio di via Catania, nel cuore di Palermo, è patrimonio dell’Esa. Che non si è ancora deciso a concederlo alla Regione in comodato d’uso, come aveva annunciato a Buttanissima l’ex direttore generale Fabio Marino, ma che piuttosto starebbe valutando di rivedere i piani e trasferirci i propri uffici.

Ma oltre a palazzi ed edifici storici, l’Esa garantisce tutt’oggi un buon numero di poltrone, utile a riaffermare un potere che il tempo ha reso un po’ sbiadito. Ed è proprio per alcune questioni di potere che, negli ultimi giorni, la politica è tornata a occuparsi del tema. Il 27 maggio, meno di un mese fa, l’assessore all’Agricoltura Edy Bandiera ha prodotto due atti: con uno ha fatto decadere l’attuale Consiglio d’Amministrazione (per di più acefalo, perché rimasto presidente da venti mesi); con un altro, ha nominato un commissario ad Acta, il dottor Gaetano Aprile, dirigente dell’Amministrazione regionale, a cui è stato affidato il procedimento per l’individuazione del nuovo direttore generale dell’Ente. Colui, cioè, che si occupa della parte amministrativa. L’attuale incaricato del governo, anch’egli nel ruolo di commissario ad Acta facente funzioni di direttore generale, è Nicola Caldarone.

Caldarone è il capo di gabinetto dell’assessore Bandiera e, fra una cosa e l’altra, è rimasto in carica da dicembre. Oltre sette mesi. Aveva preso il posto di Fabio Marino, ex capo di gabinetto di Antonello Cracolici quando l’attuale deputato del Pd era assessore all’Agricoltura di Crocetta. Per inciso, lo stesso Marino è diventato da qualche mese il responsabile della Cuc, la Centrale Unica di Committenza della Regione siciliana, che è uscita provata dall’ultima inchiesta per corruzione che ha riguardato Candela e Damiani. Ora che avete chiaro il quadro degli attori, veniamo ai fatti: mercoledì scorso è stato proprio Antonello Cracolici a segnalare con un circoletto rosso l’operazione di Bandiera. “Lo scorso 27 maggio – ha scritto l’esponente “dem” in una nota – l’assessore ha emesso due provvedimenti che riguardano l’Ente di Sviluppo Agricolo: con il primo ha fatto decadere i due componenti del Cda, con il secondo è stato nominato un Commissario ad acta per la individuazione, designazione e nomina del direttore generale aperta anche a soggetti esterni all’Amministrazione. Una coincidenza temporale a dir poco sorprendente”. “Non vorrei ci trovassimo di fronte ad una rimozione ‘pretestuosa’ del Cda in vista dell’individuazione del nuovo direttore, ha precisato Cracolici, arrivando a chiedere “il ritiro in autotutela dell’atto di decadenza del Cda”.

Anche il parlamentare del Partito Democratico, al di là dell’insinuazione “politica”, ha ben chiaro il motivo per cui Bandiera – che preferisce non replicare – ha agito in quel modo: “I due membri del Cda – ha aggiunto Cracolici – sono stati dichiarati decaduti perché non avrebbero adottato gli atti contabili relativi agli anni 2017, 2018 e 2019. Ma il rendiconto 2017 dell’Ente è stato adottato il 17 gennaio 2020, e per quel che riguarda il 2018 ed il 2019 erano stati gli stessi componenti del Cda a sollecitare al direttore ad Acta l’invio degli atti, il quale però non ha mai provveduto a trasmetterli”. A tal proposito la normativa è chiara e dovrebbe, in una Regione normale, escludere qualsiasi interpretazione: “Gli organi d’amministrazione degli enti, istituti, aziende, agenzie, consorzi ed organismi regionali (…) che non adottano il rendiconto generale o il bilancio d’esercizio entro il 30 giugno dell’anno successivo, decadono ed ogni atto adottato successivamente a detto termine è nullo”. Lo dice l’articolo 6, al comma 3, della legge regionale n. 16/2017. Qui i rendiconti arretrati erano addirittura tre, anche se l’ex direttore Fabio Marino, in un’intervista dello scorso agosto, spiegava che “i bilanci dell’Esa dal 2009 al 2016 non hanno ancora ricevuto l’apprezzamento della giunta di governo. Di solito, dopo l’apprezzamento, si procede con l’approvazione di un nuovo bilancio”.

L’inerzia amministrativa, però, è durata troppo a lungo, così dopo numerose circolari in cui il Ragioniere generale implorava i responsabili di procedere a una verifica – anche i sindacati avevano denunciato il rischio di un danno all’erario – Bandiera, il 27 maggio, rompe gli indugi. Mentre l’11 giugno il neo commissario ad Acta Gaetano Aprile pubblica un atto d’interpello, rivolto ai dirigenti dell’Amministrazione regionale, e anche agli “esterni”, che mette in palio il posto di direttore generale. Come avvenuto per le nomine dei burocrati alla Regione, si tratta sostanzialmente di decisioni politiche, sulla base delle candidature pervenute. Una politica che in questi mesi – ogni elemento ha il suo peso – non ha mai provveduto all’individuazione di un presidente del Cda. Sapete chi è stato l’ultimo? Proprio Nicola Caldarone, esponente di Forza Italia, che a ottobre del 2018 venne invitato a dimettersi perché a quel ruolo potesse ambire un uomo vicino a Diventerà Bellissima, il movimento del governatore Musumeci.

La vacatio non è mai stata colmata e l’Ente, senza una guida di indirizzo politico, è andata avanti con tutte le difficoltà del caso, logorandosi, pur garantendo gli stipendi ai lavoratori. Le vicende legate al commissariamento e all’urgenza, hanno allontanato l’ipotesi di un intervento più deciso da parte dell’Ars, che avrebbe dovuto intestarsi una battaglia per “tagliare” le poltrone più ricche e trasferire funzioni e personale al Dipartimento dell’Agricoltura. Non è mai accaduto. Forse perché l’Esa fa venire ancora l’acquolina in bocca. Anche se il centrodestra, ad eccezione di Caldarone, non ha mai toccato palla. I due consiglieri del Cda, Giosué Catania e Calogero Sardo, sono stati nominati durante il periodo Crocetta. Mentre il collegio dei revisori dei conti è un monocolore Pd, che ha resistito all’urto del cambio di governo: la presidente Caterina Agate è assessore al Bilancio a Mazara del Vallo ed esponente del Pd locale; Eustachio Cilea, già visto nel Cda di Riscossione Sicilia (dimissionario), è stato consigliere comunale “dem” a Bagheria; mentre l’ultimo membro effettivo, Vincenzo Parrinello, è stato deputato del Pd durante il governo Lombardo. Lo stesso Fabio Marino faceva parte della segreteria tecnica di Cracolici.

Il tentativo del centrodestra di riconquistare spazio non piace al Pd, che qualche settimana fa si è opposto alla “lottizzazione” degli Iacp e dei parchi, occupati da Musumeci nonostante il parere contrario della Prima commissione all’Ars. Il sottogoverno, però, resta un’occasione ghiotta di potere, e l’Esa non fa eccezione. Se ci metti pure un patrimonio immobiliare infinito, capisci che la partita è molto più complessa di quanto in realtà non appaia. A proposito: l’atto di interpello per il nuovo direttore generale è scaduto venerdì alle 14. Nel giro di qualche giorno l’incarico sarà assegnato. A chi?