Mai così in basso agli occhi dell’Italia. È questa la fotografia che arriva da fuori, quando si parla di Sicilia. Non più soltanto polemica politica, ma un giudizio diffuso, persino impietoso, sulla credibilità delle istituzioni regionali. Al punto che la domanda che serpeggia tra editorialisti, politici nazionali e intellettuali è se l’Isola sia ancora in grado di autogovernarsi.

Qualche giorno fa Carlo Calenda, dalla Versiliana, ha sparato a zero (non è la prima volta, per la verità): quello siciliano “è il Parlamento che si riunisce meno e dove c’è il voto segreto, così ogni consigliere, parlamentare, pardon, perché sennò si urtano, può votare in dissenso e tu lo devi comprare”. E ancora: “La Sicilia non deve avere mai più un Parlamento regionale. È un posto dove hanno soldi, non fanno le infrastrutture e l’acqua fa schifo”. Già a febbraio il leader di Azione aveva spiegato che “i siciliani hanno diritto a una sanità dignitosa, all’acqua potabile e a infrastrutture decenti. Sono almeno 30 anni che la Regione non è in grado di assicurarglieli, perché decennio dopo decennio si è trasformata in un sistema che ha come unico obiettivo l’auto perpetuazione. Questo è impensabile e inaccettabile”.

Calenda, a onor di cronaca, in Sicilia è stato eletto. Grazie al sistema fasullo che ha permesso a molti paracadutati, di tutti i partiti, di utilizzare l’Isola come traino per il parlamento nazionale. A molte delle cose che dice, in parte condivisibili, andrebbe aggiunta anche questa stortura: per fare il presidente della Regione è necessaria la residenza nell’Isola, non sarebbe male adottare lo stesso requisito di base per chi aspira ai palazzi romani. E fine della storia.

Non meno incisivo è stato l’intervento Pietrangelo Buttafuoco, che in un’intervista al Corriere, alcuni giorni fa, ha messo a nudo il paradosso di un’Isola straordinaria eppure sempre più marginale: “In Sicilia siamo convinti di avere delle autostrade, che tali non sono, perché abbiamo un ammasso di incompiute tra le più urgenti e necessarie infrastrutture, perché abbiamo scientemente ucciso l’agricoltura, l’imprenditoria, per non dire poi del turismo laddove resta appesa la domanda delle domande: com’è possibile che la vetrina della villeggiatura — in termini di Pil, di economia e commercio, intendo — sia nel dappertutto ordinario d’Italia e non nel luogo straordinario dove ci sono Ortigia, Ibla, Taormina, Cefalù o Lilibeo?”. Da qui la provocazione: “Chiedere a Luca Zaia di candidarsi a Palermo per il governo della Regione. Gli offro residenza e domicilio — previste da regolamento — a casa mia, ad Agira”.

Quella di Buttafuoco contro l’autonomia siciliana è una battaglia ancestrale. L’ha definita “una tragedia”. Ma non è con Zaia che si può pensare di risolverla. La risposta del governatore veneto, che ha declinato gentilmente l’invito, è arrivata a stretto giro sul Gazzettino: “La Sicilia è una regione per la quale non bisogna buttare la spugna, non è una partita persa. Magari avessimo noi veneti quel mare! Dò un dato: fatto 100 il movimento turistico finanziario in Italia, solo il 20 per cento viene dal Sud. Si pensi alle potenzialità!”.

La cronaca politica degli ultimi mesi – a partire dalle magagne giudiziarie che hanno investito lo stato maggiore dei patrioti e il presidente dell’Ars Galvagno – conferma lo sbriciolarsi della credibilità del sistema siciliano. Carmelo Caruso, sul Foglio, ha raccontato senza sconti la vicenda della nomina di Annalisa Tardino a commissario dell’Autorità portuale della Sicilia occidentale, “perché così si erano accordati Salvini e Tajani. Si sono spartiti il mare: a Forza Italia, il porto di Gioia Tauro e alla Lega, il porto di Palermo, solo che Schifani minaccia di impugnare la nomina, di ricorrere al Tar”. È l’ennesimo segno di un governatore piegato più alle logiche interne che alla guida della Regione. Caruso lo descrive così: “È da tre anni che Schifani guida questa isola sciagurata e da tre anni accumula cariche da commissario salvo poi scaricare le colpe sui sub commissari (che licenzia)”. E’ accaduto per l’Anas.

Il bilancio è desolante: autostrade interrotte, ospedali senza direttori generali, aeroporti (Fontanarossa su tutti) che attendono da anni di essere riparati, fondi spesi per concerti più che per servizi. “È un metodo di nongoverno e non è neppure nuovo, ma si immerge nel fasto dell’arretratezza e dello scialo”, scrive ancora Caruso, inchiodando l’immagine di una Sicilia ridotta a “centro sociale”, dove al posto di sgomberi servirebbero commissari prefetti per rimettere ordine.

E non basta: anche il quadro politico interno si è fatto ingestibile. Huffington Post ha ricostruito il caos che circonda Schifani, con le tensioni tra Lega e Forza Italia, il ricorso contro Tardino e la guerra sotterranea dentro Fratelli d’Italia. L’inchiesta che ha travolto il presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, accusato di corruzione, ha reso esplosiva la situazione. A ciò si aggiungono le fratture territoriali tra meloniani palermitani e catanesi e le defezioni eccellenti come quella di Manlio Messina, che qualche settimana fa ha lasciato FdI senza dare spiegazioni. O meglio, dandone una che non convince: non mi hanno difeso. Ma da cosa? Giacché il Balilla si dice estraneo a tutte le vicende tirate fuori dai magistrati sulle catastrofi della corrente turistica?

Tra le tante annotazioni di questi giorni, ce n’è una – forse involontaria – che fa tanto al caso della Sicilia. E’ di Antonio Polito sul Corriere della Sera. L’editorialista commenta la smania da poltrona di certi governatori. “Cacicchi a vita, sembra essere il loro programma. A molto potere corrisponde infatti poca alternanza, e questa è la seconda anomalia. I sistemi politici regionali sono «bloccati». È rarissimo che l’incumbent, chi cioè detiene la maggioranza, venga battuto alle elezioni. Anzi, le opposizioni un po’ alla volta svaniscono, si frantumano e finiscono aspirate un pezzo alla volta dentro il sistema di potere”. Un periodo che sembra cucito su misura per Schifani. Che si fida solo di Cuffaro. Che è “punzecchiato” un giorno sì e l’altro pure da Lombardo. E che per rifocillarsi ha citofonato a casa di Totò Cardinale, a Mussomeli, dov’era ospite della sua festa di compleanno.

Al netto delle schermaglie politiche – non da ultima la corsa alla successione di Schifani inaugurata dal suo stesso partito, Forza Italia – ciò che filtra nel resto d’Italia è un’immagine devastante. La Sicilia è il luogo dove nulla funziona e dove la politica appare soltanto come teatro di intrighi e di spartizioni. Dove perfino autorevoli intellettuali o leader nazionali, invece di difendere l’autonomia, la deridono o la vorrebbero commissariata. Forse, mai come oggi, l’Isola appare così distante, così altro” rispetto al Paese. Non per le sue bellezze, ma per la sua incapacità di valorizzarle. E questo, agli occhi dell’Italia, è il vero fallimento: essere straordinari per natura, ma percepiti come irrimediabilmente mediocri per colpa della politica.