“Da due mesi tolgo i rifiuti dalle strade, anche se nessuno se ne accorge”. “La Rap sta facendo il possibile per scongiurare l’emergenza sanitaria”. A parlare sono due facce della stessa medaglia: il presidente della Rap, Giuseppe Norata, e il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. Il Comune è socio unico della società della nettezza urbana, che da una decina di giorni – in seguito alla chiusura della discarica di Alcamo – non sa più che pesci pigliare. Anche se ieri, comunicano i vertici aziendali, “è ripresa a pieno regime l’attività di raccolta dei rifiuti urbani abbandonati”. Sul campo, però ne rimangono duemila tonnellate. Antonio Cascio, primario di Infettivologia al Policlinico, ha dichiarato che “non bisogna farne un dramma”, ma alla fine quei rifiuti sparsi per strada “potrebbero provocare delle malattie”. La situazione è esplosiva. Due emergenze sanitarie – a Palermo esiste il Covid come altrove – sarebbero difficilmente gestibili. Ma quello che si fatica a capire, o forse è fin troppo noto, sono i motivi per cui la quinta città d’Italia si è cacciata in questo imbarazzante cul-de-sac.

I marciapiedi sommersi di monnezza, come accade da giorni nelle periferie, sono istantanee del tempo presente. Ammorbano l’aria e aumentano la tensione. La Rap sta provvedendo al noleggio di camion e pale meccaniche da ditte private per provvedere alla raccolta, che negli ultimi giorni si era fermata a causa dell’impossibilità di smaltire la spazzatura. Mancando una discarica di riferimento, i compattatori restavano pieni e l’azienda ha ridotto gli itinerari. La beffa più amara di questa atrocità visiva e olfattiva, è che Palermo una discarica ce l’ha. Poco distante dal centro abitato, in contrada Bellolampo. Una discarica pubblica che, però, non funziona. Ha smesso di farlo nel luglio 2019, quando la sesta vasca in cui abbancare i rifiuti si è esaurita.

Così la Rap ha iniziato a esportarne notevoli quantitativi in mezza Sicilia, dopo averla “trattata” nell’impianto Tmb (trattamento meccanico biologico) di Bellolampo. La parte residuale, invece, è rimasta nel piazzale, dove oggi si erge un muro di spazzatura di 40 mila tonnellate. Un parcheggio “abusivo” che è costato al presidente della Rap, Norata, un avviso di garanzia per disastro ambientale. L’azienda ha fatto sapere che, anche nei prossimi giorni, i rifiuti “saranno depositati in modo straordinario e temporaneo nei piazzali dell’impianto di Bellolampo”, nell’auspicio che “da parte della Regione ci sia la massima disponibilità, così come promesso dall’assessore Pierobon, per l’individuazione di impianti di trattamento idonei” ad accoglierli. L’unico posto in cui ficcarli, d’altronde, è la sommità della sesta vasca (che ha una capacità di altre 140 mila tonnellate). Sarebbe la soluzione più immediata e anche la meno sanguinosa sotto il profilo economico. Prima, però, deve arrivare l’autorizzazione della Regione al progetto presentato dalla Rap: potrebbe volerci un altro mese. E nel frattempo?

Questa è la domanda a cui nessuno riesce a rispondere. Che fa il paio con i mille interrogativi di questi giorni. Chiedete a uno della Rap se saprà dirvi il motivo per cui Palermo ha una percentuale di raccolta differenziata oscena (sotto il 20%): non saprà rispondervi. Provate a capire perché il servizio porta a porta è destinato ad appena 200 mila residenti su 700 mila. O perché la società dei rifiuti, che costa 140 milioni l’anno, non ha un piano industriale all’altezza. O, ancora, che fine abbia fatto il progetto della settima vasca, fermo da 33 mesi alla Regione. Il rimpallo di responsabilità non ha mai portato a nulla, eppure prosegue. Norata continua a dire che “questa emergenza non dipende da Rap, tanto meno dal Comune, ma dalla mancanza di impianti in tutta la Sicilia”. La Regione, che soltanto l’altro ieri ha annunciato un piano dei rifiuti nuovo di zecca (definito da Musumeci “un traguardo storico”), sostiene che “appena si risolverà il problema degli impianti chiusi, resterà comunque un problema Palermo”. La questione dovrebbe trascendere la politica, ma le parti impongono una recita a soggetto cui è difficile sottrarsi.

Però un paio di cose sono successe: la commissione Via-Vas dell’assessorato regionale al Territorio e Ambiente, dopo 15 mesi d’attesa, ha finalmente dato il via libera al piano regionale dei rifiuti. Che è stato approvato in seguito a un’attenta “revisione” suggerita dal Ministero dell’Ambiente. Il piano dovrebbe far luce sulla tipologia degli impianti da realizzare in Sicilia. Fornire, insomma, delle linee guida. Ma dalle parole dell’assessore all’Energia, Alberto Pierobon emerge che “ogni ambito provinciale dovrà essere autosufficiente nell’impiantistica scegliendo la tecnologia necessaria a chiudere il ciclo. Priorità in sede di valutazione avranno gli impianti pubblici, in un’ottica di riequilibrio con il settore privato”. Una versione, quella di affidare “potere decisionale dal basso, ai territori”, che non convince il Movimento 5 Stelle, che attraverso il deputato regionale Giampiero Trizzino alza le barricate.

“Quello utilizzato dal governo è un escamotage per non decidere. Il Codice dell’Ambiente prevede che siano le Regioni a stabilire la tipologia e il complesso degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani. Bisogna dire, in modo chiaro, quali impianti realizzare e in quali ambiti territoriali allocarli. Questo ragionamento ha una sua logica: cioè, realizzare l’economia di scala. Se a Enna c’è un impianto gigantesco, con una capacità maggiore di tutta la provincia, sarebbe assurdo realizzarne uno delle stesse dimensioni a Caltanissetta. Inoltre, stabilendo la tipologia degli impianti, gli Arata di turno verranno tagliati fuori. Se le cronache giudiziarie ci hanno insegnato qualcosa – sottolinea il deputato grillino – è che la Regione deve mettere paletti ben definiti per stabilire cosa si può e cosa non si può autorizzare. Lasciare tutto in una condizione nebulosa, di certo non ci aiuta”.

L’assessorato ai Rifiuti, da parte sua, spiega che “nel pieno rispetto della gerarchia europea dei rifiuti, le politiche di gestione mireranno alla riduzione della produzione tramite attività di prevenzione, alla preparazione per il riutilizzo, al riciclaggio, al recupero di energia tramite moderni impianti di termoutilizzatore e, solo marginalmente e in ultima istanza, allo smaltimento in discarica”. La visione discarico-centrica, che negli ultimi vent’anni ha condannato la Sicilia a subire supinamente il ricatto economico di imprenditori senza scrupoli, dovrebbe finire in soffitta. Anche il capitolo dei termovalorizzatori – se ce ne fosse uno, la quinta città d’Italia non sarebbe ridotta in questo stato – va delineato con precisione. Secondo Trizzino, però, nel piano “non viene sciolta la riserva sulla possibilità di costruire o meno un inceneritore. Si parla molto genericamente di redigere un ulteriore documento, dove ‘forse’ se ne potrà prevedere uno o più di uno. Una approssimazione di questo livello non è ammissibile”.

La Regione replica spiegando che “è possibile scegliere questa tipologia” di smaltimento, ma “dovrà essere la SRR (società regolamentazione dei rifiuti) di turno, se vuole affidare i propri rifiuti a quell’impianto, a dover fare una gara di evidenza pubblica. Ci sono dei meccanismi e delle regole che mettono ordine. E’ finito l’assalto alla diligenza di una volta – assicurano dall’assessorato all’Energia -. C’è un percorso da seguire che si fonda su regole europee. Noi fra l’altro abbiamo già recepito le norme in materia di economia circolare del 2018. Siamo al passo coi tempi”. Qualora una SRR dovesse deviare dallo scopo originario, e favorire gli “amici degli amici”, la Regione avrà il potere di bloccare tutto: “Il governo Musumeci ha già commissariato alcune SRR inadempienti. Con la nuova riforma, semmai verrà approvata, i nuovi enti di natura pubblica (le Ada, ndr), saranno maggiormente controllati dalla Regione, che avrà la possibilità di intervenire a gamba tesa se qualcosa non funziona”.

Il piano dei rifiuti, che prima di essere adottato dalla giunta sarà vagliato dalla quarta commissione dell’Ars, non può risolvere i problemi odierni di Palermo. Per quelli servirebbe un miracolo. O, come spiega Trizzino, che domani sarà a Bellolampo per un sopralluogo, una soluzione dolorosa ma inevitabile. Dopo aver bocciato l’ipotesi di spedire i rifiuti fuori dalla Sicilia, troppo esosa, ecco la proposta: “Se fossi il sindaco di Palermo, e dunque responsabile della salute dei miei cittadini, nel giro di un paio di giorni farei in modo da ottenere l’autorizzazione per abbancare i rifiuti nella parte sommitale della sesta vasca – spiega Trizzino -. Così da liberare la città dai cumuli di immondizia. Chiusa l’emergenza, all’anno nuovo, cioè un minuto dopo avere stappato lo spumante, piazzerei i miei uomini migliori a sorvegliare il completamento della settima vasca. Poi in sede di parere del Piano regionale dei rifiuti, farei valere la mia voce sul diritto che Palermo ha sulla discarica: non è ammissibile che Bellolampo sia utilizzata a piacimento dalla Regione alla prima crisi utile. Così come non è ammissibile che Palermo non abbia la differenziata ovunque e non usufruisca di impianti per raccoglierla. Anche quello farei immediatamente. I soldi ci sono, è la volontà che manca”. Un assist a Orlando. Ma il tempo sta scadendo.