Ora che il Sindacato della Stampa Parlamentare ha fatto sentire la propria voce e, sulla legge per l’editoria, ha imposto le nuove regole del gioco, ora possiamo dire che i giornalisti di Sicilia hanno finalmente una rappresentanza in grado di affermare i principi supremi della dignità, della professionalità, della moralità. Il colpo d’ala, che la categoria aspettava da anni, è scattato giovedì mattina a Palazzo dei Normanni quando i gagliardi dirigenti della stampa che segue i lavori dell’Ars hanno preso coscienza del proprio potere all’interno della casta parlamentare e hanno suggerito ai membri della seconda commissione legislativa, quella del Bilancio, di modificare con un emendamento l’articolo di legge che il governo aveva inserito, nella tormenta “manovrina”, a proposito dei contributi annualmente assegnati al favoloso mondo dell’informazione: giornali, tv, agenzie e siti internet.
Fino al 2024, per essere ammesso ai contributi erogati dall’Irfis, bastava che la testata avesse alle proprie dipendenze almeno un giornalista regolarmente pagato e contrattualizzato. Con l’emendamento proposto dalla Stampa parlamentare e accolto all’unanimità dalla Commissione Bilancio, i collaboratori dovranno essere almeno due. E’ stata una lezione di alto valore politico, civile e morale. Soprattutto per l’inetta e assonnata Assostampa, il sindacato ufficiale e quasi esclusivo della categoria, quello che teoricamente dovrebbe tutelare, nelle aziende editoriali, la rigorosa applicazione del contratto nazionale e che invece è diventato una macchina utile per costruire inimmaginabili e straricche carriere all’interno dell’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti morto da qualche anno ma ancora con molti ossi immobiliari da spolpare.
Ma il colpo d’ala, chiamiamolo così, della Stampa parlamentare – quella che martedì scorso ha gratificato il presidente Galvagno con un ventaglio offerto in segno di stima e ringraziamento – si è trasformato in una vibrante lezione anche per il Corecom, l’inutile e smarrito Comitato regionale per la Comunicazione, la cui esistenza in vita consente al suo presidente, il pagnottista Andrea Peria, di portarsi a casa uno stipendio di quasi quattromila euro mensili e di avere tutto il tempo libero per dedicarsi all’organizzazione di festival e festini finanziati, manco a dirlo, da Comuni e Regione.
Lodi senza senza fine, dunque, al sindacato Stampa parlamentare, acquartierato nelle dorate stanze di Palazzo dei Normanni. A patto però che la sua enorme energia, improntata a uno zelo sacrosanto per il lavoro e la dignità della legalità, non venga dispersa o dimezzata. Un’altra azione meritoria – non ce lo chiede l’Europa ma la decenza – sarebbe quella di combattere il pagnottismo che purtroppo dilaga dentro la professione giornalistica. “Vaste program”, avrebbe commentato il generale De Gaulle. Noi, con l’umiltà di chi conosce poco e niente del misterioso e intrigante firmamento dell’informazione, vorremmo suggerire ai due alti dirigenti della Stampa parlamentare – quelli che, come si vede nella cerimonia del ventaglio, fanno da corona a Galvagno – un secondo emendamento da presentare in Commissione Bilancio. Magari tramite il molto onorevole Ignazio Abbate, presidente della prima Commissione e grande intenditore – basta aprire ilSicilia.it – della materia che stiamo qui per affrontare.
Il tema, va da sé, è sempre quello: la legge per l’editoria. E nell’editoria, come si sa, ci sono tanti, tantissimi pagnottisti che controllano fino a quattro società: con una, la più appariscente, pubblicano e gestiscono una testata che finge di fare giornalismo, che seleziona le notizie utili per gli amici ed evita accuratamente di dare quelle che potrebbero anche lontanamente disturbare il potere; con le altre tre società parallele rastrellano incarichi e affidamenti diretti dalla Regione e dagli enti – come le Asp o i Consorzi di Bonifica – che dipendono politicamente ed economicamente dall’amministrazione regionale. Un esempio illuminante, e già elevato agli onori della cronaca, è quello del faccendiere e super pagnottista Maurizio Scaglione. In un anno, mettendo in equilibrio – usiamo questa formula elegante – il sito di informazione e le società che fanno incetta di incarichi e consulenze, ha totalizzato affidamenti diretti per quasi mezzo milione di euro. Poi, tranquillamente, ha pure presentato all’Irfis la domanda per la sua testata e ha incassato un’altra montagna di soldi grazie, appunto, alla legge sull’editoria.
Il secondo emendamento che suggeriamo ai prodi colleghi della Stampa parlamentare – lo facciamo per non lasciare a metà la loro opera di moralizzazione – non può dunque che essere il seguente: “Vengono escluse dai contributi previsti dalla presente legge quelle testate il cui editore abbia compartecipazioni in società che, traccheggiando col retrobottega di Palazzo d’Orleans e saccheggiando le riserve di denaro pubblico, incassano pagnotte a non finire”. Pagnotte tutte indecenti, tutte maleodoranti, tutte indigeribili.
E’ un emendamento necessario, indispensabile, obbligatorio quello che con tanta umiltà ci permettiamo di proporre ai colleghi che, col petto in fuori e la schiena dritta, operano dentro Palazzo dei Normanni. I quali, siamo certi, si adopereranno per consegnarlo nei prossimi incontri, a tu per tu, nelle benevole mani della Commissione Bilancio. Lo faranno, ovviamente, con tutto lo zelo del quale sono capaci. Anche per allontanare il sospetto che il precedente emendamento – quello dei due giornalisti al posto di uno – sia stato inventato e consegnato alla Commissione Bilancio per ridurre al silenzio una testata che, senza un padrone e con un solo redattore, conduce le sue doverose battaglie contro l’arroganza del potere, contro le caste, contro i pagnottisti e anche contro i ruffiani.