Superato indenne lo scoglio della manovrina, sono bastati pochi giorni ai deputati dell’Ars per tornare alla carica con le cattive abitudini. Così Gaetano Galvagno, per compiacere il governo e Renato Schifani (cui non perde occasione di augurare lunga vita a Palazzo d’Orleans: un bluff?), ha stralciato da un disegno di legge sulla digitalizzazione uno strano emendamento di spesa (da oltre 1,5 milioni), per assegnare patrocini per eventi promozionali. Senza bando, va da sé.

L’atto del presidente dell’Assemblea, però, non coincide col tentativo di moralizzare l’attività parlamentare. Quella è una causa persa. Bensì di rimettere sugli stessi binari l’Ars e il governo, che trovano occasione di parlarsi e confrontarsi solo al pensiero delle “mance”. L’emendamento di cui sopra trovava il favore di Fratelli d’Italia, il gruppo del presidente di Sala d’Ercole, e la Democrazia Cristiana di Cuffaro. Ma non piaceva agli altri. Portarlo ai voti avrebbe riaperto la crepa del centrodestra, mascherata – di recente – dall’approvazione unanime delle variazioni di bilancio. Avrebbe significato rovinare tutto, creare musi lunghi (pronti a convertirsi in franchi tiratori) e riaccendere i tizzoni ardenti alla vigilia di un’altra campagna per l’aggiudicazione della prebenda più sostanziosa (l’appuntamento è tra un mese con la manovra-ter).

Insomma Galvagno non avrebbe fatto un buon servizio a Schifani e al resto della coalizione. E probabilmente nemmeno a se stesso, in prospettiva. Una cosa però va chiarita: da quando l’allievo di La Russa ha deciso di normalizzare la spartizione delle mance, proponendo di evitare i contributi diretti a enti e associazioni (dopo il caso Auteri), le pratiche clientelari hanno cambiato volto, ma non sono sparite. Anzi: rappresentano uno strumento di ricatto, nonché l’unico collegamento fra governo e parlamento, decisivo per portare avanti un’azione politica (qualunque essa sia). E sembrano già caduti nel dimenticatoio i riscontri del Ministero dell’Economia, che aveva imposto alla regione dei principi di “eguaglianza, imparzialità e continenza” in cambio della mancata impugnativa della Legge di Stabilità 2025.

Schifani aveva garantito disciplina. Macché. La situazione si è addirittura incancrenita. Le mance rappresentano l’unica cifra della politica siciliana. Sono diventate una sorta di maledizione. E anche l’idea – di Galvagno – di riversare i contributi ai comuni e agli enti locali per evitare nuovi polveroni, sono parsi avventurosi e hanno prestato il fianco alla spregiudicatezza e all’ingegno dei 70 onorevoli. L’assenza di mance all’Ars è vissuta come un’offesa; ma anche il regime delle mance ha delle regole.

Come rivelato ieri da Repubblica, persino lo sport si finanzia a occhio, o meglio: a discrezione del deputato di turno. Campi da padel, palazzetti e attrezzature sportive vengono finanziati dalla Regione senza una riga di relazione tecnica, né una stima preliminare dei costi. A certificare il corto circuito è stata una lettera interna del dirigente regionale Giuseppe Librizzi, indirizzata al capo dipartimento Maria Concetta Antinoro, che ammette l’assenza di qualunque istruttoria tecnica o progettuale. Eppure l’assessorato al Turismo ha già avviato l’erogazione di quasi 6 milioni di euro per una quarantina di interventi. La verità è che a stabilire quali opere finanziare e quanto spendere sono stati direttamente i deputati regionali, che con la finanziaria di gennaio hanno individuato comuni beneficiari e importi, bypassando ogni “filtro”.

Il risultato? Fondi assegnati senza un progetto, con l’obbligo per i Comuni di inviare solo dopo la ricezione del decreto un progetto esecutivo (entro 60 giorni), e a fine lavori, la documentazione di regolare esecuzione. Una toppa procedurale su una falla di metodo: la spesa pubblica è diventata una questione di relazioni, non di progettazione. L’assessora Elvira Amata rivendica la rapidità del meccanismo: “così si risponde alla domanda di sport dei giovani”. Ma intanto resta il vuoto di regole, di trasparenza e soprattutto di priorità.

Così come restano gli abusi alla spesa pubblica da parte della corrente turistica di FdI, che ancora sopravvive nonostante le sventure (politiche, s’intende) dei vari Messina, Auteri e compagnia. Ne è prova l’ultimo affidamento diretto, per centomila euro, delle attività di comunicazione promo-pubblicitaria del Sicilia Jazz Festival a una ditta di Catania, come si evince da una determina del 23 maggio del Servizio 1 del medesimo assessorato. Centomila euro d’ufficio stampa. Le risorse pubbliche, ancora una volta, diventano terreno di conquista per i partiti assetati di potere, che debbono mettere a disposizione dei propri cacicchi sul territorio i piccioli per poter attrarre nuovo consenso elettorale. Ché tra due anni si vota. La mancia diventa, quindi, garanzia di “buona condotta”, evita gli agguati d’aula, rappresenta l’unica arma di dialogo tra parlamento ed esecutivo. E pazienza che ogni tanto si ecceda.