Umberto Eco – che fu intellettuale di inarrivabile statura letteraria e filosofica – lo scrisse chiaramente nel suo testamento: per almeno dieci anni dal giorno della morte nessuno avrebbe potuto utilizzare il suo nome per commemorazioni, ricordi, celebrazioni. Sapeva quanto famelici e quanto sbracati fossero figli e nipoti, fondazioni e case editrici che, con la banalissima scusa di tenere viva la memoria del venerato maestro, in realtà fanno strame delle sue opere. Basta pensare a quale mercato sia stato costruito, soprattutto in Sicilia, sulle spoglie di Andrea Camilleri, il geniale padre del commissario Montalbano. C’è un grande circo che gli gira attorno perennemente e che fa soldi sfruttando anche i dettagli più insignificanti nascosti nei suoi racconti. L’ultimo esempio arriva da Ragusa dove una vecchia confraternita dell’ingordigia ha apparecchiato per il weekend uno spettacolo – spettacolo, si fa per dire – su “le cucine di Camilleri”. Non potevano scegliere una ricetta più acida per svilire e appannare la brillantezza dei suoi libri.
