Il giornalista Sergio Rizzo ha scritto un libro intitolato “Potere Assoluto” che tratta della Magistratura Amministrativa, ed esattamente del Consiglio di Stato, organo di appello dei Tribunali Amministrativi Regionali (TAR).

In Sicilia per volontà statutaria (art.23), il Consiglio di Stato ha una sezione staccata, che viene denominata “Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia”

Lo stesso scrittore scrive testualmente che “il Consiglio di Giustizia Amministrativa è la più lampante dimostrazione dei danni che lo Statuto Speciale della Regione Siciliana riesce ad arrecare”.

Nei primi paragrafi pone i riflettori sul Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, quale organo di appello della giustizia amministrativa in Sicilia e afferma nel preambolo “Sicilians do it better” , palesando alcune anomalie maggiori rispetto al sistema unico nazionale.

In realtà nonostante la norma statutaria, che assurge a rango costituzionale, preveda una sezione staccata territorialmente , e dunque  non ne modifica le funzioni, la normativa regionale ha deciso di creare un giudice diverso, in contrasto a diversi articoli della Costituzione.

È stato il Legislatore regionale a volere creare palesi difformità solo a nocumento del sistema giustiziale amministrativo in Sicilia e ancora oggi il menzionato Legislatore non ha voluto eliminare la evidente stortura del delicato sistema giudiziale.

In realtà le questioni relative alla anomalia siciliana non trovano riscontro in quanto dettato dalla Costituzione e soprattutto dallo Statuto Siciliano.

Si premette sin da subito che i giudici che dovrebbero essere disciplinati nella stessa identica maniera, sia in ordine alla assunzione e sia in ordine alla modalità di espletamento delle funzioni, subiscono una palese disparità di trattamento in ordine alla durata.

Occorre premettere che all’interno della quota governativa presso la Sezione Centrale del Consiglio di Stato confluiscono tutti i magistrati che risiedono nell’intero tessuto nazionale, tranne appunto i siciliani.

Mentre i Consiglieri nazionali sono tutti a tempo indeterminato i Consiglieri siciliani sono  a tempo determinato, nonostante siano stati assunti nella stessa identica modalità e svolgano le medesime funzioni.

Di fatto hanno un palese detrimento della funzione di magistrato sol perché la svolgono a Palermo e non a Roma.

A ciò si aggiunge che l’idoneità a “Consigliere di Stato” viene conseguita a seguito di una attività valutativa da parte del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa quale organo di autogoverno della giustizia amministrativa; e ciò vale sia per i nazionali che per i siciliani.

Lo stesso discorso vale anche per i “bolzanini” che nonostante trattino le questioni regionali dello Statuto Speciale di Trento e Bolzano, ma che vengono collocati nella sezione centrale, sono a tempo indeterminato.

Questo assurdo ed indiscriminato “privilegio” dei siciliani ha una refluenza esclusivamente negativa, sia per la dignità del ruolo del magistrato del CGA e sia per il rispetto dell’interesse collettivo, che necessita di un giudizio imparziale e sereno.

Al Consigliere di Stato presso il CGA alla fine del rapporto lavorativo (percepisce stipendio, ha il vincolo della subordinazione,) non viene data nessuna garanzia né durante il rapporto né financo alla fine, posto che non gode di nessun trattamento di fine rapporto, di cui invece godono i colleghi “nazionali”.

Basti rilevare parimenti che al momento della elezione a Giudice Costituzionale, posto che un posto è riservato alla nomina di un Consigliere di Stato, i magistrati del CGA vengono puntualmente esclusi dall’elettorato attivo, mortificandone palesemente il ruolo e la dignità di magistrato. La loro durata ne esclude dunque il regime giuridico.

Una sorta di evaporazione dall’Ordinamento, a differenza di tutti i Magistrati ordinari. Ma il punto veramente critico è quello che si espone successivamente.

La temporaneità del rapporto lavorativo come magistrato non è indice di garanzie ed indipendenza per come è stato ad esempio altresì riportato dall’articolo pubblicato nel giornale “La Verità” del 10 gennaio 2021 a firma del Presidente R.De Nictolis, nella qualità di Presidente dell’Associazione Magistrati del Consiglio di Stato, redatto per replicare ad alcuni rilievi giornalistici sulle nomine governative del Consiglio di Stato, Sezione centrale.

La Presidente ha ribadito, con fermezza, che costituisce strumento indispensabile di garanzia l’assunzione a tempo indeterminato, perché svincola il magistrato da qualsiasi legame con il potere politico.

Da ciò si desume, come logico corollario, che la temporaneità dell’assunzione ( non prevista dalla Costituzione) non può garantire l’indipendenza.

E che tale affermazione non sia solo di principio lo si può verificare in ordine alla circostanza che l’avvocato assunto, conoscendo la durata temporale e privo di ogni forma pensionistica o previdenziale, non godrà mai della serenità ed obiettività che dovrebbero caratterizzare l’attività giustiziale.

Stando così le cose il professionista nominato come magistrato ordinario in Sicilia è a scadenza con la conseguenza che alla fine del rapporto lavorativo, gli viene imposta, quale unico strumento di sostentamento, la prosecuzione dell’attività lavorativa che però gli viene inibita per sei anni.

Anzi gli viene consentita in altro ambito territoriale.

Le logiche deduzioni derivanti da  tutto ciò sono evidenti e lo scrittore ha limitato la sua analisi.

L’anomalia siciliana è più profonda e ha conseguenze molto più dannose di quanto descritto dal libro.

Salvo Zappalà è stato giudice del Consiglio di Giustizia Amministrativa (Cga)