Sembrava che nelle Marche vi fossero le condizioni migliori per il centrosinistra.
Pareva possibile riprenderne la guida e mandare a casa l’uomo ritenuto espressione diretta di Meloni.
Con “testarda” volontà Schlein era riuscita a mettere insieme tutte le forze di opposizione, a far accettare loro il candidato per la presidenza della Regione, l’usato sicuro. Era convinta che sarebbe uscita rafforzata la propria posizione e che avrebbe potuto contare sul successo nella maggior parte delle regioni dove si voterà nelle prossime settimane, come segnale di un cambio di tendenza del Paese.
Poi gli elettori, anche loro testardi, hanno dato al Partito democratico poco più del 20%, meno di quanto ottenuto in precedenza, svelando la debolezza della leadership e di una forza che stenta a sintonizzarsi con la società anche quando essa è attraversata da forti tensioni e da grandi proteste contro il governo israeliano per le stragi a Gaza.
Un insuccesso, come è avvenuto nelle tornate elettorali precedenti, ha incassato il Movimento Cinque stelle, che si fa sempre forte dei sondaggi e poi nelle urne trova un terzo dei voti previsti. Tuttavia non demorde, vuole continuare a dettar legge, a intestarsi posizioni politiche diverse da quelle degli alleati e a ritenere, come ha detto proprio oggi un parlamentare marchigiano, che per motivare i propri aderenti occorre che nella Nazionale giochi uno di loro come capitano. Il Movimento sceglie i candidati, gli altri i voti.
La destra stravince nelle Marche, malgrado le proprie divisioni, che riesce a velare, apparendo unita e con una leader forte ed inclusiva.
Quegli otto punti di differenza hanno scosso e avviato, com’era inevitabile, una riflessione nel Partito democratico, che potrebbe trasformarsi nell’ennesimo regolamento di conti, potrebbe viceversa indurre a capire che solo un chiaro progetto riformista, che punti alla salvaguardia dei diritti ma anche alle questioni più immediate ed urgenti dei singoli e delle famiglie, può sintonizzarlo con la nostra società.
Cosa potrà arrivare in Sicilia da questa vicenda marchigiana? Come sarà percepita dai due partiti democratici che si sono di fatto costituiti in Assemblea e in ciò che resta dei circoli?
L’esito delle Marche potrà spingere a ritrovare un elementare senso di responsabilità, a far capire che se già contava poco, oggi quella che dovrebbe essere la maggiore forza di opposizione, divisa in due non conta nulla? Il tempo lavora a rendere irreversibile o comunque molto difficile la ricomposizione, toglie credibilità ad entrambi i gruppi contendenti, consegna anche per gli anni a venire la Regione alla destra, che la considera in fondo come cosa propria, anche per l’assenza di un valido controllo dell’opposizione.
Si può ritenere che quell’otto per cento delle Marche alle prossime elezioni in Sicilia rischi di essere ampiamente superato, anche perché le liste del Pd saranno composte da uno dei due partiti, quello che ha vinto un congresso artefatto e sarà indotto a riequilibrare i rapporti di forze in Assemblea. Capiranno mai alcuni dei protagonisti, quelli che si sentono garantiti, che puntare sulla difesa del proprio spazio e del proprio potere è segno di povertà morale prima che politica? Comprenderà Schlein che continuare a difendere i propri amici o comunque non decidere, lasciando marcire la condizione attuale, la carica di una grande responsabilità, lascia presagire che lei ritenga perduta per il centrosinistra una delle maggiori regioni del Paese? È ancora comunque possibile ricomporre ad unità i due partiti?
Non voglio essere pessimista né tanto meno catastrofico. Eppure, è facile immaginare che un percorso virtuale risulti arduo affidarlo ai protagonisti di oggi.
In un tempo ormai molto lontano, nella seconda metà degli anni Cinquanta, Fanfani, segretario nazionale della Democrazia cristiana, favorì e in una certa misura impose un ricambio radicale della classe dirigente del tempo, estromettendo i cosiddetti notabili, quelli che si erano formati con De Gasperi, a loro venendo comunque garantita la possibilità di competere nelle elezioni e affidò la guida di quel partito ad un gruppo di giovani.
I comunisti del tempo sceglievano gruppi dirigenti ritenuti capaci, unitari e innovativi. Tempi lontani che non rievoco per pura nostalgia.
La storia, si dice, non insegna nulla, eppure non sarebbe male rileggerla di tanto in tanto.
Ciò che resta di buono di quelle storie, del retaggio politico e culturale delle due grandi forze popolari del tempo, quelle dalle quali, dopo lunghi anni di scontro e dopo le modificazioni intervenute in Europa e in Italia, anche in Sicilia è sorto il Partito democratico. Chi oggi ne è alla guida sta sciupando quel retaggio insieme alla prospettiva di essere forza alternativa alla destra.