Venticinque milioni di euro da dividere tra i deputati della maggioranza, come anticipo su un equilibrio sempre più fragile. È questo il vero nodo attorno a cui ruota la cosiddetta manovrina bis – o, nella peggiore delle ipotesi, la prossima manovrina rafforzata (come l’aperitivo che sostituisce la cena) – che a breve approderà in aula. In una stagione politica in cui ogni fedeltà va mantenuta, il centrodestra siciliano si affida ancora una volta allo strumento più collaudato: la spartizione delle risorse. Una quota fissa – mezzo milione per parlamentare – da destinare a interventi nei territori di riferimento. Nulla di nuovo, se non fosse per il contesto: la tenuta del governo Schifani passa ormai da questo genere di accordi.
A complicare i ragionamenti, la presenza ingombrante dei tre deputati di Sud chiama Nord, vicini a Cateno De Luca, che nei mesi scorsi hanno già portato a casa norme “su misura” per circa 7 milioni di euro. Anche a loro spetterebbe una fetta della torta, alla pari degli altri. E questo alimenta malumori e sospetti all’interno della coalizione, con i partiti in subbuglio. Così prende corpo l’idea di congelare il tesoretto e rinviare tutto alla manovra correttiva di luglio, l’ennesima, con la promessa – più o meno esplicita – che le somme a disposizione possano perfino aumentare. L’ha consigliato Galvagno a Schifani per evitare ulteriori ritorsioni o il ricorso al voto segreto, che l’altro ieri ha determinato la spaccatura anche su una questione etica: cioè l’assunzione di medici non obiettori di coscienza da parte delle Aziende sanitarie. Ma c’è anche un altro spauracchio da evitare: cioè l’ostruzionismo dell’opposizione, che stavolta sembra tagliata fuori da tutto.
Galvagno ha suggerito a Schifani di approvare, intanto, solo il testo base del governo: 50 milioni per gli aeroporti minori, l’internazionalizzazione delle imprese, l’assistenza ai poveri e i laboratori di analisi (previsti 15 milioni per compensare le perdite dovute all’introduzione del nuovo tariffario). Cioè quelle misure che alcune settimane addietro hanno superato intonse il verdetto della commissione Bilancio, facendo gioire il governatore. Il resto – contributi per le sagre, soldi alle parrocchie, pacchetti “territoriali” – può aspettare. Magari fino a luglio, quando si sarà definita, forse, la partita delle nomine negli enti di sottogoverno (dall’Esa agli Ersu, passando per l’Orchestra Sinfonica) e si saranno dipanate le questioni relative alla sanità (vanno nominati i nuovi Direttori generali delle Asp di Palermo e Trapani, e individuato il Direttore della Pianificazione strategica). Un’occasione d’oro per riequilibrare rapporti e rafforzare posizioni interne.
Nel pieno di questo mercato permanente, l’Ars non ha fatto i conti – non fino in fondo – con gli ultimi rilievi sulla Finanziaria 2025 da parte del Ministero dell’Economia, che aveva messo nero su bianco le perplessità su una gestione troppo disinvolta dei fondi e sull’assenza di criteri oggettivi. Il presidente della Regione sembrava l’unico ad aver colto la portata del segnale, promettendo – in cambio della mancata impugnativa – un’inversione di tendenza che, con questi chiari di luna, sembra impossibile concretizzare. “Ci siamo impegnati con la Presidenza del Consiglio dei ministri e con il ministero degli Affari regionali affinché per il futuro siano adottate norme improntate al rispetto dei principi di eguaglianza, imparzialità e continenza”, disse il governatore. Parole che suonano come un impegno, ma che si scontrano con la realtà dei fatti: la stessa maggioranza che il presidente tenta di rassicurare continua a muoversi secondo logiche di pressione e scambio.
Ma c’è dell’altro, riguardo al ‘metodo’: come raccontato da La Sicilia, già nell’ultima manovra l’Ars aveva destinato 13,4 milioni di euro alla voce “trasferimenti agli enti locali per promozione turistica, sportiva, culturale e attività di marketing”. Un modo per affidare la partita delle mance ai sindaci, incaricati di individuare i destinatari (associazioni, etc) al posto dei deputati. Con un paracadute: niente obbligo di rendicontazione, ma una semplice autocertificazione del legale rappresentante – il sindaco – dell’avvenuto impiego delle risorse. Una soluzione pensata per disperdere le tracce sugli albi pretori dei singoli comuni (cioè la sede in cui seguire l’iter degli affidamenti) e aggirare le polemiche, dopo il caso Auteri, senza rinunciare alla logica del privilegio selettivo.
Un’eccezione, almeno sul piano formale, è rappresentata dal Furs, il Fondo unico regionale per lo spettacolo. La giunta ha appena approvato la ripartizione di 9,3 milioni di euro destinati a enti pubblici e privati secondo una griglia prestabilita. Il grosso delle risorse va al settore teatrale e musicale, con quote definite e criteri almeno dichiaratamente trasparenti. Ma proprio per questo il Furs resta fuori dalle trattative politiche. Non serve a oliare ingranaggi, non è utile per ricompattare la maggioranza.
E allora tutto torna al punto di partenza. Alla manovra delle mance, alle trattative da retrobottega, ai contributi distribuiti come strumenti di controllo e di ricatto. La Sicilia affonda nelle emergenze, ma l’Assemblea regionale continua a trattare su tutto.