La coalizione di centrodestra rischia una pericolosa deriva. Il botta e risposta fra Salvini e Musumeci, con l’ultimatum lanciato da quest’ultimo alla Lega (“Se pensa a un’alternativa esca dal governo”), ha messo in crisi i rapporti fra i due leader. E portato il governo sull’orlo di una crisi. Chi osserva la situazione da spettatore, e già immagina un ruolo da paciere, è Gianfranco Micciché. Il commissario regionale di Forza Italia, con un aplomb irrituale, tira le orecchie a entrambi: “In questo momento la politica non può permettersi delle fughe in avanti. E’ già successo con Musumeci quattro anni fa, e pensavamo fosse un’eccezione. Se ognuno al mattino si sveglia e dice ‘o mi candido io, o vi faccio perdere’, tanto vale abolire il concetto di coalizione”.

Musumeci è già andato oltre. Ha chiesto alla Lega di uscire dal governo…

“Il presidente stia sereno. E’ stato lui, d’altronde, a inventare la regola dell’autocandidatura. Spesso dimentica che il governo non è “suo” ma di chi l’ha fatto eleggere. Di quella coalizione faceva parte anche la Lega. Per cui eviti queste dichiarazioni: dal governo non esce nessuno, perché abbiamo sottoscritto un patto coi siciliani e fino alla fine della legislatura saremo al fianco di Musumeci”.

E Salvini?

“Stia sereno anche lui. Non è il momento di parlare di successori”.

Troppo tardi.

“Io non ho niente contro Minardo. Non ne conosco esattamente le qualità – come non le conosco di tanti – ma è una persona deliziosa, seria e perbene. Questo, però, non significa che qualcuno possa imporlo dall’alto. Altrimenti si genera un effetto a catena, e finisce che ogni partito sforna un candidato”.

Ha parlato con Salvini?

“Sì, mi ha detto che è stato frainteso: non vuole prendersi Palermo, Catania e la Regione. Intendeva dire che ha gente pronta a candidarsi”.

Ma esiste o no un metodo per scegliere questo benedetto candidato?

“Salvini aveva diritto di reclamarlo quando la Lega, alle ultime Europee, era il primo partito. Adesso ci sono le Amministrative, ci sono i sondaggi. Vediamo quale sarà il partito con più voti: a questo chiederemo di darci una rosa di nomi su cui ragionare”.

Non vale nemmeno la logica della spartizione territoriale? In Puglia è stato candidato uno di Fratelli d’Italia, in Campania e in Calabria uno di Forza Italia. E la Sicilia…

“Quindi secondo lei è logico che io pretenda la Val d’Aosta? Non scherziamo con le cose serie… In Sicilia tocca al miglior siciliano, in Calabria al miglior calabrese, e così via. Chi ha a cuore la nostra terra si adoperi per il suo bene e metta da parte le convenienze personali. L’età mi porta a ragionare con più prudenza rispetto a prima. Anche Salvini e Musumeci dovrebbero farci un pensierino”.

Lei il 26 giugno allo Spasimo disse che non c’era un governo migliore di questo. Ne è ancora convinto?

“Io ho sempre detto che il governo Musumeci ha mostrato diversi limiti. Dovuti, per lo più, a un atteggiamento presuntuoso da parte del presidente e di alcuni suoi assessori. Continuo a sperare che quest’arroganza possa venir meno. In tal caso si ricomincia a ragionare. Diversamente sarebbe un suicidio”.

Sono venute meno le sue speranze di riproporre il modello Draghi e allargare il campo?

“Io sono fortemente convinto che oggi l’Italia non possa fare a meno di Draghi. Per capirne il motivo serve una riflessione a monte: in Italia il sistema maggioritario non funziona. Ne ero anch’io un sostenitore, ma mi sbagliavo. Dal ’94, quando è stato introdotto, solo Berlusconi, dal 2001 al 2006, ha garantito un governo duraturo. Il maggioritario ha creato divisioni, fuori e dentro dai partiti. Ha permesso che i Cinque Stelle, parlando alla pancia del Paese, arrivassero al governo e seminassero disastri atomici come il Reddito di cittadinanza. E ha aizzato le procure. Quanto accaduto in questi giorni, con la sentenza della Trattativa Stato-Mafia, meriterebbe un’analisi molto più approfondita”.

Questo cosa c’entra con l’attuale situazione politica e con Draghi?

“Preferisco un sistema elettorale di tipo proporzionale, in cui si governa insieme e le scelte vengono fatte dopo le elezioni, non prima. Oggi il Paese ha bisogno di pacificazione. E continuo a ritenere che il modo più utile è allargare il campo quanto più possibile. Sia a Roma che al governo della Regione. Ecco perché non possono esistere le autocandidature che nascono nelle sedi di partito o, come avvenne quattro anni fa con Musumeci, addirittura senza un partito alle spalle. O la politica cresce e tutti si diventa grandi, oppure è meglio affidare a terzi la gestione della cosa pubblica. Purché non sia la magistratura: abbiamo visto cos’ha combinato… L’odio e le operazioni contro Berlusconi negli ultimi 25 anni sono stati una cosa indegna”.

Non teme che la sua proposta di “pacificazione” sia un po’ utopistica? Sia la Lega che Fratelli d’Italia non vedono altro che il centrodestra. Anzi, il destra-centro.

“Di fronte a certe reazioni è ancora più importante parlarne. Io rivendico il diritto di dire la mia. Ma non sono un dittatore e non pretendo nemmeno di aver ragione. In questo momento, però, bisogna salvare il Paese, bisogna saper gestire questa montagna di soldi che ci arriva dall’Europa. Immagini se al posto di Draghi ci fosse stato Conte… Ci avrebbe portati dritti al fallimento”.

A proposito di risorse europee. L’assessore Armao ha creato una task force, poi derubricata a ‘gruppo di lavoro’, per la gestione di alcuni fondi del Pnrr. E ci ha messo a capo Nicola Vernuccio. Non aver coinvolto gli altri assessori, e tanto meno i partiti, è l’ennesimo atto di arroganza?

“Io non so esattamente a cosa serva questa cabina di regia… Ma ho incontrato l’altro giorno Vernuccio e gli ho detto: ‘Non so di cosa sei coordinatore o presidente, ma ti faccio comunque gli auguri’. Questo tipo di lavoro spetta al governo nazionale, non alle Regioni”.

Ha ascoltato le parole benevole di Matteo Renzi su Forza Italia e su di lei?

“Quando qualcuno più importante di te ti fa un complimento, non rimanere contenti sarebbe da ipocrita. E io sono rimasto contento. Condivido molte delle cose dette da Renzi, anche su Palermo. Avremo modo di riparlarne”.

Per ringraziarlo sta cercando di sfilargli Edy Tamajo?

“Credo che il primo passo per allargare la coalizione sia il coinvolgimento degli ex di Sicilia Futura. Tamajo, Picciolo, Scala sono persone serie: mi avevano avvertito che prima di fare un passo del genere avrebbero voluto rifletterci un po’ e parlarne con Renzi. E comunque mi hanno manifestato la volontà di aderire a un progetto comune. Io resto serenamente in attesa. Spero che alla fine si faccia. Temevo che la presenza di ‘uomini forti’ potesse creare qualche resistenza dentro Forza Italia. Invece ho parlato con i rappresentanti delle varie province che mi hanno manifestato, con grande intelligenza, la volontà di rafforzare il partito. Se c’è qualcuno che rischia quello sono io: Tamajo è più forte di me…” (sorride).

Ha già tirato le orecchie a Salvini e Musumeci. Ma anche il suo amico Cateno De Luca si è candidato alla guida della Regione. Più o meno come gli altri: in solitaria.

“Sono il presidente dell’Ars, e poiché il suo movimento è rappresentato in parlamento dall’on. Lo Giudice, sarò alla manifestazione di venerdì prossimo a Taormina. Ma anche a Cateno dico che le posizioni di tipo personale non potranno trovare condivisione da parte mia. Quella di De Luca è un’altra possibile candidatura da mettere sul tavolo. Sarà valutata come le altre. Se, però, si rivela un tentativo del tipo ‘o mi candido io, o vi faccio perdere’ siamo sicuri che fra Salvini, Musumeci, De Luca abbiamo la certezza matematica di perdere. E io non potrò fare nulla per evitarlo”.