Morire a Palermo, trovarsi defunti in città, restare in attesa di una “degna sepoltura” nei suoi cimiteri. Morire a Palermo, finire invece in “deposito”. Sognare la rinuncia di morire a Palermo, se non altro temporaneamente, prendere tempo, diventare palermitani eterni, se solo ciò fosse possibile. Sognare così la solitudine dell’infinito propria dei vampiri, la malinconia delle tenebre, e mai, dico mai, essere costretti a subire, sia pure per interposti addetti, l’attesa del compimento assoluto del proprio meritato funerale ai “Rotoli”. Per non dire di quando ad andarsene è un proprio caro. Restare in attesa dell’eternità, ciò che Rimbaud associa al “mare che si accompagna al sole”, che questa possa infine avverarsi in Sicilia. Ovvero quando l’ironia diventa un obbligo. Resta tuttavia a noi, i dolenti, lo spettacolo degli spettrali, inospitali, cimiteri cittadini. Sia in senso logistico – spazi, loculi, “fornetti”, cappelle, ossari, sepolture cosiddette “gentilizie” – sia immaginando le “sale d’attesa”: improvvisati depositi, dove le salme, le bare, i “cofani” accatastati attendono appunto d’essere tumulati. Continua sull’Huffington Post