Dopo la decisione di affidarsi a una giunta di soli eletti – ma le incombenze sono tante e per la formazione dell’esecutivo ci vorrà tempo – Renato Schifani s’è inventato un “governo del presidente” sui generis. Ebbene sì: nelle prime settimane della legislatura, inaugurata ieri dal passaggio di consegne con Musumeci, si occuperà di Sicilia assieme ai capi di gabinetto.

La Regione in mano ai mandarini. Una trovata geniale che, per almeno un mese, gli toglierà l’imbarazzo di dover gestire – da solo – dodici deleghe assessoriali. Rimaste vacanti a causa della stortura di una legge che calendarizza il giuramento degli assessori subito dopo l’elezione del presidente dell’Ars. A parlamento insediato. Peccato che in Sicilia non ci siano deputati: non sono stati ancora proclamati. Manca persino l’ufficializzazione del risultato elettorale, “appeso” a 48 sezioni ancora da scrutinare. E’ la sospensione della democrazia e della politica, cui il popolo siciliano, a venti giorni dal voto, pare essersi abituato. E a cui Schifani cerca disperatamente di rimediare.

Da qui l’intuizione, carpita dall’Ansa, dopo la cerimonia di proclamazione avvenuta giovedì sera al palazzo di Giustizia di Palermo: in raccordo col suo staff, l’ex presidente del Senato ha inoltrato la richiesta a tutti i capi di gabinetto uscenti degli assessorati di rimanere nei propri posti almeno fino a quando non si insedieranno i nuovi assessori, ai quali spetterà il compito di indicare i nuovi collaboratori. A presidiare gli assessorati, in nome della continuità amministrativa, rimarranno dunque i vecchi capi di gabinetto, che nella richiesta ricevuta per mail potranno avvalersi di altri due componenti degli uffici appena decaduti. Ma quali saranno le loro competenze? Su cosa potranno decidere e su cosa dovranno intervenire?

I capi di gabinetto rappresentano, fra l’altro, gli assessori uscenti. Trattasi di nomine fiduciarie, e per questo a tempo. Hanno sposato una linea politico-amministrativa che non è detto debba appartenere anche a Schifani. Nel governo di salute pubblica, che durerà fino alla metà di novembre, ci saranno pertanto gli uomini di fiducia di Gaetano Armao (nel frattempo sconfitto da Schifani alle elezioni Regionali, dopo aver voltato le spalle al centrodestra e aderito al Terzo polo), ma anche di Razza, Messina, Cordaro, Scavone, Samonà. Solo per citare alcuni degli assessori che non si sono neppure ricandidati per Sala d’Ercole. E che, al netto di possibili sorprese, non rimetteranno piede nei centri decisionali della Regione per il prossimo quinquennio (qualcuno ci spera, ma questa è un’altra storia).

L’immagine dei capi di gabinetto in prestito è l’emblema della precarietà vissuta da questa Regione. Dove un neo presidente eletto, senza esperienza in ambito amministrativo, si insedia con il vuoto attorno. E dove l’unica cosa che sembra importare ai partiti, in attesa dei passaggi cruciali, sia piazzare la propria bandierina nel prossimo esecutivo: tre alla Meloni, tre a Berlusconi, due a Salvini e così via. A questo si aggiunga l’infernale trafila burocratica della macchina elettorale, non è ancora archiviata: il conteggio dei voti nelle 48 sezioni sub-judice (per lo più in provincia di Siracusa) prosegue a rilento, e finisce per ingolfare il regolare iter della proclamazione dei settanta eletti. E’ terminato solo lo spoglio dei presidenti, ma alcuni seggi dell’Assemblea rimangono in bilico. Le schede elettorali delle sezioni nelle quali non si è potuto procedere allo spoglio e alla trascrizione nei registri sono state trasmesse agli Uffici centrali dei Tribunali competenti per circoscrizione, che stanno completando le operazioni: saranno lodo a determinare i voti validi ottenuti da ciascuna lista e i voti validi di preferenza di ciascun candidato.

In effetti è una situazione nuova. Anche se la Sicilia e la politica siciliana sono abituate a galleggiare. Prendete le ex province: da una decina d’anni, ormai, sono state completamente svuotate delle loro funzioni e assegnate a commissari straordinari che ne gestiscono entrate e uscite. Si tratta di enti intermedi “invisibili”, dove la democrazia non esiste e neppure la rappresentanza. Poco male, se fossero state cancellate. E invece sono lì: incidono sui servizi (carenti), pagano i dipendenti in ritardo, accumulano pesanti passivi che qualcuno (mamma Regione) dovrà ripianare. Un azzardo a perdere. Sul quale il Consiglio dei Ministri ha posto una seria ipoteca qualche giorno fa, chiedendo che si proceda a elezioni di secondo livello. In osservanza alla Legge Delrio che nel frattempo la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale. Totò Cuffaro è tornato a chiedere una legge ad hoc per la Sicilia, nella speranza di far (ri)votare i cittadini e restituire dignità al territorio massacrato.

Capitolo a parte meritano ASP e ospedali, che in base a una legge blocca nomine votata dall’Ars (e valida negli ultimi 180 giorni della legislatura), hanno visto la proroga automatica della governance: i direttori generali, alla scadenza dei tre anni di mandato, sono diventati commissari. Anche molti dei carrozzoni regionali, le cosiddette partecipate, sono gestite in maniera provvisoria: basti per tutte l’esperienza della Foss, la fondazione dell’Orchestra Sinfonica siciliana, che dopo la decadenza del Cda nel 2021, è stata amministrata da un commissario straordinario nominato dall’assessore al Turismo Manlio Messina: si tratta di Nicola Tarantino, ex ufficiale della Guardia di Finanza, la cui gestione ha sollevato un polverone fra gli orchestrali. L’ultima rivolta è firmata da alcune sigle sindacali, secondo cui “il commissario straordinario Nicola Tarantino, ha preannunciato collaborazioni con pop-star di rilievo nazionale. Ma a fronte di tutto ciò, che apprezziamo, ci chiediamo: con quale orchestra? La pianta organica della Sinfonica Siciliana è ormai ridotta al lumicino. Un processo di depauperamento che si è accentuato nell’ultimo anno in virtù dei numerosi pensionamenti”.

Solo la politica ha il potere di riportare la normalità alla Sinfonica. Solo che la politica non c’è, è assente. E chissà per quanto. Schifani, da solo, potrà poco. Non basta aver varcato i saloni romani più importanti, o godere del prestigio di cui gode nella Capitale, per superare i numerosi ostacoli che gli presenteranno davanti. E non basta l’arguzia politica di cui il nuovo presidente della Regione è dotato, per placare la fame dei partiti, districarsi fra le emergenze più attuali, tirare fuori dai cassetti gli scandali più cocenti, o mettere in fuga lobbisti e faccendieri. Schifani, che ieri ha già esternato i propri intenti (“Quando ci sarà da decidere non mi farò tirare la giacca” e “non mi lascerò intimorire e intimidire da certi personaggini”), non potrà fare da solo. E’ necessario dotarsi di una squadra competente e all’altezza. Detta così, sembra facile. Ma nell’Isola suona come un rebus: almeno finché non sarà ripristinata la democrazia.