Una lunga fila che dall’Ars arrivi fino agli enti regionali, passando per i teatri e gli assessorati, per mostrare come il potere in Sicilia continui a essere una faccenda di sangue, parentele e trombati. Questo servirebbe, perché il sit-in non basta. La regola è sempre la stessa, quella dell’appartenenza. È un costume che si perpetua, una liturgia familiare che si rinnova di volta in volta, a prescindere dai governi.
L’ultimo caso è la nomina di Luigi Genovese alla presidenza dell’Ast, l’Azienda siciliana dei Trasporti. Figlio di Francantonio, già sindaco di Messina, potentissimo ras delle preferenze e condannato nello scandalo dei “corsi d’oro”, Luigi è stato scelto per guidare la società che gestisce il trasporto pubblico nell’Isola. E che di recente ha ottenuto oltre 12 milioni di chilometri, in house, dalla Regione, a margine della nuova gara europea. La sua nomina – Genovese è stato eletto all’Ars a 21 anni ma è rimasto fuori all’ultimo giro di giostra per una decina di preferenze – ha suscitato più di una polemica e ha offerto l’occasione a Ismaele La Vardera e Davide Faraone per un sit-in polemico davanti alla sede dell’azienda.
Il leader di Controcorrente ha colto la palla al balzo per lanciare il suo disegno di legge, ribattezzato “Silura trombati”, pensato – a suo dire – “al fine di scongiurare il rischio che questo atteggiamento nelle nomine prosegua indisturbato. Siamo stanchi di vedere i giovani senza santi in paradiso scappare da questa terra – ha detto – e deputati che invece nominano amici degli amici”. Ancora più diretto Faraone, che davanti alla sede dell’Azienda dei Trasporti ha portato un necrologio simbolico: “Ast…utò. Il merito si è spento qui. Addio competenza. Addio futuro. Linea soppressa”. Poi ha attaccato frontalmente il presidente della Regione: «Il merito è morto, assassinato dalla lottizzazione di Renato Schifani. Nomine che sono un concentrato di nepotismo, negligenza e malaffare».
In un contesto simile, la difesa d’ufficio non poteva che arrivare da Raffaele Lombardo. L’ex governatore ha parlato di “aggressione da parte dei leoni da tastiera”, ricordando che Genovese “con le oltre 9000 preferenze è stato il settimo più votato” e che nel suo curriculum figurano “ruoli di amministratore di aziende di trasporti e logistica, dal fatturato pari o superiore a quello dell’Ast”. Una difesa appassionata, che però conferma il punto: in Sicilia le cariche si discutono sempre a partire dal cognome, dalle parentele, dal peso elettorale. E sembra che l’unico argine alla delusione elettorale sia uno strapuntino.
Quello di Genovese jr., ovviamente, non è un caso isolato. Francesco Scoma e Francesco Cascio, due aspiranti candidati alle ultime Amministrative di Palermo, hanno rinunciato per amor di partito (lasciando campo libero a Lagalla): e all’improvviso sono diventati, rispettivamente, presidente della municipalizzata AMG Energia e amministratore del carrozzone Sicilia Digitale. Un altro trombato politico come Totò Lentini è finito da Sala d’Ercole alla guida di Energia Palermo, la società in house della Città Metropolitana (l’ex provincia) che si occupa, tra i vari servizi, di diagnosi energetica, manutenzione ordinaria, impianti fotovoltaici. Insomma, per un politico il posto si trova sempre. Anche se distante dai riflettori.
Ma c’è dell’altro, di strettissima attualità. Riguarda i figli d’arte come Genovese. Serena Cardinale, dirigente della Regione Lombardia, è stata trasferita come capo di gabinetto vicario all’Assessorato alle Attività produttive: è la figlia di Totò Cardinale, ex ministro e oggi sponsor dell’assessore Edy Tamajo. Sarà di una straordinaria competenza, e nessuno ne dubita: ma perché adesso? E perché proprio alle Attività produttive? Oppure l’arrivo di Alvise Casellati – figlio dell’ex presidente del Senato e oggi ministra, Maria Elisabetta – alla direzione artistica del Teatro Massimo di Palermo. Due esempi, due settori diversi (cultura e attività produttive), un unico denominatore comune: il potere come eredità.
E la lista potrebbe continuare: all’Ars siedono Riccardo Gennuso, figlio dell’ex deputato Pippo (ch’è stato assolto da un’accusa di corruzione in atti giudiziari, ma per due volte ha dovuto rinunciare al seggio dell’Ars perché “incandidabile”), e Giuseppe Geremia Lombardo, nipote di Raffaele Lombardo, già salito agli onori della ribalta come deputato questore. In passato non sono mancati i “passaggi di testimone” in altre famiglie politiche, con seggi e incarichi diventati una dote da tramandare più che una conquista da meritare. È la genealogia del potere siciliano, che non conosce interruzioni e che si riproduce per appartenenza e fedeltà.
La processione, insomma, non avrebbe bisogno di cartelli o necrologi: basterebbe camminare e contare i cognomi. Perché il problema non sono i singoli – più o meno preparati – ma un sistema che ha sostituito il merito con l’eredità. In una terra dove ogni giorno migliaia di giovani laureati sono costretti a partire, le poltrone restano appannaggio di una cerchia ristretta che non smette di riprodursi. E non si tratta di un fenomeno folkloristico o marginale. La gestione delle nomine in Sicilia condiziona il funzionamento della macchina regionale: dall’Ast, che dovrebbe garantire il diritto alla mobilità in un’isola mal collegata, fino al Teatro Massimo, che rappresenta una delle principali istituzioni culturali del Paese.
La politica difende se stessa, si blinda, si tramanda. E alla fine diventa impermeabile al cambiamento. Non è questione di curricula più o meno decorosi. È un problema di sistema: in Sicilia il merito non è un criterio, è un intralcio. Il sit-in di Faraone e La Vardera fotografa un episodio, la replica di Lombardo un riflesso di appartenenza. Ma l’immagine vera è quella della processione: un interminabile corteo di cognomi che da anni marciano sul corpo già fragile della Regione.


