I continui richiami all’operato di Rfi e Anas da parte del governatore Musumeci non hanno dato frutti. A inizio dicembre il presidente della Regione ha fatto le pulci alle due aziende pubbliche, colpevoli – a suo dire – del grave ritardo infrastrutturale dell’Isola. La prima risposta che arriva dal nuovo anno, è l’interruzione dei lavori per il raddoppio della linea ferroviaria Palermo-Messina, nel tratto fra Ogliastrillo e Cefalù. Anche se in questo caso Rfi è rimasta invischiata in un contenzioso più grande di lei: quello che coinvolge la stazione appaltante e la Toto Costruzioni, che si era aggiudicata i lavori. “Non è giustificabile e neanche ammissibile che un cantiere appena partito, che avrebbe dovuto dare risposte al sistema delle infrastrutturazioni nell’Isola, si fermi ai primi intoppi – hanno dichiarato alcuni rappresentanti sindacali, tra cui il segretario generale di Fillea Cgil Palermo, Piero Ceraulo –. Si tratta di un’opera strategica, attesa da tutto il territorio, fondamentale per il percorso di ammodernamento della linea ferrata Palermo-Messina. Il 7 gennaio – scrivono – saremo tutti quanti a presidiare il cantiere e non accetteremo che quest’opera diventi l’ennesima incompiuta”.

Anche Rfi, il gruppo delle Ferrovie dello Stato, in questa storia si considera parte lesa. E annuncia che, se non verrà riattivato il cantiere, revocherà l’appalto alla Toto. Un rischio che ne porta con sé un altro: la sospensione sine die dei lavori. La rete ferroviaria siciliana, secondo i dati raccolti a fine 2018, vanta alcuni primati poco invidiabili: sui 1.369 chilometri di linee ferrate, appena 223 (cioè il 14%) sono a doppio binario. Dei 1.146 km a binario unico, invece, poco meno della metà risultano elettrificati. Una recente classifica, ha confermato che la Palermo-Agrigento, la linea ferroviaria più trafficata in Sicilia, è fra le peggiori d’Italia: occupa la sesta posizione. Soffre ritardi e sovraffollamento. Eppure da qualche settimana Rfi ha messo in circolazione i treni “pop”, che si muovono da Palermo a Siracusa, passando per Messina. E in quella occasione – era il 4 dicembre – Musumeci non risparmiò frecciate ai responsabili del trasporto su ferro: “Contestiamo a Rfi la lentezza nella predisposizione dei progetti. Non basta prevedere un obiettivo nella programmazione se poi per raggiungerlo ci vogliono quindici o venti anni. Un’azienda come Rfi deve potere avere un occhio particolare per il Mezzogiorno in generale e per la Sicilia in particolare. Non sono compatibili i tempi dell’azienda con quelli delle esigenze dei siciliani”.

Una polemica smorzata nei giorni scorsi dall’assessore regionale alle Infrastrutture, Marco Falcone, che salutava l’avvio del nuovo anno con alcuni buoni propositi: “Fra gli impegni per il 2020, – ha scritto su Facebook il rappresentante di Forza Italia – ce n’è uno che ci sta particolarmente a cuore: aprire la stazione Fontanarossa, portando per la prima volta i treni all’Aeroporto di Catania Un’opera storica, ulteriore prova di come il governo Musumeci, anche sul trasporto ferroviario, stia lavorando come finora mai nessun governo avesse fatto. L’anno prossimo, fra l’altro, appalteremo anche la tratta Stesicoro-Aeroporto della metro etnea. Al rientro dalle ferie, presenteremo a Catania assieme a Trenitalia i nuovi treni pop, già attivi sul triangolo Palermo-Messina-Catania/Siracusa. Il 2020 sarà l’anno di altri significativi passi avanti, dall’avanzare del raddoppio Palermo-Catania, agli interventi nel Trapanese, fino al raddoppio Messina-Catania, solo per citarne alcuni”. Nuove prospettive per la rete ferroviaria siciliana. Anche se i treni ad alta velocità rimangono un sogno nel cassetto: di recente si è completato l’iter autorizzativo per portare la Tav fino a Bari (da Napoli). Palermo resta ancora lontanissima.

La difficoltà nel portare avanti i lavori pubblici, nell’Isola, non investe soltanto le ferrovie. Ma anche e soprattutto le autostrade. Della Palermo-Catania si è parlato a più riprese, e non solo a causa della recente chiusura del tratto fra Resuttano e Ponte Cinque Archi, in direzione del capoluogo etneo, per i mezzi pesanti. C’è un viadotto, il Cannatello, a rischio crollo. E i tecnici dell’Anas stanno studiando percorsi alternativi per evitare a tir e pullman lo stillicidio di dover percorrere le trazzere di paese. Ma non è tutto: a proposito di viadotti, procedono a rilento i lavori per la ricostruzione del ponte Himera, che fu demolito in seguito a una frana al km 61, fra Scillato e Tremonzelli, del marzo 2015. Sono trascorsi quasi cinque anni. I lavori vennero aggiudicati nel 2018 e si pensava di concluderli entro settembre. Ma la data d’inaugurazione è slittata ancora e l’Himera rischia di perdere il “derby” a distanza col ponte Morandi di Genova, crollato a ferragosto di un anno fa, che viaggia spedito verso la riapertura.

Il vice-ministro ai Trasporti, Giancarlo Cancelleri, pretende che il viadotto siciliano riapra “un giorno prima” del Polcevera, ma un mese fa (dati Fillea Cgil), l’opera – costata intorno gli 8 milioni di euro – era completa soltanto al 40%. Entro aprile 2020, però, dovrebbero sbaraccare il cantiere. Gli ultimi problemi hanno riguardato il montaggio della struttura in ferro: “Per la fornitura dei materiali metallici era stata incaricata l’azienda Lmv spa di Verona che sei mesi fa è andata in concordato – ha spiegato Ceraulo (Fillea Cgil) –. Tutte le commesse si sono fermate, anche la produzione dei materiali per il ponte di Palermo. In aggiunta a questo, per la concomitanza dei lavori al ponte Morandi, tutte le maestranze dell’impresa, anche quelle impegnate su Palermo, sono state spostate presso un’altra fabbrica di profilati metallici di Genova”.

Un’altra paralisi, dalle proporzioni considerevoli, è quella che coinvolge un tratto autostradale della A18, la Catania-Messina. All’altezza di Letojanni, infatti, da quattro anni e mezzo, una frana è presente sull’asfalto. Solo di recente sono stati aggiudicati e consegnati i lavori di rimozione, e prima di Natale la Regione siciliana ha finanziato il ripristino della carreggiata con 17 milioni di euro, inizialmente stanziati dal Cas (il Consorzio Autostrade Siciliane), che adesso potrà girare la sua parte per “nuovi, importanti interventi sulla viabilità di sua competenza nell’Isola” come spiegato da Musumeci. Il rallentamento nell’iter, in questo caso come in altri, è dovuto al rimpallo di competenze su chi fosse titolato a finanziare e dirigere i lavori (fra Protezione Civile e Cas), all’assenza dei progettisti e all’intervento della Procura di Messina che per un certo periodo ha sequestrato l’area, impedendovi l’accesso. Oltre alla rimozione dei detriti, verranno realizzate due gallerie per impedire che altro materiale franato possa invadere la corsia. I lavori sono stati consegnati a novembre a un raggruppamento d’imprese e dovrebbero terminare a maggio 2021. Solo a quel punto il tratto fra Taormina e Roccalumera, in direzione Catania, potrà riaprire una volta per tutte.

Peggio dei cantieri lumaca, però, ci sono quelli fantasma. E qui torna d’attualità la Statale Nord-Sud, detta Centrale Sicula, che viene portata avanti da decenni a spizzichi e bocconi. Un asse viario che avrebbe dovuto collegare il Tirreno e il Mediterraneo, Santo Stefano di Camastra a Gela. Di recente l’Anas ha stipulato un contratto d’appalto con la De Santis Costruzioni per la realizzazione di 4 km, il lotto B5, fino allo svincolo di Nicosia Nord. Ma numerosi altri pezzi di quella strada non hanno nemmeno visto lo striscione del via: ad esempio il tratto C, da Leonforte a Nicosia, che adesso l’Anas vorrebbe “rimpiazzare” con il riammodernamento dell’attuale strada, che costa meno.

E a proposito di strade “fantasma”, merita un ragionamento a parte la Ragusa-Catania. Ci siamo lasciati lo scorso 20 dicembre con il rinvio della riunione del Cipe, il comitato interministeriale per la programmazione economica, che dovrebbe approvare il progetto definitivo e finanziare l’opera. Ma solo dopo aver riconosciuto il cambio del soggetto attuatore: dal gruppo Sarc della famiglia Bonsignore all’Anac (in cambio di 40 milioni di euro). L’obiettivo del governo centrale è abbattere i costi del pedaggio. Ma un’altra problematica riguarda il reperimento dei fondi: la martoriata Regione siciliana, infatti, dovrebbe prestare a Roma poco meno di 300 milioni e garantire così l’apertura dei cantieri. Ma è ancora presto per contare i giorni.

Nessuno meglio dei palermitani, però, conosce quella sensazione disarmante di doversi arrendere alla paralisi dei lavori pubblici. I cantieri installati in centro, ormai da anni, hanno consigliato a sindaco e giunta di organizzare il Capodanno alla stazione e al Cep, in periferia. In questi giorni, la Fillea Cgil ha segnalato un nuovo rallentamento nei lavori del collettore fognario, dove da qualche mese non si vedono gli operai (in seguito al concordato preventivo richiesto dalla Sikelia, c’è stato l’avvicendamento con l’Amec). “Il collettore fognario – denuncia una nota del sindacato edile – l’opera per la quale è chiuso l’incrocio tra via Roma e via Amari, è fermo. Da tempo non si vede nessuna ruspa e nessun operaio al lavoro. La mancata ripartenza di quest’opera rischia di rallentare i lavori dell’anello ferroviario. Arriverà il momento in cui, all’altezza dello scavo del pozzo di via Roma, i due appalti si incroceranno. E la via Roma non potrà essere riaperta perché interessata ai lavori del collettore”. Già, perché in centro a Palermo vanno avanti anche i lavori dell’anello ferroviario, per il completamento della Metroferrovia. Solo prima di Natale, alcune zone di via Emerico Amari (un centinaio di metri) sono state liberate dai cantieri, dopo un anno e mezzo di scavi e impalcature.

“Prima di Pasqua, i lavori dell’anello ferroviario avrebbero dovuto essere finiti sul tratto via Roma-via Emerico Amari per consentire la chiusura del manto stradale – ha aggiunto Pietro Ceraulo, –. Ma se non si riparte con i lavori del collettore fognario, la via Roma continuerà a essere impraticabile”. I lavori del collettore fognario, il cui costo è lievitato fino a 29 milioni, che trasporterà buona parte dei liquami della città al depuratore di Acqua dei Corsari, sarebbero dovuti terminare entro maggio 2020 (e in quel caso avrebbero – comunque – segnato un paio d’anni di ritardo). Ora non è più possibile fare una previsione.

Ma l’ultimo, grave quanto paradossale, smacco ai siciliani giunge dall’isola di Favignana, dove la manovra di un catamarano ha distrutto la passerella del porto. Da questo momento gli aliscafi non potranno più attraccare nell’isola delle Egadi. “A causa dell’incidente – ha detto il sindaco Pagoto a Repubblica – potranno operare su Favignana per i prossimi giorni solo le unità veloci catamarano e monocarena, ma non gli aliscafi. L’incidente purtroppo aggrava una situazione che perdura da troppo tempo con frequenti annullamenti delle corse, soprattutto delle ultime del giorno, e in alcuni casi con condizioni meteo tutt’altro che proibitive. Siamo sicuri che si troveranno tutte le soluzioni utili a ripristinare il servizio così come previsto”. Trovare una soluzione, in questo caso, spetta alla Regione, che aveva già finanziato la sostituzione della struttura in ferro per garantire l’attracco agli aliscafi. L’intervento, a questo punto, diventa di massima priorità.