Non è mai l’ora dei forestali

Da sinistra, il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, e il neo assessore all'Agricoltura, Toni Scilla

Le difficoltà di un governo raffazzonato e Covid-centrico, poco avvezzo a operare fuori dall’emergenza, si nota a palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea regionale siciliana, al termine della seduta infruttuosa di giovedì scorso: quando la presidente di turno, l’ex grillina Angela Foti, nel congedarsi dall’aula, elenca tutte le riforme in itinere. Sembra il classico opuscolo di cui si abusa nelle campagne elettorali. Ne fanno parte le proposte di legge più disparate (e disperate), che attendono il vaglio del parlamento, o il voto di una commissione. Alcune, come nel caso del ddl sulla povertà o di quello che fissa il rinvio delle elezioni Amministrative, vengono calendarizzate per la prossima settimana. E scavalcano, come d’incanto, le riforme storiche – l’Edilizia, i Rifiuti – su cui il governo Musumeci si interroga da tempo, ma non è ancora riuscita a mettere il cappello. Ma siccome non c’è intesa – né con le opposizioni, tanto meno all’interno della maggioranza – l’unico modo per non sfasciare il pupo è rinviare la questione. Far credere che dopo gli ultimi, fatali aggiustamenti, si arriverà alla votazione finale.

Nei giorni scorsi hanno chiesto a Musumeci qual è la riforma di cui va più fiero: la risposta non poteva che essere una. Quella sull’Urbanistica. Anche perché è l’unica di un certo peso, ed è stata approvata da tutta l’aula (con l’astensione del Pd) alla vigilia delle scorse vacanze estive, con un ‘aggiustamento’ obbligatorio – votato a gennaio – che era stato chiesto da palazzo Chigi. Delle riforme, per il resto, non c’è traccia. Sebbene Roma sia tornata a sollecitarne alcune. Nell’ultimo accordo Stato-Regione, quello che ha consentito a palazzo d’Orleans di spalmare in dieci anni (anziché in tre) il mega disavanzo con lo Stato da quasi due miliardi, erano state inserite, come necessarie contropartite, due interventi legislativi di assoluta priorità: la riforma dei Consorzi di Bonifica e la riforma dei Forestali. E sentite un po’: nel compendio controfirmato dall’ex premier Conte e dal presidente Musumeci, è scritto in maniera esplicita che “entro il 30 aprile di ciascun anno, la Regione trasmette la certificazione dei punti 1 e 2 (tra cui rientrano le riforme appena accennate) ad un apposito tavolo Stato-Regione”. E’ chiaro che, qualora da Palermo si siano ricordati di mandare il consuntivo, queste due leggi, non essendo state approvate, non possono farne parte.

Sono rimaste nell’opuscolo, accennate qua e là dall’assessore al ramo – per entrambe è competente Toni Scilla, insediato da pochi mesi all’Agricoltura – ma non ancora sottoposte al vaglio dell’aula, che esercita la propria funzione legislativa. Riguardo ai Forestali, il processo di riforma non mira alla stabilizzazione dell’immensa platea di lavoratori stagionali (circa 17 mila persone), bensì alla loro promozione. In massa. Col budget a disposizione (230 milioni, di cui la metà in arrivo dall’Europa), il governo dovrebbe poter garantire a tutti gli operai 180 giornate lavorative. Senza alcuna differenza fra ‘centounisti’ (quelli che ne fanno 101) e ‘centocinquantunisti’ (151).

La riforma voluta da Roma, come tutto il testo dell’Accordo, punta infatti a una riqualificazione complessiva della spesa. Il rischio paventato dal Ddl sui Forestali è proprio l’aumento dei costi, che pertanto dovrà essere ricalibrato. Nel piano di rientro del disavanzo, allegato all’ultima Finanziaria, la Regione spiega che “fermo restando il rispetto delle garanzie occupazionali, è possibile ottenere delle economie in relazione ai pensionamenti e/o ad altre eventuali misure di fuoriuscita anticipata e di accompagnamento alla quiescenza, che di anno in anno potranno essere poste in essere”. Fra le pretese necessarie, anche quella di mantenere “inalterato il blocco di nuovi ingressi di lavoratori nel bacino almeno per un quinquennio”, così come “un diverso e maggior impiego dei medesimi contingenti di lavoratori in altre attività che, compatibilmente alle mansioni possedute dal detto personale, potranno essere dagli stessi svolte” (in materia di protezione civile).

Scilla avrebbe dovuto portare la riforma all’attenzione della giunta (poi comincia l’iter nelle commissioni di merito), ma si è ammalato di Covid e ha congelato tutto per qualche giorno. L’altra riforma che gli compete è quella dei Consorzi di Bonifica, per cui – si legge sempre nel piano di rientro dal disavanzo – “si prevede una gestione unitaria delle attività degli attuali Consorzi in capo ad un unico Consorzio di bonifica, articolato in quattro distretti, i quali garantiscono il collegamento dell’azione consortile con le esigenze del territorio”. Mentre i forestali si occupano di prevenzione degli incendi, i lavoratori dei Consorzi di bonifica sono chiamati alla difesa del suolo, alla valorizzazione del territorio, alla tutela delle acque e alla salvaguardia dell’ambiente, ma hanno visto ridurre sempre di più le proprie competenze. Che adesso verranno ri-ampliate, per consentire “all’istituto di operare con efficienza e regolarità, garantendo non solo l’ammodernamento di infrastrutture ormai vetuste ma anche la manutenzione necessaria degli impianti elettromeccanici, della rete distributiva e della rete idraulica”.

Da un punto di vista economico, è previsto, un contributo annuo decrescente e mirato al risanamento economico-finanziario e, sebbene “le previsioni finanziarie del ddl faranno registrare effetti di riduzione di spesa a partire dal decimo anno dell’entrata in vigore della legge”, è “allo studio la possibilità di un ricorso all’utilizzo di fondi extraregionali limitatamente agli aspetti di natura infrastrutturale, ma allo stato non è ancora stimabile la misura del finanziamento non a carico dei fondi regionali”. Ma è una riforma di cui si parla dal 2017, in sede di campagna elettorale. E che è entrata nel vivo con Edy Bandiera, ex assessore alle Politiche agricole e alla Pesca. Non è dato sapersi quanto altro tempo ci vorrà. Nel frattempo i lavoratori dei Consorzi, come nel caso di Ragusa, continuano a proclamare lo stato d’agitazione perché percepiscono gli stipendi in clamoroso ritardo.

Tra le numerose riforme in cantiere, che l’assessore Mimmo Turano aveva provato a far approvare nell’ambito dell’ultima Finanziaria (ma è stata stralciata dal testo), c’è quella dell’Irsap: cioè l’istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive, che negli anni ha ereditato le funzioni degli ex consorzi Asi. Ma che, dopo gli scandali della stagione di Montante, non ha più trovato pace. A dirigerlo è rimasto un commissario, Giovanni Perino. Ma è da lì che passano le fortune delle aree industriali siciliane e la capacità – attraverso le zone economiche speciali – di attrarre imprese: “La nuova legge – ha detto Turano -attende il voto finale della terza commissione e sarà pronta per andare in aula”. Si tratta di “una riforma di 10 articoli necessaria per rendere l’istituto una società in house, lavorare più agevolmente sulle Zes, con tutti i benefici che determinano, e semplificare il lavoro degli imprenditori. Obiettivo del governo Musumeci è rendere funzionali e attrattive le aree industriali in termini di servizi e infrastrutture, per agevolare gli investimenti”. Si parla di sviluppo: quello che alla Sicilia manca e che le beghe all’interno della maggioranza, dove non è ancora chiaro se Musumeci sarà o meno il prossimo candidato alla presidenza, finiranno per ostacolare.

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