Io penso che lo stupro che ho subito si possa equiparare all’omicidio perché lui aveva premeditato tutto da almeno 10 giorni. Aveva pensato di uccidermi. L’ho capito rileggendo tutti i messaggi che mi aveva inviato. «A che ora arrivi sabato?» Mi aveva mandato gli orari del treno, i minuti che avrei impiegato dalla stazione ferroviaria fino a via Bertodano; per due volte mi aveva chiesto se fossi andata da sola col bambino oppure ci sarebbe stata anche mia madre. Aveva premeditato tutto. Io di solito mi fermavo massimo 15 minuti a vedere i lavori di quella maledetta casa. Quando sono entrata, è successo tutto in un attimo: ha sbarrato la porta, mi ha preso per la gola, mi ha scaraventata a terra, mi ha abbassato i pantaloni e ha iniziato a stuprarmi davanti a mio figlio. Lì ho capito che da quella casa non sarei uscita viva. Quel bastardo non si è fermato neanche davanti a un bambino di 4 anni, capisce? Mi ha messo pancia a terra e mi ha violentato per 4 ore mentre mio figlio mi chiedeva: «Mamma, che succede?»
Perché questo signore è sopra di te, che state facendo? Povero piccolo, che ne sa un bambino di 4 anni del sesso? Non capisce, per fortuna. Io avevo solo paura che lo ammazzasse. A quello pensavo. In quel momento avevo scostato dal mio cervello tutto lo schifo che provavo per quell’essere, le sue mani addosso, la puzza, la penetrazione; pensavo solo a lui, al bambino, avevo paura che lo picchiasse e lo tranquillizzavo: «No amore, tutto ok, vai di là a giocare». Sono state 4 lunghe ore di orrore, di terrore. Lui era concentrato a violentarmi, ma per almeno 4 volte, sventolandomi una fascetta da elettricista sotto gli occhi, mi ha ripetuto queste parole: «sono costretto ad ammazzarti perché quando si aprirà quella porta tu andrai direttamente in polizia e io non voglio finire nei guai». Come sono riuscita a sopravvivere? L’ho ingannato, gli ho fatto credere che volevo mettermi con lui, che avrei lasciato il mio compagno e avremmo vissuto insieme a Milano, che gli avrei fatto il suo piatto preferito: riso e…polpette. Le dirò tutto, le racconterò tutto quanto, ma prima, la prego, abbia la bontà di ascoltarmi e mi faccia raccontare la storia dall’inizio.
Ho 42 anni, e oltre a quel bambino, ho un lavoro, un compagno e vivo a Milano.Avevo acquistato la casa di Biella nove mesi fa. Doveva essere inizialmente una seconda casa. Ma visto che Milano è molto grande e dispersiva, l’intenzione mia e del mio compagno era di trasferirci a Biella per sempre. Si trattava di un alloggio al quinto piano, molto grande, di 168 metri quadrati, in una città molto carina. Consideri che a Milano viviamo in appena 40 metri quadrati.
Quel muratore egiziano lo avevo conosciuto su Facebook, perché cercavo un cartongessista. Non ci eravamo mai visti. Mi ero affidata a lui perché sarebbe stato seguito da un altro muratore egiziano che stava lavorando nello stesso appartamento. Ci siamo sentiti per tre settimane. Prima dello stupro sono andata a Biella e l’ho incontrato quattro volte, con mio figlio e mia madre al seguito, ma non c’erano mai stati problemi. Quel sabato doveva essere l’ultimo giorno dei lavori. Io e il mio bambino per arrivare a Biella abbiamo preso il treno che partiva da Milano 8.15. Una volta arrivati alla stazione San Paolo ci siamo incamminati a piedi e due ore dopo siamo arrivati in via Bertodano. Lui era al balcone, stava fumando una sigaretta, ci stava aspettando, aveva stampato sulla faccia un sorriso beffardo. Dovevamo vedere insieme dei lavori che non mi piacevano: le mensole di cartongesso me le aveva fatte storte e glielo avevo già scritto per messaggio ma lui negava, diceva che erano dritte e che lui aveva fatto tutto a regola d’arte. Continua…
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