Nelle prossime settimane, complice il crollo di Genova, ad Agrigento si decideranno le sorti del viadotto Morandi. Chiuso dal 2017 e mai riaperto per motivi di ordine strutturale – il calcestruzzo dei piloni si sarebbe sbriciolato e fiotti d’acqua fuoriescono dai pilastri – il sindaco Firretto ha convocato una riunione per decidere se abbatterlo. Per metterlo a nuovo servirebbero tre anni di lavori e una vagonata di soldi. La Sicilia è piena di casi off limits a livello infrastrutturale. Al di là dei cedimenti più noti (Himera e Scorciavacche su tutti), gli occhi dell’opinione pubblica – vuoi per reale preoccupazione, ma anche e soprattutto per automatica associazione – si sono concentrati sul ponte Costanzo che collega Ragusa a Modica. Il viadotto che insiste sul vallone del Fiume Irminio, lungo la statale 115, snodo di collegamento fra il capoluogo ibleo e Siracusa, è stato progettato anch’esso da Riccardo Morandi (lo stesso ingegnere di Genova) e inaugurato nel 1984 dopo nove anni di lunga e complicata gestazione.

L’ingegnere Vincenzo Dimartino

All’epoca il Costanzo – dal nome della ditta che ne curò la realizzazione – era il ponte più alto d’Italia (168 metri) e rientra tuttora nella top ten. Fu costruito, come il viadotto Polcevera, con i pilastri in cemento armato gettati in opera e le campate in cemento armato prefabbricato. E’ lungo poco meno di un chilometro. Ma le somiglianze con il “cugino” genovese rischiano di terminare qui. Il vice-presidente del consiglio dell’Ordine Regionale degli Ingegneri, Vincenzo Dimartino, chiarisce subito alcuni elementi: “Nella tipologia costruttiva dei due ponti ci sono differenze sostanziali. La prima, e la più evidente, è che il ponte di Genova fosse “strallato”, ossia sorretto da quei tiranti che lo rendono simile per molti versi al ponte di Brooklyn. E quindi, per tipologia, riceve sollecitazioni dinamiche notevoli e usuali. Mentre per un ponte semplicemente “poggiato”, come il Costanzo, le sollecitazioni dinamiche sono solo un effetto secondario e vanno considerate in caso di sisma. Ma questa è un’altra storia”.

Al di là del nome del progettista, Genova e Modica sembrano avere in comune ben poco da un punto di vista strutturale. Le cattive abitudini, che quasi mai diventano preoccupazioni reali (finché non si materializzano catastrofi), sono altre: “I ponti progettati negli anni ‘60 o ’70 – insiste Dimartino – seguivano una normativa diversa. Al passaggio di automezzi, ad esempio, era consentito un carico massimo di venti tonnellate. Un mezzo moderno, per intenderci, ne pesa sessanta. Inoltre, sono notevolmente aumentati i volumi di traffico. A Genova passavano 25 milioni di automezzi l’anno, circa 80 mila al giorno. Così come sono cambiate le velocità di crociera, in funzione dell’evoluzione dei veicoli. Quando oggi viene inaugurato un nuovo ponte – conclude l’ingegnere nel suo ragionamento – il collaudo viene fatto secondo la normativa vigente, che impone standard diversi rispetto a 50 anni fa”.

Le maggiori responsabilità, ammesso che non diventi il classico sport nazionale, vanno ricercate in chi non ha adeguato il ponte di Genova all’evoluzione dei tempi e delle situazioni. A chi non ha svicolato il traffico altrove, per alleggerire il carico sul viadotto. Ma, tornando a Modica, è inutile creare allarmismi immotivati. Oltre al Costanzo, esiste un altro ponte (si chiama “Guerrieri”, dal deputato che fortemente lo volle) lungo poco più di 500 metri. Simili per struttura, non per progettista, collega due quartieri della città e fu inaugurato nello stesso anno del Polcevera (1967). Sia il Costanzo che il Guerrieri subiscono, ogni due o tre anni, interventi di manutenzione ordinaria e sono dotati di un sistema di monitoraggio a distanza: “Ma non so se è attivo o meno – spiega Dimartino – Non si tratta comunque di fantascienza. Entrambi i viadotti hanno un’importanza capitale per la viabilità modicana. E ogni volta che si interviene chiudendo una delle carreggiate, il traffico ne risente. Sarebbe meglio intervenire nello stesso momento, creando un solo disagio ma a portata ridotta nel tempo”.

Anche l’assessore ai Lavori Pubblici di Modica, l’ingegnere Giorgio Linguanti, rassicura sulle condizioni di salute del Guerrieri. La cui gestione, come il Costanzo d’altronde, rientra nelle competenze di Anas: “Nel 2014 è stato portato avanti un grande intervento di manutenzione, per il rifacimento della soletta dell’impalcato, delle travi di bordo e dei giunti. Ma anche delle barriere laterali che avevano cominciato a dare qualche segnale di cedimento. Il Comune ha sollevato il caso e Anas lo ha preso subito in carico. I lavori sono durati quattro mesi. Ad oggi, sullo stesso viadotto, non abbiamo ulteriori campanelli d’allarme. Ma i ponti sono come le persone: quando il tempo passa emergono le prime rughe. Sarebbe importante cominciare a valutare un nuovo progetto di manutenzione per le pile: il calcestruzzo è un materiale vetusto e si cominciano a notare delle microfessure”.

All’indomani della tragedia che ha messo in ginocchio la città di Genova, anche la Consulta regionale degli Ingegneri si è attivata per portare avanti un processo di sensibilizzazione (e segnalazione) sullo stato dei ponti e delle infrastrutture. Ma lo ha sempre fatto, come sottolinea Dimartino. I problemi risiedono altrove: “Non è possibile che nell’Italia del dopoguerra, in dieci anni, venisse completate l’Autostrada del Sole, mentre oggi, nello stesso arco di tempo, non si riesce a decidere se fare o meno un’opera. Inoltre mi duole constatare che nel 2008, nel bilancio dello Stato, erano presenti 16,3 miliardi per la manutenzione delle opere pubbliche, mentre nel 2018 ce ne sono soltanto 10. Questo è un grosso problema. La prima reazione da adottare a Genova, anziché fare a gara per trovare i responsabili, sarebbe ricostruire in tempi celeri”.