Claudio Baglioni chiuderà la sua carriera là dove tutto era iniziato: a Lampedusa. L’isola che per dieci anni ha ospitato il festival O’Scià diventa lo scenario della data “zero” del suo ultimo tour. Emozione garantita, suggestione pure. Ma – come sempre in Sicilia – a far discutere sono i soldi. Il concerto del 27 settembre sarà gratuito per il pubblico, ma non per le casse pubbliche: dietro c’è una determina che impegna oltre 700 mila euro, affidati direttamente alla società Friends and Partners Spa. Un importo che il sindaco Mannino difende con orgoglio: “Non un euro uscirà dalle casse del Comune, i fondi sono del governo e altrimenti sarebbero andati altrove”. Peccato che per le associazioni locali, come Obiettivo Pelagie, quei soldi avrebbero potuto finanziare ben altre priorità: strade, guardia medica, studenti, famiglie in difficoltà.

Il sindaco insiste: Baglioni non percepirà un cachet, né i musicisti porteranno via un euro. I soldi serviranno solo a coprire i costi di produzione e l’ospitalità di oltre cento persone, nell’ambito della tre giorni “L’isola, i giovani e il futuro”. Ma resta la sproporzione. Perché settecentomila euro, per una comunità che vive precarietà quotidiane, sono una cifra che stride. E qui sta il punto: ancora una volta la Sicilia si ritrova intrappolata nella retorica dell’evento-spot, dove la “promozione” diventa un alibi per operazioni costosissime.

Non è un’eccezione: è una regola. Basta guardare agli ultimi mesi. Riccardo Muti e la sua Orchestra Cherubini hanno suonato a luglio nella Valle dei Templi, per celebrare Agrigento Capitale della Cultura. Applausi a scena aperta, certo. Ma il conto è stato salatissimo: 650 mila euro sborsati dalla Regione. Un anno prima, lo stesso programma, lo stesso maestro, gli stessi musicisti erano costati a Lampedusa poco più di 100 mila euro. Da cento a seicentocinquanta: una lievitazione misteriosa, che nessuno a Palazzo d’Orléans o all’assessorato al Turisimo ha mai provato a spiegare.

E come dimenticare il pasticcio di Cannes? In quel caso c’era in ballo più di un concerto: addirittura una mostra fotografica e l’installazione di Casa Sicilia all’Hotel Majestic. La Regione – attraverso la firma di alcuni dirigenti, la cui posizione è stata recentemente archiviata – aveva affidato senza gara a una società lussemburghese, Absolute Blue, la realizzazione di “Sicily, Women and Cinema” per 3,7 milioni di euro. Solo l’intervento in extremis di Schifani, con la revoca in autotutela, ha evitato il disastro. Ma non c’è stato bisogno di buttare via le slide: il progetto è stato rivenduto al Sultanato dell’Oman, identico in ogni dettaglio, con un ribasso del 43%. Un discount della creatività che conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanto fosse gonfiata l’offerta per la Sicilia.

Il problema non è solo la spesa. È il metodo. Il modo in cui i fondi pubblici vengono maneggiati come gettoni per alimentare consenso e clientele. Lo ha raccontato bene l’inchiesta della Procura di Palermo che ha travolto il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, la sua portavoce Sabrina De Capitani e l’impresario Nuccio La Ferlita. Nelle intercettazioni, La Ferlita veniva subissato da richieste di biglietti omaggio per familiari, amici e collaboratori del presidente. “Mi chiede Gae…”, “Puoi aggiungere suo zio?”, “Dieci per la mamma”. Un pressing che a un certo punto diventa esasperante: “A questo punto vorrei uno stipendio”. Non era solo una questione di favori: dietro c’erano contributi pubblici a eventi come il veglione di Capodanno a Catania (200 mila euro) o il “Magico Natale” della Fondazione Dragotto (100 mila euro), che si trasformavano in “utilità” per il cerchio magico del potere.

Poi c’è stata la beneficenza trasformata in rissa istituzionale. A giugno, lo stadio Barbera di Palermo ha ospitato “Sicily for Life – Gigi & Friends”, evento televisivo con Gigi D’Alessio e la Fondazione Dragotto. Obiettivo dichiarato: raccogliere fondi per un poliambulatorio pediatrico. Ma la Regione, che aveva concesso spazi e stanziato 500 mila euro per attrezzature, si è lamentata per la scarsa visibilità del proprio logo. Schifani si è offeso, Dragotto ha replicato accusandolo di non essere rimasto fino alla fine. Risultato: la beneficenza, a spese degli altri, ridotta a baruffa.

E ancora: il Capodanno ‘24 Mediaset a Catania, con Federica Panicucci a fare da padrona di casa in diretta nazionale. Due milioni di euro, pescati dalla Regione con un avviso pubblico costruito su misura per Mediaset e per il suo format, con la giustificazione della “promozione turistica”. In realtà, la città ha fatto da scenografia di un prodotto televisivo già confezionato altrove. Il Natale non è andato meglio. Il concerto de Il Volo, trasmesso sempre da Canale 5, è stato registrato ad agosto nella Valle dei Templi con più di 30 gradi all’ombra. Ma bisognava ricreare l’atmosfera natalizia: via dunque a giacconi imbottiti, sciarpe, turisti trasformati in comparse, finti alberelli illuminati e tanto sudore autentico. Costo dell’operazione: un milione di euro di fondi pubblici. Risultato: un’immagine farsesca della Sicilia, piegata a set televisivo di cartapesta per compiacere il palinsesto nazionale.

Il filo rosso è sempre lo stesso: eventi scintillanti, gare assenti, cifre spropositate, finalità discutibili. La cultura come paravento, la promozione come alibi. In realtà si tratta sempre più spesso di operazioni di consenso, di vetrine per la politica, di passerelle per amministratori in cerca di applausi. Intanto l’isola continua a pagare. Con i soldi, certo. Ma anche con la reputazione di un territorio dove ogni palco diventa un bancomat, ogni concerto un’occasione per ingrassare qualcuno. Concerto che vai, scandalo che trovi.