Opporsi a un ponte, al Ponte, perché lo vuole anche il senatore Salvini, niente di male. Sostenere il Ponte perché non lo vogliono i magistrati della Corte dei conti che si fa Corte dei ponti, niente di male. Poi c’è il formidabile estetismo di Buttafuoco: no al Ponte perché la Sicilia è un’isola.
Ma c’è il paradigma del Mose. Per quarant’anni la bella gente che si fa esperta di tutto ha sostenuto che quell’opera di ingegneria delle acque era una follia, che non avrebbe mai funzionato, che era costosissima anche in vista della protezione della città più preziosa al mondo, che era un magna magna, ovvio, e che c’era la ruggine. Meglio dragare Malamocco, meglio fermare il mare con le mani nude, meglio tutto del Mose.
Alla fine gli stessi che rompevano con il famoso “Salvare Venezia” volevano vincere una battaglia contro una classe dirigente trasversale che ci avrà anche speculato sopra ma, essendo compus sui, con una certa determinazione politica, ha completato l’opera: un’opera buona che ha provvisoriamente eliminato l’acqua alta che corrode le fondamenta degli incurabili mali della nazione, tra questi l’opposizione alle grandi opere, dall’autostrada all’alta velocità.
Il paradigma del Mose parla dunque a favore del Ponte, che non è una diga di salvezza ma promette di essere una strada che collega, sviluppa e beneficia l’economia italiana ed europea. Chissà, ci si può sempre sbagliare, ma in tal caso se ne darà franca ammissione, non come quei saccenti impenitenti che ora ce l’hanno con il Ponte e ieri ce l’avevano con la Diga, l’Autostrada, il Tunnel, il Treno, ma non si sa perché alla fine rinunciano agli stivaloni per passeggiare nelle calli, attraversano ponti e tunnel, prendono il treno aspettandosi che sia veloce e in orario, imboccano l’autostrada che accorcia l’Italia e la rende simile a un Paese moderno o modernizzante, che non si ferma a Eboli e al sorpasso pericoloso.


