Di motivi per criticare Orlando ne esistono tanti. Gli ultimi anni della sua gestione non hanno dato risultati esaltanti. Per citarne solo pochi, tra quelli che appaiono più vistosi e che in qualche caso suscitano indignazione, basta riferirsi alla raccolta dei rifiuti, al dissesto delle strade e al tragico accumulo di bare nei cimiteri. Più in generale, si ha l’impressione di un progressivo appannamento dell’attività politico-amministrativa e dell’affievolimento di un progetto per la città, per il suo centro storico, che subisce la crisi e la scomparsa di molte delle sue attività tradizionali, sostituite da confuse iniziative commerciali, che riducono molte parti di essa ad una sorta di suq, facendole perdere identità e decoro, e per le periferie degradate, luoghi di diffusa illegalità, dormitori informi, con tanti giovani privi di lavoro e di speranza.

La condizione di Palermo è comune a molte altre città, specialmente del Mezzogiorno, e questo, in certa misura, è dovuto alle crescenti difficoltà finanziarie, che, in molti casi, non consentono di chiudere i bilanci. È il risultato della scelta dello Stato e della Regione di sottrarre loro, anno dopo anno, risorse, gravandoli, nello stesso tempo, di nuovi, pesanti compiti, ingigantiti nel settore dell’attività sociale per gli effetti della pandemia. Gli enti locali, poi, sono guidati da classi dirigenti di livello sempre più modesto, in linea con quanto avviene, del resto, nella realtà politica nazionale. Per ciò che riguarda segnatamente Palermo, non si può ignorare l’approssimarsi della conclusione dell’esperienza di Orlando, accompagnata da una sua evidente e forse inevitabile stanchezza, dopo quasi trent’anni di gestione della città, che ha fatto coincidere la stessa con la sua immagine, il suo ruolo e il suo protagonismo a volte debordante.

Non va ignorato poi che, come capita di frequente, quando un personaggio che ha incarnato una storia, che ha avuto un potere egemone, sta per arrivare al termine della propria esperienza, diventa forte la tentazione di scendere dal carro, di fuggire dalla stiva, di cercare di far dimenticare la corresponsabilità nelle scelte condivise magari fino a poche settimane fa. I lunghissimi anni trascorsi a Sala delle Aquile, sembrano aver spento in Orlando la voglia di individuare riparo ai problemi più gravi e possono indurre a dimenticare i risultati positivi.

Dopo questa premessa, voglio aggiungere che non mi piace annoverarmi tra i tanti antichi antichi laudatores, io che non lo sono mai stato, che si esercitano ora nel noto calcio dell’asino. È comprensibile che quanti non hanno condiviso e accettato l’esperienza del sindaco, gli avversari politici, la destra, critichino pesantemente Orlando. Meno comprensibile è che una parte di quella borghesia che si è riconosciuta in lui, lo ha esaltato come sua espressione, che da lui ha ottenuto vantaggi o ha sperato di ottenerne, che fino a ieri lo sosteneva, gli si scateni contro. Si è spezzato il filo dei rapporti che per moltissimo tempo ha legato il sindaco ai ceti borghesi e a quelli popolari, a quel sottoproletariato che, ormai molti anni fa, gridava entusiasta “chistu è lu sinnacu nostru”. È possibile che sia svanito quell’incanto, per molti aspetti misterioso, in virtù del quale un figlio dell’alta borghesia cittadina abbia preso possesso della città e con essa si sia così a lungo identificato.

Precursore di quel populismo che è divenuto ed è tuttora espressione rilevante della realtà politica nazionale, Orlando, con il suo straripante carisma, con la eccezionale capacità di costruire il personaggio e di imporlo all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale, rimanendo costantemente sul palcoscenico, mettendo in campo una serrata, inedita lotta alla mafia, ha ottenuto un riconoscimento unanimemente apprezzato. Egli ha avuto il merito di far cambiare verso a questa città, di cancellarle il terribile stigma di capitale della mafia, di farle superare, dando voce alla società civile e rendendo più agevole il compito della magistratura, delle forze dell’ordine e dello Stato, la condizione tragica della violenza che la attanagliava. Talora la lotta alla criminalità, che ha avuto un valore inestimabile, a cominciare dalla costituzione di parte civile del Comune nel maxi processo del lontano 1986, ha subito delle torsioni, è stata utilizzata in modo strumentale, ha bloccato sul nascere i rilievi politici e i suggerimenti utili alle necessarie modifiche di rotta, ha quasi sollevato il sindaco dall’onere di confrontarsi con la gestione concreta dei problemi e di rendere conto dei risultati.

Un terreno sul quale egli lascia un altro, importante, segno, che rischia anch’esso di disperdersi, è quello della cultura. Dalla riapertura del teatro Massimo, dopo decenni lungo i quali pastoie ed inghippi avevano privato i cittadini di uno dei più grandi teatri del mondo, dopo il recupero e l’utilizzazione dei Cantieri della Zisa, con Palermo città della cultura, e, più recentemente con Manifesta, con palazzo Sant’Elia, divenuto spazio importante per l’arte contemporanea, dopo aver favorito l’acquisto e il restauro di palazzo Butera da parte dei coniugi Valsecchi che hanno portato qui una raccolta inestimabile di opere, Palermo è stata al centro di eventi di grande rilievo che, tuttavia, negli ultimi anni non hanno avuto un seguito adeguato. Questi risultati dovranno entrare nel bilancio complessivo, anche con gli effetti che hanno avuto sull’economia della città, in particolare sulla crescita esponenziale dei turisti e dei visitatori, insieme alla carenza dei servizi e a tutte le altre inadempienze che, a ragione, si attribuiscono al sindaco.

A distanza di poco meno di un anno dalle elezioni amministrative, alle quali egli non potrà partecipare da protagonista, è del tutto normale che la sua esperienza venga messa in discussione dagli avversari politici, che comunque, c’è da augurarsi, dovessero vincere le elezioni, non vanifichino i risultati per una sorta di vendetta o di cupio dissolvi e non riducano la città all’anonimato o solo alla ordinarissima gestione, anche se di gestione ordinaria c’è tanto bisogno.

Essere contro è facile, ed è altrettanto facile trovare argomenti a sostegno. Più difficile, ed ancora non si avverte nessuna traccia di un tentativo di questo genere, risulta elaborare un progetto alternativo, proporsi come credibile alternativa classe dirigente. Su una recente questione, quella dell’ipotesi di inserire la TARI in bolletta per eliminare l’enorme evasione, è nata una polemica sostenuta da argomentazioni paradossali, che mostrano l’inconsistenza culturale e politica di alcuni esponenti del centro-destra. La proposta può essere valutata negativamente, ma gli argomenti ai quali si è ricorso sono banali ed impropri. Sostenere che, con i servizi inadeguati, non si può chiedere ai cittadini di pagare le tasse, è un chiaro invito ad evaderle. È il serpente che si morde la coda. I servizi sono inadeguati e molti cittadini non pagano, e, non pagando, i servizi risultano sempre meno adeguati anche per quelli che pagano. Dall’altro lato, quell’argomento pone poi una domanda paradossale. Se si affida alla valutazione dei contribuenti quale sia il livello dei servizi che merita il pagamento della tassa corrispettiva, si propone il teatro dell’assurdo nel rapporto tra gli stessi, il fisco e le istituzioni.

Un problema più serio rispetto a quello della destra, che, fino a quando non dovrà proporre ipotesi alternative di governo della città, stringere alleanze e scegliere il candidato alla carica di sindaco, una questione che potrebbe essere lacerante, può limitarsi alla denuncia delle inadempienze dell’amministrazione, lo hanno le forze di centro-sinistra.

Il compito più arduo si pone per loro, per chi non vorrebbe mettere indietro le lancette della storia, e salvare gli aspetti positivi della lunga sindacatura di Orlando, collocandoli all’interno di un nuovo progetto. Quelle forze, innanzi tutto, scontano gli effetti del protagonismo del sindaco, della sua identificazione con la città, del costante ricorso al rapporto diretto con i cittadini, di un modello di governo che ha aggravato il processo di svuotamento della politica e ha ridotto la sua capacità di fare da raccordo tra le istituzioni e i cittadini, un fenomeno diffuso in tutto il Paese e che qui, nel comune capoluogo, ha raggiunto livelli considerevoli.

Il rapporto alternante, mai organico, spesso strumentale col Partito democratico, dei cui organi locali Orlando non ha mai riconosciuto la funzione, ha aggravato le difficoltà del maggiore partito del centro-sinistra, che, proprio a Palermo, anche a causa di questo, ottiene percentuali esigue. La scelta quasi paternalistica dei gruppi che hanno sostenuto il sindaco, spesso ridotti a stampella e scaricati quando lo ha ritenuto necessario, ha ostacolato la nascita e il consolidamento di forze dotate di autonome capacità nel rapporto con la realtà sociale. Non è semplice costruire un’alleanza tra i partiti della sinistra ed eventuali formazioni civiche che dovessero sorgere o rafforzarsi in vista delle prossime elezioni. Per uscire da una situazione fortemente ingarbugliata, non servono le manovre asfittiche delle segreterie di partito o il tatticismo dei posizionamenti.

La strada maestra potrebbe essere la competizione aperta a tutti, il ricorso alle primarie che affidano la scelta ai cittadini che si riconoscono nei valori e nei programmi dei partiti del centro sinistra, sulla base di un progetto, anch’esso da costruire con una partecipazione larga e con il coinvolgimento di alcune tra le migliori energie di questa città. Sarebbe utile che, mentre le formazioni del centro e della destra cominciano a misurarsi sulle alleanze e sulle candidature in un rapporto finora esclusivo tra gli esponenti di vertice o nella formazione di quello che Faraone chiama “il primo laboratorio che dovrà mettere insieme moderati e riformisti”, il centro-sinistra e il Movimento cinque stelle, se vuole entrare in una partita ed evitare di non toccare palla, coinvolgano i cittadini e li spingano ad appropriarsi dell’onere della scelta.

Il dopo Orlando non sarà facile per nessuno. Per nessuno sarà possibile cancellare l’impronta che, con luci ed ombre, egli lascerà in questa città. Potrò apparire controcorrente, ma, nel dopo, ritengo possa esserci ancora un ruolo per il sindaco, se sarà capace, impresa ardua, non solo per lui ma per chiunque abbia avuto un’esperienza analoga, di prendere atto che un tempo, quello del protagonismo esclusivo, è finito e può iniziarne un altro, della collaborazione e della gestione partecipata della cosa pubblica.