O è il destino o è una fissazione. O solo pura coincidenza. Soffia e si incunea comunque con le amministrazioni di centrodestra quando – tra un Orlando e l’altro – s’affacciano al balcone di Palazzo delle Aquile. Alla fine del 2010, sindaco Cammarata, l’anno nuovo venne salutato a suon di swing; nel 2022, sindaco Lagalla, tema della serata più lunga fra le 365 del calendario sarà “Il grande Gatsby”. Forse si tratta di una comune fascinazione, di un’epoca che sortisce lo stesso effetto sui due primi cittadini già detti: big band ed aigrettes, Ziegfield Follies e Torpedo, sigaroni e charleston, proibizionismo e Gershwin, Zucchero Kandinsky e Fitzgerald.  Il palcoscenico comunque è lo stesso, il Teatro Massimo, interno notte, chiavi pronta consegna, dodici anni fa sovrintendente Antonio Cognata, adesso Marco Betta. E se nel 2010 si arrivò al criticatissimo azzardo di far servire il cenone nei palchi, svuotata dalla poltrone la platea per agevolare la digestione con i balli del dopo mezzanotte fra trombette, cappellini e stelle filanti («chissà se smonteranno anche i leoni per far posto alle cubiste!» tuonò il solito politico sputafuoco) stavolta sarà il foyer ad ospitare i commensali mentre si potrà ballare solo negli attigui Giardini del Massimo (sotto la cui egida è organizzato l’evento) con un dj-set e uno show tersicoreo-acrobatico tanto per dare una spruzzata, oltre che di spezie, anche di cultura. E per fugare il dubbio che l’evento gastronomico-mondano per pochi eletti paganti sia “appropriazione indebita” (nessuno, incredibile dictu, ha invocato finora la Santa Sovrintendenza) perfino il menù, tra le sue pieghe, s’impennacchia di titoli non proprio mainstream ché fa sempre fine smarcarsi dall’ortodossia operistica da vecchio melomane, ma a lume e a fiuto di naso, scelti un po’ a cazzo di cane.

Per chi non si accontenta dei meno chiassosi concerti di San Silvestro e Capodanno, dei soliti Danubi blu e delle marce ritmate dai battimani, quando sul rosseggiare delle poltrone ondeggia la messinpiega canuta delle abbonate d’antan, c’è questa città in spolvero che adotta il suo monumento-simbolo per farne specchio, vetrina, passerella. In una sedicente metropoli con palcoscenici trasformati in grandi magazzini da occasionissima o da circoli per il the delle cinque, il Massimo resta l’ultimo baluardo di visibilità per l’esercito del selfie, vuoi quello della posa gratis davanti all’euphorbia pulcherrima della scalinata che quello che il 31 si barderà a caro prezzo per la seratona con possibilità di affitto di abiti dell’epopea fitzgeraldiana.

La città abbarbicata ai suoi totem per non affondare, dove i morti dei Rotoli hanno definitivamente alzato bandiera bianca invocando aiuto a Roma perché qui nessuno è riuscito a venire a capo di come trovare pace alle loro carni ormai sfatte, dove valorosi pedoni attraversano l’oscurità di viale Regione Siciliana segnalando la propria presenza agli automobilisti con la torcia del telefonino come fossero a un concerto di Gigi D’Alessio, dopo qualche abete issato tra il centro e la periferia ad uso fotografi, dopo il Massimo ridotto a club privé, ha trovato un altro simulacro, quest’anno, per il suo Natale, per fortuna già bell’e fatto, pronto alla vista e alla demagogia, solo abbellito con qualche ritocco che facesse pensare alla Grande Festa: con una operazione pomposamente chiamata installazione, il Carro di quella Madonna pellegrina che è ormai diventata la Santuzza è stato trasferito al Politeama. Se ne potrebbe ricavare lo spunto per un tour.