Ancora una volta il governo punta sulle pensioni per fare cassa. Sono in arrivo una stretta sul riscatto degli anni di laurea per coloro che maturano i requisiti per il pensionamento anticipato (ossia con 42 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica) dopo il 2030 e un allungamento delle cosiddette finestre di uscita. In tema di previdenza complementare, da gennaio 2026 scatta il silenzio-assenso per l’adesione ai fondi pensione contrattuali per i lavoratori dipendenti di prima assunzione, esclusi i lavoratori domestici. Ma possono anche decidere di devolvere il Tfr ai fondi privati.
Novità anche per le piccole e medie imprese che da gennaio 2026 sono tenute al versamento del Tfr dei lavoratori al Fondo presso l’Inps anche se al momento della loro costituzione erano sotto i 50 dipendenti e hanno poi superato tale soglia negli anni successivi. Fino ad ora in questi casi le imprese erano esonerate dal versamento e potevano mantenere il Tfr in azienda a beneficio della loro liquidità.
Il pacchetto di misure è tra gli interventi contenuti nell’emendamento del governo alla legge di bilancio annunciato ieri dal Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e presentato oggi in Commissione al Senato. Norme che però lasciano perplesso il ministero del Lavoro guidato da Marina Calderone.
Oggi intanto la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama ha stabilito una nuova calendarizzazione del disegno di legge di bilancio in Aula, considerando il ritardo nei lavori della Commissione. L’esame del provvedimento nell’Assemblea di Palazzo Madama è previsto iniziare il 22 dicembre per dare il via libera il giorno successivo ricorrendo al voto di fiducia. Il passaggio in seconda lettura alla Camera sarà effettuato tra Natale e Capodanno per scongiurare l’esercizio provvisorio che scatterebbe qualora la legge di bilancio non sia stata definitivamente approvata dal Parlamento entro la fine dell’anno. Domani alle 18 scade il termine per la presentazione dei subemendamenti.
Nel dettaglio, il riscatto della laurea per i prossimi pensionati, già costoso, diventa sempre meno appetibile a seguito dell’introduzione di una penalizzazione fino a 30 mesi per il riconoscimento all’accesso alla pensione anticipata. La norma proposta, in sostanza, riduce il periodo contributivo che viene riconosciuto per lasciare il lavoro, pur avendo pagato il relativo onere. Così, le anzianità contributive derivanti dal riscatto della laurea non concorrono al requisito per il pensionamento anticipato per sei mesi per chi matura il diritto nel 2031, per 12 mesi per chi matura il diritto nel 2032, per 18 mesi per chi lo matura nel 2033. La penalizzazione aumenta ancora a 24 mesi per chi matura il requisito nel 2034 e a 30 mesi per chi lo matura nel 2035. Il meccanismo, secondo la relazione tecnica, produce un risparmio da 72 milioni nel 2031 per arrivare a 561 nel 2035.
Ma non finisce qui, cambiano anche le “finestre” per accedere al pensionamento. Coloro che possono andare in pensione anticipata negli anni 2032 e 2033 dovranno lavorare un mese in più, perché la pensione decorre quattro mesi dopo la maturazione dei requisiti anziché tre mesi dopo. I soggetti che maturano i requisiti nel 2034 dovranno trattenersi due mesi in più (dagli attuali tre ai cinque mesi) e chi matura i requisiti nel 2035 dovrà aspettare tre mesi in più. In questo caso i risparmi vanno da 393 milioni nel 2032 a 1,4 miliardi nel 2035.
Per la previdenza complementare la misura prevede l’adesione automatica dei nuovi assunti ai fondi pensione previsti nei contratti di lavoro, anche territoriali o aziendali. Questo significa che il loro Tfr andrà in automatico ai fondi pensione contrattuali. In assenza di accordi di categoria, il silenzio-assenso porterà il Tfr del lavoratore alla forma di previdenza integrativa definita “residuale”, individuata con un decreto del Ministro del lavoro. Entro 60 giorni dalla data di prima assunzione il lavoratore può comunque scegliere di rinunciare all’adesione automatica ai fondi di categoria e conferire il Tfr ad un’altra forma, ad esempio ai fondi privati costituiti dalle banche o dalle assicurazioni.
Per le imprese, la novità riguarda l’allargamento della platea di quelle tenute al versamento del Tfr al Fondo presso l’Inps, istituito nel 2006 per raccogliere il trattamento di fine rapporto dei lavoratori che preferivano non optare per i fondi pensione. A decorrere dal primo gennaio 2026 devono versare il contributo anche le aziende che hanno raggiunto la soglia dei 50 dipendenti dopo la loro costituzione. Una doccia fredda per le piccole e medie realtà imprenditoriali che a legislazione vigente sono escluse qualora all’atto della loro costituzione non raggiungevano la soglia dei 50 dipendenti. Se poi si sono ampliate negli anni successivi, questo non cambia la situazione. Ora, le disposizioni contenute nell’emendamento rivedono la misura e sui periodi di paga a partire dal primo gennaio 2026 queste imprese che si sono ampliate devono versare il Tfr al Fondo.


