E’ proprio vero: il diavolo si nasconde sempre in un dettaglio. Lo sbarco a Palermo di oltre mille magistrati, impegnati nel congresso nazionale della loro Associazione, poteva essere per Renato Schifani – e per altri autorevoli esponenti della classe politica siciliana – un’occasione unica e irripetibile. Il Presidente della Regione o il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, avrebbero potuto tenere discorsi di ampio respiro culturale su questa sventurata terra, sugli scandali che l’attraversano, e sul grande bisogno di Giustizia che esiste e che non sempre viene soddisfatto. Invece i retroscena della cerimonia di apertura ci consegnano una cronaca di tutt’altro spessore. Ha cominciato Lagalla. Il sindaco di Palermo ha salutato tutte le autorità istituzionali ma avrebbe dimenticato, forse non a caso, Schifani seduto in prima fila accanto al Capo dello Stato, Sergio Mattarella, e al presidente del Senato, Ignazio La Russa. Apriti cielo. “La verità è che ognuno ha il proprio stile istituzionale”, ha commentato con una goccia di acidume l’azzimato Schifani.

Il quale, però, non è stato da meno. Anzi. Quando è toccato a lui, il presidente della Regione anziché parlare di legalità e giustizia – argomento quanto mai attuale in una Sicilia segnata da scandali pesantissimi come SeeSicily – ha preferito togliersi un sassolino dalla scarpa. Proprio davanti a una platea austera, composta da magistrati e dalle più alte cariche dello Stato, Schifani si è spogliato dei paramenti istituzionali e si è ricordato con un pizzico di intima soddisfazione – o di intimo rancore: decidete voi – di essere un esponente di Forza Italia; un uomo di partito che aveva addirittura sognato di diventare il numero due, dopo il segretario Antonio Tajani, e che al congresso nazionale degli azzurri è riuscito ad agguantare appena una carica onorifica. La tentazione di passare dal risentimento alla vendettuola sarà stata evidentemente forte, fortissima, addirittura incontenibile. Al punto che Schifani nell’elencare le personalità presenti al congresso dell’Anm e destinatarie del suo indirizzo di saluto, ha dimenticato, manco a dirlo, il vice presidente della Camera dei Deputati: quel Giorgio Mulè, siciliano, che il 24 febbraio scorso, alla massima assise di Forza Italia, ha invece ottenuto per sé e per il proprio ruolo la massima considerazione e i più alti riconoscimenti.

Miserie, verrebbe da dire. Ma Mulè, per fortuna, è uomo di ben altra formazione culturale e politica. E, all’agenzia Italpress, che gli ha sottoposto il dettaglio del mancato saluto di Schifani, ha risposto con parole di cortesia e levità: “Facciamo così: il mancato saluto a me fa pari e patta con i mancati saluti del sindaco nei suoi confronti. Risolviamola con un inchino di penitenza a testa e siamo a posto”. Ironia contro rancore. Evviva la leggerezza.