Matteo Salvini è tornato a calcare le sponde dello Stretto con la determinazione di chi vuole lasciare un’impronta monumentale sulla cartina del Mezzogiorno. Il Ponte, a suo dire, “si farà”, e l’apertura dei cantieri è prevista per l’estate (in ritardo di un anno rispetto alle previsioni). Da Reggio Calabria a Messina, il ministro delle Infrastrutture ha messo in scena una nuova tappa del tour promozionale per rilanciare l’opera simbolo della sua azione di governo. Ma sotto lo strato di entusiasmo e slogan, restano intatte le contraddizioni di un progetto calato dall’alto, imposto al dibattito pubblico come la panacea di tutti i mali, mentre il Sud continua a perdere risorse, infrastrutture e credibilità.
«Credo nei siciliani, nei giovani, negli imprenditori e negli ingegneri che fanno miracoli nel mondo», ha detto Salvini in prefettura a Messina, cercando di smussare le resistenze locali. «Capisco i dubbi di chi da un secolo si sente dire ‘ci siamo’. Ora manca solo l’ok del Cipess e si partirà. Ho incontrato le istituzioni che indagano per prevenire ogni infiltrazione mafiosa: ogni euro deve andare a imprese sane, ai lavoratori. E oggi tutte le categorie – sindacati, università, artigiani – si sono dette entusiaste». Una narrazione totalizzante, quasi a voler archiviare ogni polemica. Non ultima quella smozzicata fra i corridoi del Quirinale, dove è stata “stoppata” una norma agganciata al decreto Infrastrutture che mirava a trasferire i controlli antimafia a una “struttura di missione”.
E mentre il ministro si concede passerelle e telecamere, la Direzione investigativa antimafia ha acceso i riflettori. Sono cinque le procure distrettuali già coinvolte – Reggio Calabria, Messina, Catania, Catanzaro e Milano – tutte concentrate sulle aree da espropriare e sui subappalti, settori storicamente esposti al rischio di infiltrazioni criminali. Un dato che stride con il clima di euforia istituzionale ostentato in queste ore. A Reggio Salvini è stato accolto dai fischi dei comitati No Ponte e delle sigle sindacali, tra cui la Cgil, che ha anche inviato una lettera alla Commissione Ue per chiedere lo stop all’autorizzazione del progetto. «È curioso che ci sia un sindacato che dice no alla creazione di 120 mila posti di lavoro – ha replicato Salvini – però ognuno nella vita fa quello che vuole. Sono orgoglioso perché la stragrande maggioranza delle realtà produttive, degli studenti, delle università, delle associazioni non vede l’ora di partire con questo progetto che coinvolge alcuni milioni di persone, che ripulisce l’ambiente».
Ma se a Messina il clima è stato più compassato, le perplessità non mancano. Nei mesi scorsi la questione Ponte aveva provocato un vero e proprio strappo istituzionale, presto ricucito, tra Salvini e il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani. A dicembre 2023, la decisione del governo nazionale di dirottare 1,3 miliardi dal Fondo di sviluppo e coesione destinato alla Sicilia per finanziare l’opera scatenò la reazione del governatore, che parlò apertamente di “conflitto istituzionale” e accusò Roma di non aver condiviso la scelta. Per qualche giorno, sembrò che la Regione potesse far valere il proprio peso politico. Ma Schifani si allineò in fretta: «Abbiamo avuto un problema di metodo», dichiarò, archiviando il dissenso e spingendosi fino a definire Salvini “il miglior ministro dei Trasporti per la Sicilia”.
Una resa diplomatica, probabilmente dettata dagli equilibri interni alla coalizione di centrodestra, che oggi appare ancora più grave alla luce del contesto complessivo. Perché mentre il Ponte avanza nei comunicati stampa, molte delle opere realmente urgenti per la Sicilia vengono cancellate, sospese o semplicemente ignorate. Il recente allarme dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) fotografa bene la situazione: miliardi di euro tagliati alla manutenzione delle strade, alla rigenerazione urbana, alla messa in sicurezza del territorio. Tratte ferroviarie escluse dal Pnrr – come quelle tra Dittaino, Enna e Catenanuova, lungo la dorsale Palermo-Catania – sono scomparse dagli schemi di finanziamento e, secondo il governo, sarebbero oggetto di “rimodulazione”. E i fondi originariamente destinati alle Province e ai Comuni siciliani vengono sistematicamente spostati al Nord, mentre alla Sicilia si continua a chiedere un ruolo strategico nel Mediterraneo: nel Piano Mattei, nella logistica energetica, nell’apertura ai mercati africani.
Una situazione che ha messo in imbarazzo molti rappresentanti istituzionali della maggioranza, come l’europarlamentare di Forza Italia, Marco Falcone. E che ha portato persino l’assessore regionale ai Trasporti, Alessandro Aricò, a prendere posizione: “Non risultano ad oggi provvedimenti statali che decurtino risorse destinate ad infrastrutture viarie o ferroviarie in Sicilia – ha smentito tiepidamente -. Qualora venissero paventati tagli a danno di opere strategiche per l’Isola, il governo Schifani si batterà per far valere le proprie ragioni a tutela della mobilità e della sicurezza dei cittadini siciliani”.
È in questo squilibrio profondo che il Ponte rischia di diventare il simbolo dell’ennesima illusione. Salvini lo presenta come un’opera di coesione nazionale, come lo strumento che potrà “riportare a Messina giovani laureati, imprenditori, lavoratori”. Ma la realtà, sotto, racconta altro. L’Isola perde ogni anno migliaia di residenti, e non certo per l’assenza di un collegamento stabile con la Calabria, quanto piuttosto per la mancanza di servizi, di opportunità, di mobilità interna, di una progettazione che guardi davvero allo sviluppo locale. Salvini potrà anche lanciare baci e slogan, ma sotto il palco resta una Sicilia più povera, più isolata e più disillusa. Un’isola che paga in anticipo un’opera che, per ora, è solo un argomento da bar.