In Campania quattro “promessi” navigator – il più adulto ha 58 anni – hanno intrapreso lo sciopero della fame contro la decisione del governatore Vincenzo De Luca di non firmare la convenzione con Anpal Servizi per l’assunzione di 471 “tutor” nei Centri per l’impiego. Chi ha vinto il concorsone di Roma si ritrova a spasso, ma il presidente della Regione Campania è irremovibile: “E’ una boiata di una imbecillità totale”, che allarga le maglie del precariato. Fa specie perché la Campania, in termini complessivi, è quella che contribuisce maggiormente al sistema “reddito di cittadinanza”. Anche il numero dei percettori è il più alto d’Italia. E dopo la Campania viene la Sicilia. Una terra di contraddizioni in cui i 429 navigator, da un lato, stanno completando il loro percorso di formazione (entro metà settembre verranno arruolati negli uffici); ma in cui il precariato ha raggiunto livelli inimmaginabili. Qualche settimana fa, l’assessore al Lavoro e alla Famiglia, Antonio Scavone, parlava di 15 mila precari e aggiungeva che “non possiamo dare risposte a tutti”.

Quelli di Scavone non sono precari immaginari. E’ gente che da anni si arrovella per conservare il proprio posto in enti pararegionali a un passo dal fallimento. Prendete l’esercito degli ex Pip (acronimo di Piani d’inserimento professionali), una categoria di lavoratori inventata 30 anni fa dalla Regione, gestita dal comune di Palermo e finanziata (almeno inizialmente) dall’Europa, che ha smesso di “esistere” quando sono finiti i soldi: si trattava di uomini e donne svantaggiati, impiegati in vari servizi come la pulizia dei marciapiedi e delle aree verdi, gli sgomberi e la raccolta differenziata. Adesso, l’unica ambizione di 2.600 precari, che da anni vivono nel limbo, è poter accedere a quella scatola vuota che si chiama Resais e che è nata proprio per questo scopo: assorbire personale già dipendente fuoriuscito da altri enti. Roba che… De Luca scànsate, proprio. Per ottenere questo prestigioso riconoscimento – la stabilizzazione – che la Regione aveva sostenuto con un articolo di legge ad hoc, dovranno però passare sul cadavere della Corte Costituzionale, di fronte a cui il provvedimento è stato impugnato dal Consiglio dei Ministri. La questione è ferma da alcuni mesi.

Proprio in quell’oasi dorata che si chiama Resais, in questi giorni è emerso un fatto nuovo. Dei 252 prepensionati, che entro il 2021 matureranno le condizioni per la pensione (grazie a quota 100), nessuno vuole fare il grande passo. E condannerà l’ente, nonché la Regione che lo controlla, a perdere dai 4 ai 5 milioni l’anno. Assistenzialismo puro. Il motivo è spiegato dal presidente Rosario Ventimiglia: “L’assegno di accompagnamento che noi eroghiamo – ha detto al Giornale di Sicilia – è più alto della vera e propria pensione che incasserebbero”. La differenza è mediamente del 5%. Ciò che colpisce e aumenta il senso di sconforto è che questa gente percepisce i soldi standosene a casa: “Hanno lasciato gli uffici ma tocca a noi erogare loro, fino al raggiungimento della vera pensione, un assegno di accompagnamento che vale l’80% del vecchio stipendio più i contributi”. Una sorta di reddito di cittadinanza 2.0. Questi non devono nemmeno scomodarsi per la ricerca di un lavoro. Anche alla Sas, un’altra partecipata regionale, si risparmierebbero due milioni l’anno se tutti quelli che hanno maturato i requisiti se ne andassero in pensione con quota 1000. Un bel gruzzolo che servirebbe a rimpinguare – assieme ad altre voci sostanziose – l’ultimo buco di Bilancio da 400 milioni creato da Armao e dalla sua operazione-verità sui conti.

L’esercito dei precari si allarga a numerose altre sigle, come gli Asu e gli Lsu. E riguarda anche i formatori, in modo particolare gli ex sportellisti della formazione professionale. Che al lavoro vorrebbero tornarci, ma fin qui si sono visti sbarrare la strada e le ambizioni da Luigi Di Maio. Il quale, da Ministro del Lavoro in carica, non ha dato a queste persone una sola chance di mettersi in gioco nell’ultimo concorso per navigator e volto alla riqualificazione dei Centri per l’Impiego. Anpal cercava solo gente laureata. Ma gli ex sportellisti nei Cpi vorrebbero rientrarci, magari con un concorso, e lo hanno dimostrato in ogni modo: ad esempio piantonando, sotto il sole cocente di agosto, la sede dell’assessorato regionale al Lavoro di Via Trinacria, a Palermo. E non si fermeranno. Quelli “attivi” sono meno dei 1.700 di cui si parla di frequente, mentre dell’albo dei formatori fanno parte 8 mila persone. Alcune si sono rimesse in moto con gli ultimi “avvisi” da parte della Regione.

Il fenomeno del precariato, però, non investe soltanto la pubblica amministrazione, ma anche il settore privato. Si estende a macchia di leopardo su alcune categorie di lavoratori che non hanno mai abbandonato il proscenio della crisi. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono i 1.600 operai di Almaviva Contact, a cui il prossimo 30 novembre scade il Fondo d’integrazione salariale. L’azienda – una multinazionale dei call center che sta delocalizzando soprattutto nei paesi dell’Est, come la Romania – non ha fatto mistero di volerli licenziare tutti. Non è più possibile, secondo Almaviva, continuare a erogare gli ammortizzatori sociali come è avvenuto – generosamente – negli ultimi anni. La crisi è sistemica e i volumi di traffico su Palermo non sono più proporzionali al numero di impiegati. Da qui gli esuberi. La crisi di governo, però, rischia di far saltare i tavoli previsti a inizio settembre al Mise: dal 7 Almaviva potrebbe avviare le prime procedure di licenziamento.

Chi se ne sta a spasso, e si è appena visto rinnovare per volontà del ministro Luigi Di Maio, la cassa integrazione fino al 31 dicembre prossimo (si lavora già alle proroghe successive), sono gli operai dello stabilimento ex Fiat di Termini Imerese, inghiottiti dalle false speranze della Blutec. L’azienda veneta, che aveva promesso di portare in Sicilia la sperimentazione di alcune vetture ibride – nel solco di chi li aveva preceduti – in realtà non ha sganciato un euro degli oltre 20 milioni stanziati da Invitalia per il rilancio dello stabilimento. Se li sono “pappati” loro, e adesso sono in ballo sequestri e inchieste giudiziarie. Ma questi poveri operai, che protestano un giorno sì e l’altro pure, resistono alle avversità della vita grazie al “riconoscimento” da parte dello Stato. Altro che politiche attive, qui è in ballo la dignità umana. Di lavoro neanche a parlarne.

Tornando nell’agone del “pubblico”, un altro dato inquietante arriva da “Repubblica”, che ha scandagliato in lungo e in largo l’approccio al lavoro dei dipendenti Rap. Ossia l’azienda che si occupa di raccolta e smaltimento rifiuti, oltre che di spazzamento delle strade, a Palermo. Stando ai dati forniti dal quotidiano, dei 1.824 dipendenti, quasi 500 sono parzialmente abili o inabili. Questi ultimi non possono svolgere alcun tipo di servizio all’esterno. I portieri sono 85 (in sovrannumero), mentre in 8 si occupano di svuotare i cestini in giro per la città, la quinta d’Italia. Oltre 300 persone godono dei benefici della “legge 104” e hanno diritto a tre giorni di permesso al mese, ovviamente retribuiti, per assistere parenti malati. Tredici di loro si assentano per una settimana al mese perché di parenti malati ne hanno due. Soltanto 485 persone sono addette a espletare il servizio della differenziata “porta a porta”. Come potrebbe la città essere pulita con questi numeri? E’ uno dei tanti casi siciliani su cui varrebbe la pena riflettere.

Infine i numeri. La popolazione siciliana inattiva è pari a 1,9 milioni, il 59% del totale, tre volte tanto rispetto alla media nazionale. A fine luglio le richieste per avere il reddito di cittadinanza sono circa 400 mila. Dal 2 settembre i richiedenti verranno convocati nei Centri per l’impiego per firmare il patto per il lavoro. Di loro si prenderanno cura i navigator: 1.700 euro al mese fino ad aprile 2021. Alla terza rinuncia verrà meno il beneficio. Peccato che qualcuno percepisca l’assegno già da maggio senza aver fatto un colloquio. Ognuno ha i propri santi in paradiso.