Un “ambizioso programma di manifestazioni collaterali” ad Agrigento capitale. E se collaterale, risulta nuovo e diverso rispetto a quello che avrebbe dovuto segnare il 2025 e che era alla base della scelta operata tre anni fa dal governo nazionale.
È un innesto, si dice. Che, per quanto possa portare qualche fronda all’albero, non lo potrà mai far diventare come sarebbe dovuto essere: un insieme di progetti organici con una visione coerente, iniziative coordinate e tali da richiamare sulla città dei templi l’attenzione di un numero vasto di visitatori ai quali offrire proposte originali in grado di lasciare il segno, di sollecitare le presenze culturali locali, di creare la condizione, questa volta sì, di un innesto tra ciò che si produce in loco e ciò che viene da altre esperienze, da altri contesti.
Ma quando si comincia con la riproposizione di una mostra fotografica che risale a tredici anni fa, al tempo nel quale si commemorava il ventennale delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, “L’eredità dei giudici – Falcone e Borsellino”, si dà la prova che le idee latitano e si finisce per riproporre una ritualità priva di senso, sia detto col massimo rispetto, una sorta di usato sicuro. Non voglio essere equivocato. Il ricordo permanente dei due eroi civili deve continuare a segnare la storia di questa nostra terra. Evitando un rischio, come in tutte le altre cose di valore: la banalizzazione, il richiamo quasi formale, freddo, vuoto, che può impoverire l’esempio dei nostri due valorosi magistrati e che comunque appare un’evidente forzatura rispetto al programma che avrebbe dovuto caratterizzare Capitale della cultura.
Per altro verso, non è una grande idea, non è sicuramente una iniziativa brillante l’inserimento della prossima festa di san Calò, il riproporsi di un evento che è nella tradizione propria della città e parte di una antica, consolidata religiosità popolare, ma che non può essere un elemento essenziale del programma di capitale.
Per portare in giro il Santo, per sentire urlare al limite della blasfemia i suoi fedeli, per vederli accanirsi a tiragli addosso il pane ed infine per sparare un mirabolante iocu di focu, per finanziare un evento di questa natura, si sgrava l’amministrazione comunale dall’impegno finanziariamente considerevole che negli anni passati ha assunto.
Agrigento capitale si conferma un’occasione mancata malgrado gli “innesti”, gli stanziamenti aggiuntivi e i progetti collaterali ai quali la Regione e il suo presidente sono indotti dall’evidente, inevitabile timore di essere parte del fallimento.
Esso peraltro ricade principalmente su un gruppo di potere locale che non ha capito il senso e il valore dell’iniziativa e l’ha scambiata per una banale opportunità di piccolo potere.
Quel gruppo, l’abbiamo già scritto altre volte, è stato espropriato del tutto, la Fondazione appositamente creata pencola nel vuoto senza idee e senza potere. Solo di recente ha individuato una responsabile per la comunicazione ma evita ancora di definire i regolamenti propri di una struttura di partecipazione.
Le iniziative che potranno essere realizzate ancora nei mesi che avanzano, alla fine del 2025 potranno singolarmente avere un loro valore ma non comporranno un progetto organico, non recupereranno la perdita di senso di Capitale della cultura.
Non può riuscire a raggiungere questo obiettivo il pur lodevole impegno del direttore Parello, la sua solerzia, la capacità di utilizzare il triplice ruolo di dirigente regionale, di presidente dell’Ente parco e giusto di guida della Fondazione.
Il recupero di alcune delle iniziative originariamente inserite nel programma non può non essere apprezzato. E tuttavia ciascuna di quelle finirà per rappresentare un evento a sé, magari di qualche richiamo, ma non certo parte di un progetto che abbia un senso, che crei continuità, che lasci la traccia per un rilancio culturale della città non solo per i mesi che rimangono dell’anno in corso ma per il tempo successivo.
Altro valore hanno, ovviamente, il concerto diretto da Riccardo Muti, la presenza dei seicento coristi con la Cappella musicale pontificia Sistina, le iniziative a cura della Diocesi e del Museo di Arte sacra e quelle dell’Ente Parco. A metà dell’anno rimane ancora non definito, poi, il coinvolgimento delle associazioni culturali locali nel progetto di Capitale perché il bando non è ancora stato pubblicato dall’amministrazione comunale. Che potrebbe non essere adeguatamente sollecitata a farlo, essendo i criteri per la scelta dei progetti così rigorosi e obiettivi da lasciare scarsissimo margine alla discrezionalità e alla conseguente individuazione di associazioni amiche da privilegiare.
L’estate ad Agrigento si annuncia sicuramente ricca di eventi di valore diverso, taluni sicuramente importanti, altri molto meno. Tutti, comunque, tra di loro slegati, privi di un filo conduttore. Chi aveva il compito di realizzare un programma organico non solo ha fallito, ma ha dato anche un contributo rilevante a banalizzare una opportunità che negli anni passati è stata proficuamente utilizzata dalle città indicate dal governo.