Samonà: “Questa è la Sicilia che vogliamo”

Alberto Samonà, assessore ai Beni culturali, primo esponente leghista (della storia) ad aver fatto ingresso nel governo della Regione siciliana, è afflitto da una sorta di deformazione professionale. E riduce tutto alla cultura: così la tre giorni organizzata al Porto di Catania, per dare sostegno a Matteo Salvini, impegnato in tribunale per la prima udienza del caso Gregoretti, diventa un modo per “continuare a entrare nel tessuto sociale, culturale ed economico, oltre che politico, della Sicilia”.

L’impresa di Candiani, segretario regionale del Carroccio, è formare una classe dirigente in grado di sprigionare consenso elettorale; quello di Samonà, da uomo di governo, è manifestare un messaggio di cambiamento. Su cui il Sud è ancora abbastanza scettico: “Forse qualcuno si aspettava di trovare i leghisti, magari di fronte al Tribunale, con le asce, le corna e gli scudi per combattere chissà quale nemico. Invece no – insiste l’assessore di Musumeci -: abbiamo dibattuto di immigrazione e di cultura, di turismo e di pesca, di autonomia e di emergenza sanitaria. E soprattutto di buone pratiche amministrative. Per essere urlatori non c’è bisogno di formazione né di radicamento. Noi, però, alle urla preferiamo il confronto. Anche ospitando gente che la pensa in maniera diversa”.

Non trova un po’ strumentale che questa tre giorni di dibattito sia stata organizzata in prossimità del processo a Salvini?

“E’ chiaro che ci saremmo stretti attorno a Matteo nel momento dell’udienza. Al suo fianco, però, c’è tutto il centrodestra: gli appelli di Berlusconi e della Meloni vanno in questa direzione. Il resto è una questione di stile. Chi antepone gli slogan alla riflessione politica e al dibattito, resta figlio di quegli slogan. Chi invece invita gli italiani a una riflessione di più ampio respiro, vuol dire che ha un progetto da proporre. La nostra presenza a Catania è stata civile”.

E cosa avete proposto realmente?

“L’argomento principe è l’Italia che vogliamo costruire quando torneremo al governo del Paese, cioè dopo aver vinto le prossime elezioni Politiche. L’Italia che vogliamo va costruita oggi. Mentre i nostri avversari urlano, ci contestano o considerano la Lega il nemico da abbattere, dal palco di Catania non si è levato un solo insulto nei confronti di chi la pensa diversamente da noi”.

Qualcuno ha palesato il rischio che Salvini si fosse “berlusconizzato”. E che il processo di piazza sia sempre più conveniente rispetto al processo in Tribunale.

“Non ci stiamo berlusconizzando. Berlusconi è Berlusconi e non si può imitare. Lo stesso vale per Salvini. La giustizia a orologeria ha colpito ieri Berlusconi e oggi Salvini. Ma le tempistiche e le modalità sono differenti. Nessuno può negare che in Italia esista un metodo Palamara. E tutti sanno come, in passato, alcune dinamiche giudiziarie rispondevano a determinati equilibri. Ma lo dico sottovoce, nel senso che la Legge va rispettata sempre”.

Anche lei con la teoria dei giudici politicizzati?

“Bisogna avere massino rispetto per i giudici. Lo dico da cittadino italiano con una laurea in giurisprudenza. Ma non mi riferisco a quella minoranza politicizzata che pretende di governare. Essere giudice è qualcosa di molto più alto. Una missione, oserei dire. In Sicilia sono in tanti ad averla onorata fino all’ultimo giorno della propria vita”.

Giorgetti, durante il dibattito al porto, ha detto che il radicamento della Lega in Sicilia andrà per le lunghe.

“Serve tempo, ma il requisito necessario è mettere delle idee al servizio di questo progetto. Nei mesi scorsi ho incontrato tanta gente vogliosa di aderire. Però bisogna discernere. C’è differenza tra chi vuole venire e portare un contributo di militanza, di entusiasmo, di proposte; e chi, invece, vuole farlo solo per salire sul carro. Stefano Candiani sta facendo una grande opera di selezione. Può risultare la carta vincente”.

Come procede la semina?

“Dove amministriamo, ma anche in tutte le realtà in cui siamo presenti, i nostri eletti si stanno dimostrando in gamba. La Lega, fra l’altro, ha tenuto a battesimo una scuola di formazione politica che non è rivolta soltanto ai giovani, ma alla creazione dei quadri dirigenti nel suo complesso”.

C’è un prezzo da pagare per questa attesa? Sia in termini di risultati elettorali, ma anche nella considerazione degli altri partiti del centrodestra, che in quest’ultima campagna elettorale hanno giocato a escludervi dalla coalizione?

“Noi crediamo nell’unità del centrodestra, ma in alcune realtà non è stato possibile andare insieme. Spesso per motivi locali, ma anche perché qualcuno ha anteposto le vecchie logiche che escludevano la Lega da un percorso di condivisione. Ma poiché il Carroccio è presente su tutto il territorio regionale, abbiamo comunque presentato la lista dove necessario, da soli; e siamo andati in coalizione dov’era possibile farlo. Ogni comune o città, che sia un grande o piccolo centro, ha delle dinamiche particolari. E comunque la Lega è pronta ad amministrare, e in parte lo sta già facendo. Bene”.

Dopo quell’avvio tribolato – i poemetti nazisti, le accuse di far parte della massoneria, ecc – è ancora convinto della sua scelta? O era meglio continuare a fare il giornalista?

“Il processo di digestione è un processo di trasformazione del cibo in energia. Anche quando si assume del cibo avvelenato, coi nostri anticorpi, se siamo sufficientemente forti e attrezzati, possiamo trasformare quel veleno e uscirne indenni. Alle polemiche non ho mai reagito. E nei giorni di maggio in cui qualcuno urlava, io ho riunito i direttori dei parchi, dei musei e delle sovrintendenze per capire quali erano le criticità dell’assessorato ai Beni culturali. Non ho opposto alcuna reazione. Le polemiche si sono spente. E quando ho cominciato a girare i territori e mettere mano ai problemi reali, le persone se ne sono accorte e mi hanno riconosciuto una “militanza culturale”. Mentre gli occhi del cronista raccontavano una realtà, quelli dell’uomo di governo non devono soltanto raccontare, ma provare a migliorarla”.

Nel suo campo, i Beni culturali, è un’impresa ardua?

“L’obiettivo è rendere i Beni culturali attraenti economicamente. In Sicilia è giunto il momento di cominciare a parlare di “industria culturale”. Ma farlo devono essere gli enti pubblici, non soltanto i privati. Questa è la sfida più grande, ma anche la più grande trasformazione da quando ho cambiato lavoro. Rimboccarsi le maniche, olio di gomito e lavorare: è quello che mi hanno chiesto Matteo Salvini e il presidente della Regione, Nello Musumeci”.

Forza Italia è tornata alla carica per un rimpasto. Voi potreste essere interessati? La Lega, quando ha fatto ingresso nell’esecutivo, chiese a Musumeci un cambio di passo che non sempre si è visto.

“Io penso che il governo stia lavorando bene a tutti i livelli. Non parlo soltanto dell’assessorato che dirigo. La Lega sta dando il proprio contributo d’idee a un programma politico che aveva scritto insieme agli alleati. Non dimentichiamoci che noi eravamo presenti fin dall’inizio. Oggi stiamo dando un impulso ulteriore. Comunque, non mi entusiasmano la geografia politica, i rimpasti, le sostituzioni, i cambi di casella. Io guardo ai fatti, ai programmi e alle cose da realizzare. La gente non chiede al governo e alla Lega la poltrona in più o in meno, ma concretezza politica, lavoro e sviluppo”.

La federazione con Diventerà Bellissima, che Musumeci ha messo in stand-by, ha ancora un suo perché?

“Questa domanda va posta al nostro segretario. Io sono un militante e faccio l’assessore: non è mia competenza entrare nelle dinamiche della politica”.

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