Il referendum, in Sicilia, non ha avuto alcuna voce. Ed è per questo – non solo per le temperature estive o la rassegnazione di un popolo – che allo scoccare delle 15 di questo pomeriggio si è recato alle urne appena il 23,1% degli aventi diritto (è la penultima regione d’Italia, ha fatto peggio solo il Trentino). Un fiasco. Ed è ovvio che di quel 23 per cento, non tutti abbiano votato per una convinzione o un’opinione consolidata. Bensì per non farsi travolgere dalla profonda arroganza di una classe politica che la domenica del referendum, come i bambini capricciosi, postava sui social le immagini del mare (vedi l’ex assessore alla Salute) per incentivare al disimpegno. Uno scadimento intollerabile a cui la Sicilia, purtroppo, appare sempre più abituata.

A fare campagna per recarsi in spiaggia, però, è fin troppo facile. E molto di destra, di questa destra. Ciò che è parso francamente incomprensibile, invece, è il silenzio di chi peri i quesiti referendari avrebbe dovuto battersi, organizzando gazebo e banchetti informativi, inondando i social e la stampa di “buone ragioni” per recarsi al voto. Pretendere questo impegno da parte del centrosinistra siciliano, però, è diventato impossibile. L’opposizione non esiste e non è in grado di battere un colpo nemmeno sui temi del lavoro: lo scorso 19 maggio il Pd aveva manifestato con un sit-in di fronte alla sede regionale della Rai contro l’oscuramento mediatico dei cinque quesiti referendari. Da quel giorno se ne sono perse le tracce (sia dei quesiti che del Pd).

La fatica di un congresso dimezzato, dove si sono espressi 9 mila iscritti (su 16 mila), e di una lite furiosa fra le correnti del partito, sono indicativi di una classe dirigente per nulla incisiva. Sarebbe bastato metterci la faccia, forse, per generare un nuovo diniego. Così i dem hanno preferito andarsene al mare anche loro, come Razza, dopo aver terminato di approvare – senza alcun rilievo o tentativo di sgambetto – le variazioni di Bilancio proposte da Schifani e dal governo di centrodestra. La risposta dei siciliani al referendum abrogativo è (anche) una risposta a questi rappresentanti che hanno smesso di rappresentarli da lungo tempo; nei quali non si riconoscono e dei quali non si fidano.

Tutte le vicende che affrontano temi diversi dalle mance – ci si prepara al grande appuntamento di luglio, con le variazioni-bis – sono confinate nell’agenda di ripiego, quella che non consulta quasi nessuno. Anche i 5 Stelle hanno trascorso il fine settimana all’insegna dell’organizzazione di un’altra “mobilitazione” (stavolta sul tema della sanità) che ospiterà Giuseppe Conte. Sembra, però, che la presenza del grande leader, ex presidente del Consiglio, sia diventata dirimente rispetto all’affermazione dei temi. Nessuno è scattato sulla sedia dopo aver letto (nell’intervista rilasciata da Schifani a Live Sicilia) che ci vorrà ancora tempo per la nomina del nuovo direttore generale dell’Asp di Palermo. Come se quattro mesi e mezzo di vacatio non fossero abbastanza: “Non sono selezioni semplici, anche perché i dirigenti migliori risultano già impegnati”, ha detto il governatore. Nessuno ha avuto da ridire sullo stop (inatteso?) alla rimodulazione della rete ospedaliera, che si è materializzato dopo l’arrivo al vertice dell’assessore Daniela Faraoni.

Al raduno di domenica – già, ma proprio di domenica? – Conte avrà la forza di produrre una full immersion sull’argomento, non lasciando nulla d’intentato? Di cantarle al governo regionale per il suo immobilismo? O sarà l’ennesima occasione per una photo opportunity assieme alle altre “mummie” della sinistra? Ci saranno anche quelli del Pd, con le dovute distinzioni fra pro e anti-Barbagallo, quelli di Verdi e Sinistra Italiana, e persino Ismaele La Vardera, esponente di Controcorrente, che ha trascorso i primi giorni di calura estiva a ringraziare i “suoi elettori” per la fiducia. Ma quale fiducia? In un sondaggio commissionato dal suo movimento, con un campione di 613 intervistati, il suo partito è dato al 6% se si votasse oggi per l’Assemblea regionale. Mentre l’ex Iena è risultata il più gradito. Il più apprezzato delle opposizioni. Anche a destra e al centro non c’è nessuno in grado di contrastarlo. Neppure il suo vecchio mentore Cateno De Luca, che l’istituto SWG ha dimenticato, guarda caso, di inserire nel novero dei leader regionali.

Ad ogni modo, questo sondaggio è stata una delle principali occupazioni di La Vardera e dei Cinque Stelle (con Nuccio Di Paola, coordinatore regionale, al secondo posto della graduatoria). E se organizzassimo le primarie per capire chi comanda? Ci sarà tempo per spiegare i quesiti referendari o per dibattere delle innumerevoli riforme dell’Ars (adesso arriva quella dei Consorzi di bonifica). Ci sarà tempo per riportare la questione morale – quante spese pazze per il turismo! – al centro del dibattito, per riappropriarsi di un’ideologia consunta dal tempo e dalle sconfitte, per dare una casa agli elettori smarriti.

E ci sarà tempo per parlare di Gaza (l’hanno fatto poche decine di persone al Teatro Massimo, sabato scorso, contemporaneamente all’evento di Roma) e degli altri grandi temi d’attualità (come il riarmo); della proposta del terzo mandato a sindaci e governatori, della siccità irreparabile, del diritto alle cure calpestato. Persino la legge per gli indigenti, appena rifinanziata con 5 milioni nell’ultima manovrina, porta la firma di Schifani e di Forza Italia. Hanno lasciato al centrodestra l’onere delle clientele e l’onore dell’assistenzialismo. Non si occupano più di niente, tranne che di mance; non hanno credibilità; non fanno opinione; non mobilitano nessuno. Adieu.

Le reazioni del campo largo

Di fronte al risultato del referendum, però, sia Pd che Movimento 5 Stelle tirano fuori strane argomentazioni: “Il referendum, nonostante l’esito negativo determinato dal forte astensionismo, deve accendere una fiammella di speranza anche in Sicilia – dice il segretario del Pd, Anthony Barbagallo -. Nonostante tutto, il numero di siciliane e siciliani che si sono presentati ai seggi tra domenica e oggi supera o comunque equipara quello degli elettori che hanno sostenuto Meloni al Senato e votato Schifani alle ultime elezioni regionali”. “Il compito del Pd e del centrosinistra è rassicurare questo zoccolo duro di elettorato che già fu sufficiente al centrodestra a vincere le elezioni”. Anche Nuccio Di Paola, del M5s, batte sugli stessi tasti: “I numeri siciliani ancorché bassi, circa novecento mila elettori che si sono recati ieri e oggi alle urne, ci dicono però che se si lavora per compattare questo elettorato, evitando inutili frammentazioni che finirebbero solo per fare un regalo alla destra, ci sono tutte le premesse per mandare a casa Schifani che fu eletto con meno di 900 mila voti”. Sarà.