Dietro la classifica di gradimento di Swg, che relega Nello Musumeci al penultimo posto fra i governatori (Crocetta, a un anno e mezzo di legislatura, era settimo), ci sono piccoli spiragli di luce per il presidente della Regione. E non parliamo soltanto della timida ripresa del Pil, come certificato da un osservatorio composto da Irfis e Svimez (+0,3%). Anche. Ma la notizia più importante è aver ritrovato il feeling con Gianfranco Miccichè e Forza Italia, che per lunghi tratti di questa legislatura è venuto meno. Il riavvicinamento fra i massimi inquilini di palazzo d’Orleans e palazzo dei Normanni, dopo la sfuriata di Musumeci in aula durante il dibattito finanziario, sembrava impossibile. Man mano, evitando cerniere e ambasciatori (“Le nostre corti hanno fatto in modo che non ci fosse un gran rapporto” ha ammesso il presidente dell’Ars a Buttanissima), i due sono tornati a parlarsi e, soprattutto, a capirsi. Magari non è ancora il momento di farsi uno spritz insieme, ma i due presidenti hanno ripreso a utilizzare la stessa lingua.

Micciché è stato il primo a sostenere l’esigenza, da parte del governatore, di abolire il voto segreto. Così, all’indomani della battuta d’arresto più traumatica di questa legislatura (la bocciatura dell’articolo 1 della legge sui rifiuti), ha convocato la commissione Regolamento per alcune modifiche. Era la condizione posta da Musumeci per far tornare in aula il governo, ma anche per responsabilizzare opposizioni e “franchi tiratori”, che in questi due anni più volte hanno fatto capolino a Sala d’Ercole. “E’ col buonsenso” che si risolve questo nodo – ha spiegato l’assessore Razza qualche giorno fa – e “Musumeci e Micciché sono sulla stessa linea, come sempre”. Ci vorrà del tempo, ma l’abolizione del voto segreto è già in agenda. Un punto a favore della pace ritrovata.

Un’altra questione che va tanto d’attualità riguarda i problemi della burocrazia, che fanno scappare gli investitori dalla Sicilia. Micciché, per settimane, ha criticato con interviste fiume a siti e giornali il carattere dannoso del sistema delle autorizzazioni preventive, spiegando che lui stesso ne ha dovute richiedere 28 per realizzare il fotovoltaico nella casa di campagna. E che alla soprintendenza di Palermo ci sono 18 mila pratiche bloccate, equivalenti al 2% del Pil provinciale. E’ stata la burocrazia-lumaca a farlo sintonizzare sui canali della Lega, che gli avrebbe garantito l’inserimento del punto (con un’ampia riforma del sistema delle autorizzazioni) nel prossimo programma di governo.

Ma nell’orizzonte del presidente dell’Ars non ci sono soltanto Salvini e Candiani. Anche Musumeci, analizzando il timido aumento dei dati del Pil, ha spinto sull’acceleratore, e chiesto al governo Conte una deroga di cinque anni “alle normative che impongono lacci e lacciuoli senza mettere in discussione la trasparenza delle azioni amministrative”, ma allo scopo di “poter spendere bene e presto i cinque miliardi che abbiamo in cassa” e “recuperare il gap con il resto del Paese”. Musica per le orecchie di Micciché. Ma anche una mossa necessaria, dato che la Sicilia è riuscita a spendere solo una minima parte (il 37%) dei 6,1 miliardi di euro per la programmazione sui fondi UE riferiti al periodo 2007-2013. Va peggio nella programmazione dei fondi 2014-2020: su 2,7 miliardi, i progetti conclusi sono il 5%. E non c’è traccia di infrastrutture.

Anche Matteo Renzi, che di recente è stato a Catania per salutare la nascita di Italia Viva, ha invitato il governatore a sbloccare i soldi del Patto per il Sud – oltre 1,3 miliardi – che l’ex premier aveva destinato alla Sicilia facendo accordi con Crocetta (i progetti sono al palo). Ma non è Musumeci a non voler spendere, né la colpa è del suo predecessore. Spesso è il sistema ad essere farraginoso e inefficiente, perché deve produrre una moltitudine di pareri in capo a vari enti e, non di rado, conta su un esercito di funzionari e dirigenti non all’altezza che popolano tutti i livelli della pubblica amministrazione. “La normativa che blocca l’attività autorizzativa è una follia – ha detto Musumeci (ma sembra di sentire Micciché) – I tempi e l’incertezza bloccano gli investimenti e fanno scappare investitori e giovani siciliani. Per questo ho chiesto un appuntamento al presidente del Consiglio Giuseppe Conte: non ci servono nuove risorse, ma poter spendere bene e presto i nostri soldi”.

Un altro tassello che lega Musumeci e Micciché – il passaggio dalle parole ai fatti stavolta è consequenziale – riguarda le assunzioni alla Regione. La lunghissima sessione di Bilancio, tuttora in stand-by fino al giudizio di parifica della Corte dei Conti, ha fatto emergere le difficoltà all’interno degli uffici. Una carenza di personale quasi cronica, che il presidente dell’Ars ha sottolineato in numerosi interventi da un anno e mezzo a questa parte: “Non mi stancherò mai di ripetere sempre le stesse cose: il blocco delle assunzioni, i limiti degli stipendi e i prepensionamenti bloccano l’attività – spiegava Miccichè a BlogSicilia nel dicembre 2018 –. Oggi trovare gente brava e motivata è difficile. In più hai il blocco delle assunzioni, quindi ammesso che ne trovi uno non lo puoi assumere. Se ne hai uno bravo, invece, non lo puoi fare crescere. L’amministrazione fa l’opposto di quello che si dovrebbe fare in una azienda per garantire efficienza e crescita”.

A più riprese Micciché ha chiesto una ventata di giovinezza all’interno di uffici e dipartimenti (“E invece ci spaventiamo, ci vergogniamo dei nostri stipendi” si lamentava), e ora è sul punto di ottenerla. Il presidente Musumeci, infatti, ha annunciato un paio di giorni fa che “nei prossimi tre anni contiamo di poter bandire concorsi per circa 1.500 posti nell’amministrazione regionale, procedendo anche al superamento definitivo del precariato. La macchina Regione ha bisogno di forze nuove e fresche per affrontare la sfida del futuro. Questo è il primo passo”. E’ un passo sancito dal disegno di legge approvato lo scorso luglio, in cui è stato rimosso dopo 11 anni il blocco delle assunzioni – sia per il personale dirigenziale che per quello non dirigenziale – grazie al quale la Regione si proietta nel futuro. Ed è un ulteriore condivisione d’intenti nel percorso che ha permesso a Micciché e Musumeci di riallinearsi. Assieme a questi temi ce ne sono altri – ad esempio, l’emendamento di Aricò (Diventerà Bellissima) sul taglio dei vitalizi è stato accolto con favore da Forza Italia – che “impongono” ai due presidenti a restare sulla stessa linea d’onda: “Se cade Musumeci va a casa il parlamento. Io non posso permetterlo, non sono mica scemo” ha confermato il massimo inquilino dell’Ars.

Anche se qualche prurito resta, e riguarda la permanenza nel governo di Gaetano Armao. L’assessore all’Economia, nei mesi scorsi, ha eretto un muro fra i due palazzi. Da un lato Musumeci, che ha sempre cercato di difenderlo da una gestione dei conti peregrina; dall’altro Micciché, che non ne ha mai digerito l’arroganza e tanto meno l’irriconoscenza nei confronti del gruppo parlamentare di Forza Italia, unico garante – assieme a Berlusconi – del prolungato soggiorno del mega avvocato su quello scranno. Ma Armao è anche l’assessore reduce da una sessione di Bilancio molto confusionaria: quella dei cinque collegati, delle norme “borderline” (c’era l’articolo – poi stralciato – sulla ricognizione straordinaria del patrimonio dell’ente senza aver prima verificato i dati del costosissimo censimento della Spi), delle password mancanti, delle impugnative a catena, dei buchi onerosi. E delle “omesse” comunicazioni all’assemblea, che dopo il rientro dalle vacanze estive hanno costretto Micciché a stoppare tutte le leggi di spesa fino alla prossima parifica.

Negli ultimi tempi, anche Musumeci sembra orientato a rivalutarne l’operato. A riflettere su quanto l’assessore all’Economia si sia rivelato un peso ancorché una risorsa. E infatti ha scelto di affidare il riaccertamento straordinario dei conti a una società esterna (la Kibernetes srl), nel tentativo di raschiare qualche milioncino dal fondo del barile. Non sarà facile né scontato. Ma se il governo vuole andare avanti, e vorrà farlo con un ritmo incalzante e con rinnovato spirito di squadra, l’occasione più ghiotta è il rimpasto. A gennaio, quando i tempi saranno maturi, il tema della permanenza di Armao tornerà dannatamente d’attualità. E a quel punto si capirà se fra Musumeci e Micciché era pace o solo tregua.